Telefonata a Hedda. Niente video. — Conosci qualcosa che mi possa far passare la sbronza?
— Veloce o indolore?
— Veloce.
— Ridigaine — rispose subito lei. — Cosa c’è?
— Non c’è niente — ribattei. — Mayer mi sta facendo il culo perché vuole che lavori più in fretta sui suoi film, e io ho deciso che gli S mi rallentano. Ne hai un po’?
— Dovrò chiedere in giro. Trovo qualcosa e te la porto.
Non è necessario, avrei voluto dirle, ma questo l’avrebbe resa ancor più sospettosa. — Grazie.
Mentre l’aspettavo richiamai i titoli. Non mi servirono a molto. A conti fatti, le spose erano sette, e le uniche che io conoscessi erano Jane Powell e Ruta Lee, che aveva partecipato a tutti i film di serie B girati negli anni Settanta. Dorcas era Julie Newmever, che più tardi aveva cambiato il nome in Julie Newmar. Quando andai a rivedere la scena della costruzione del fienile, capii benissimo chi fosse.
Guardai, tendendo l’orecchio ai nomi degli altri personaggi. Il biondino Russ Tamblyn era innamorato della ragazza che si chiamava Alice, e Dorcas era la bruna alta. Corsi in avanti veloce alla scena del rapimento e stabilii le identità delle attrici e dei rispettivi personaggi. Quella col vestito rosa era Virginia Gibson.
Virginia Gibson. — Archivio dati attori — dissi, e poi diedi il nome dell’attrice.
Virginia Gibson aveva interpretato un bel misto di film, tra i quali Athena e le sette sorelle e qualcosa che si intitolava Ho ucciso Wild Bill Hickok.
— Musical — dissi, e l’elenco si ridusse a cinque titoli. No, quattro. In Cenerentola a Parigi c’era Fred Astaire, il che significava che il film non era disponibile per la controversia legale.
Bussarono alla porta. Spensi lo schermo, poi decisi che uno schermo vuoto mi avrebbe tradito. — Notorious — dissi, e mi prese il panico. E se anche Ingrid Bergman avesse avuto la faccia di Alis? — Annulla. — Cercai di pensare a un altro film, un film qualunque. Tranne Athena e le sette sorelle.
— Tom, stai bene? — strillò Hedda, dall’altro lato della porta.
— Arrivo! — Fissai lo schermo vuoto. Saratoga? No, c’era Ingrid anche lì; e comunque, se la cosa doveva succedere di continuo, meglio saperlo prima di richiamare qualcosa d’altro.
— Notorious — dissi sottovoce. — Fotogramma 54-119. — Aspettai che apparisse il viso di Ingrid.
— Tom! — urlò Hedda. — Ti senti male?
Cary Grant uscì dalla sala da ballo, e Ingrid lo seguì con gli occhi, ansiosa, a un passo dalle lacrime. E aveva la faccia di Ingrid, il che era un sollievo.
— Tom! — disse Hedda. Le aprii la porta.
Hedda entrò e mi porse qualche capsula azzurra. — Prendine due. Con dell’acqua. Perché non aprivi?
— Mi stavo sbarazzando delle prove incriminanti. — Indicai lo schermo. — Trentaquattro bottiglie di champagne.
— Ho visto quel film — disse lei, avvicinandosi allo schermo. — È ambientato in Brasile. Ci sono riprese di Rio de Janeiro e del Pan di Zucchero.
— Hai ragione come sempre — commentai. Poi, in tono distratto: — A proposito, tu che sai tutto, Hedda… Sai se il copyright su Fred Astaire è stato attribuito?
— No. L’ILMGM vuole ricorrere in appello.
— Quanto ci vuole perché il ridigaine faccia effetto? — Lo chiesi subito, prima che lei potesse domandarmi perché mi interessassi a Fred Astaire.
— Dipende da quanto alcol hai in circolo. Da come hai bevuto nelle ultime sei settimane.
— Sei “settimane”?
— Scherzo. Quattro ore, forse meno. Sei sicuro di volerlo prendere? E se ricominciassi ad avere dei flash?
Non le chiesi come facesse a sapere che avevo dei flash. Dopo tutto, era Hedda.
