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— Sette spose per sette fratelli — dissi al computer. — Fotogramma 25-118.

Sullo schermo c’era Jean Povvell, seduta sul carro con un cestino.

— Avanti in tempo reale — dissi, e Jane Powell diede il cestino a Julie Newmar.

— Credevo ci fosse in ballo una causa legale — disse Hedda, alle mie spalle.

— Su chi? Jane Powell o Howard Keel?

— Russ Tamblyn — rispose lei, indicando l’attore. Era salito sul carro e stava guardando con occhi languidi la biondina, Alice. — La Virtusonic lo ha usato nei suoi pornohorror, e l’ILMGM non è contenta. Sostiene che c’è stato un abuso di copyright.

Russ Tamblyn, con un’aria molto giovane e innocente che probabilmente era il vero succo della situazione, se ne andò con Alice, e Howard Keel sollevò Jane Powell per aria e la tirò giù.

— Stop — dissi al computer. — Voglio che tu guardi la scena seguente — dissi a Hedda. — Le facce. Avanti in tempo reale. — E i ballerini formarono due file e si fecero l’inchino a vicenda.

Non sapevo che reazione mi aspettassi da Hedda. Magari che ansimasse e si stringesse le mani al cuore come Lillian Gish. O che si girasse verso me a metà del numero e chiedesse: — Di preciso cosa dovrei vedere?

Non fece nessuna delle due cose. Guardò l’intera scena, muta e immobile, con lo sguardo a fuoco sullo schermo quasi ai livelli di Alis; poi disse, calma: — Non credevo che ce l’avrebbe fatta.

Per un attimo non riuscii a decifrare le sue parole per il ruggito che avevo nella testa, il ruggito che diceva: — È lei. Non è un flash. È lei.

— Tutti quei discorsi sul fatto di trovare un maestro di ballo — stava dicendo Hedda. — Tutte quelle chiacchiere su Fred Astaire. Non avrei mai pensato che avrebbe…

— Non avresti mai pensato che avrebbe fatto cosa? — chiesi, stordito.

— Questo. — Hedda agitò la mano in direzione dello schermo, dove stavano prendendo forma i lati del fienile. — Che sarebbe finita a fare la squinzia di qualcuno — disse. — Che si sarebbe prostituita. Arresa. Venduta. — Gesticolò di nuovo verso lo schermo. — Mayer ti ha detto per quale dirigente hai fatto il lavoro?

— Non l’ho fatto “io”.

— Be’, “qualcuno” lo ha fatto. Mayer deve avere chiesto a Vincent o a qualcun altro. Non mi avevi detto che Alis non voleva fare incollare la sua faccia al corpo di un’altra?

— Infatti non voleva. Non vuole — risposi. — Quello non è un copia-e-incolla. È lei. Che balla.

Hedda guardò lo schermo. Un cowboy centrò il pollice di Russ Tamblyn col martello.

— Alis non si venderebbe mai — dissi.

— Per citare un mio amico — disse Hedda — tutti si vendono.

— No. La gente si vende per ottenere quello che vuole. Farsi incollare la faccia sul corpo di un’altra non era quello che Alis voleva. Lei voleva ballare nei film.

— Forse le servivano i soldi. — Hedda riportò gli occhi sullo schermo. Qualcuno assestò un colpo a Howard Keel con un’asse, e Russ Tamblyn gli tirò un pugno.

— Forse ha capito che non poteva avere quel che voleva.

— No. — Io ripensai ad Alis sul marciapiede di Hollywood Boulevard, alla sua espressione decisa. — Tu non capisci. No.

— “Okay” — disse Hedda, in tono conciliante. — Non si è venduta. Quello non è un copia-e-incolla. — Sventolò la mano verso lo schermo. — Allora cos’è? Come ha fatto Alis a finire lì se qualcuno non l’ha incollata?

Howard Keel spinse in un angolo due attaccabrighe, e il fienile crollò, si disintegrò in un rovinio di assi e angoscia. — Non so — risposi.

Per un minuto, restammo tutti e due a guardare il disastro.

— Posso rivedere la scena? — chiese Hedda.

— Fotogramma 25-200, avanti in tempo reale — dissi, e Howard Keel si protese di nuovo a tirare giù Jane Powell. I ballerini riformarono le due file. Ed ecco là Alis che ballava nel film.

— Forse non è lei — disse Hedda. — È per questo che mi hai chiesto di portarti il ridigaine, vero? Perché pensavi fosse colpa dell’alcol.

— La vedi anche tu.

— Lo so. — Hedda aggrottò la fronte. — Però non sono troppo sicura di sapere che faccia abbia. Tutte le volte che l’ho vista ero piuttosto fatta, e lo eri anche tu. E non l’abbiamo vista poi tanto spesso, no?

Quel party, e la volta che Hedda l’aveva mandata a chiedermi i codici di accesso, e l’episodio sullo scivolo. Tutte occasioni memorabili.

— No — dissi.

— Quindi potrebbe essere un’altra che le assomiglia. I suoi capelli sono più scuri, giusto?

— Una parrucca. Parrucca e trucco possono dare un aspetto molto diverso.

— Già — disse Hedda, come se quello provasse qualcosa. — O molto simile. Magari quella tizia ha una parrucca e un trucco che la fanno somigliare ad Alis. Come si chiama l’attrice?

— Virginia Gibson.

— Forse quella Virginia Gibson e Alis si assomigliano. Ha fatto altri film? Intendo Virginia Gibson. Se sì, potremmo guardarli, vedere che faccia ha, e decidere se questa è lei o no. — Mi scrutò preoccupata. — Prima però sarà meglio che lasci fare effetto al ridigaine. Hai già qualche sintomo? Emicrania?

— No.

— Be’, ti verrà tra qualche minuto. — Hedda tolse la coperta dal letto. — Sdraiati. Ti vado a prendere dell’acqua. Il ridigaine è veloce, ma è duro. La miglior cosa, se ci riesci, sarebbe…

— Dormirci sopra — finii per lei.

Hedda arrivò con un bicchiere d’acqua e lo mise sul comodino. — Chiamami se ti vengono le convulsioni e cominci a vedere cose.

— Stando a te, le vedo già.

— Non ho detto questo. Ho solo detto che dovresti controllare quella Virginia Gibson prima di saltare alle conclusioni. “Dopo” che il ridigaine avrà fatto effetto.

— Cioè quando sarò libero dall’alcol quella non somiglierà più ad Alis.

— Cioè quando sarai libero dall’alcol se non altro riuscirai a vederla bene. — Hedda mi puntò gli occhi addosso. — Tu vuoi che sia lei?

— Penso che mi sdraierò — dissi, per spingerla ad andarsene. — Mi fa male la testa. — Sedetti sul letto.

— Comincia ad agire — disse lei, trionfante. — Chiamami se ti serve qualcosa.

— Senz’altro. — Mi sdraiai.

Lei si guardò attorno nella stanza. — Qui dentro non c’è altro alcol, vero?

— A ettolitri. — Gesticolai in direzione dello schermo. — Bottiglie, brocche, fiaschette, bicchieri. Quello che vuoi. Lì dentro c’è tutto.

— Bere servirà solo a farti stare peggio.

— Lo so — dissi, mettendomi la mano sugli occhi. — Convulsioni, elefanti rosa, conigli alti un metro e ottanta, “e lei come sta, signor Wilson?”

— “Chiamami” — disse lei, e finalmente se ne andò.

Aspettai cinque minuti perché tornasse a dirmi di fare pipì, e poi altri cinque perché apparissero serpenti e conigli, o peggio ancora Fred ed Eleanor vestiti di bianco che ballavano fianco a fianco. E intanto pensai a quello che aveva detto Hedda. Se non era un copia-e-incolla, cos’era? E non poteva essere un incollaggio. Hedda non aveva sentito Alis parlare del suo desiderio di ballare nei film. Non l’aveva vista, quella sera in Hollywood Boulevard, quando le avevo offerto l’occasione di farlo. Quella sera avrebbe potuto farsi digitalizzare, essere Ginger Rogers, Ann Miller, chiunque volesse. Persino Eleanor Powell. Perché avrebbe dovuto cambiare idea di colpo e decidere di voler essere una ballerina che nessuno aveva mai sentito nominare? Un’attrice apparsa solo in una manciata di film? Uno dei quali era interpretato da Fred Astaire.

— Siamo vicini “così” al viaggio nel tempo — aveva detto il dirigente, con pollice e indice che quasi si toccavano.