Mi passò un bicchiere. — Manda giù molta acqua. E fai tutta la pipì che puoi. — Una pausa. — Sul serio, cosa ti sta succedendo?
— Faccio terra bruciata. — Mi girai verso il fotogramma immobile sullo schermo. Cancellai un’altra bottiglia di champagne.
Lei sì chinò sulle mie spalle. — È la scena dove finiscono lo champagne e Claude Reins scende in cantina e ci trova Cary Grant?
— Non dopo che me la sarò ripassata io. Lo champagne diventerà gelato. Secondo te l’uranio dovrebbe essere nascosto nel freezer o nel sacco di salgemma?
Lei mi studiò, seria. — “Secondo me” c’è qualcosa che non va. Cos’è?
— Sono in ritardo di quattro settimane con l’elenco di Mayer, e lui mi sta strangolando, ecco cosa c’è. Sei sicura che sia ridigaine? — Scrutai le capsule. — Potrebbero essere di tutto.
— Sono sicura. — Hedda continuava a guardarmi sospettosa.
Infilai le capsule in bocca e allungai la mano verso il bicchiere di bourbon.
Hedda me lo strappò via. — Devi prenderle con “l’acqua”. — Andò in bagno. Sentii il gorgoglio del bourbon versato nel lavandino.
Hedda riemerse dal bagno e mi porse un bicchiere d’acqua. — Bevine il più possibile. Ti aiuterà a eliminare più in fretta il liquore. Niente alcol. — Aprì l’armadio, tastò con la mano, tirò fuori una bottiglia di vodka.
— “Niente” alcol — ripeté. Svitò il coperchio e tornò in bagno a versare nel lavandino. — Hai altre bottiglie?
— Perché? — le chiesi, buttandomi sul letto. — Perché hai deciso di smetterla con la chocha?
— Te l’ho detto, ne sono uscita. Alzati.
Obbedii, e lei si inginocchiò e si mise a tastare sotto il letto.
— Ecco perché so come ti sentirai dopo avere preso il ridigaine — disse, portando allo scoperto una bottiglia di champagne. — Ti verrà voglia di bere, ma non lo fare. Vomiteresti tutto. E intendo proprio tutto. — Giocherellò col tappo della bottiglia. — Quindi, non bere. E non cercare di fare niente. Sdraiati appena cominci a sentire qualcosa. Mal di testa, convulsioni. E resta sdraiato. Potresti avere allucinazioni. Serpenti, mostri…
— Conigli alti un metro e ottanta che si chiamano Harvey.
— Non sto scherzando. Quando l’ho preso ho avuto l’impressione di morire. E scrollarsi di dosso la chocha è molto più semplice che liberarsi dall’alcol.
— Perché hai smesso? — chiesi.
Lei mi scoccò un’occhiata di sbieco e ricominciò a giocherellare col tappo. — Pensavo che così qualcuno si sarebbe accorto di me.
— Ed è successo?
— No — rispose lei, e rimise le mani sul tappo. — Perché mi hai chiamata e mi hai chiesto di portarti il ridigaine?
— Te l’ho detto. Mayer…
Hedda fece saltare il tappo. — Mayer è a New York, in cerca di sostenitori per il suo nuovo boss che, stando a voci di corridoio, è sul punto di essere silurato. Pare che ai pezzi grossi dell’ILMGM non vada a genio il suo moralismo d’accatto. Per lo meno quando concerne loro. — Versò lo champagne in bagno e tornò da me. — Hai dell’altro champagne?
— A fiumi. — Mi sedetti al computer. — Fotogramma successivo — dissi, e sullo schermo apparve una marea di bottiglie di champagne. — Vuoi svuotare anche queste? — Mi girai, col sorriso sulle labbra.
Lei mi fissava molto seria. — Qual è il vero problema?
— Fotogramma successivo — dissi. Sullo schermo apparve Ingrid, ansiosa. I suoi capelli erano un’aureola. Feci sparire la coppa di champagne che teneva in mano.
— L’hai rivista, vero? — chiese Hedda.
Centro perfetto.
— Chi? — ribattei, anche se non avrei fregato nessuno. — Sì, l’ho rivista. — Feci sparire Notorious. — Vieni qui — dissi. — Voglio farti vedere una cosa.