Fece una piroetta, si fermò, tornò al telecomando con le sue scarpe a pompon, diede l’indietro veloce fino a metà del numero, appena prima della piroetta, e mise il fermo immagine. Lanciò un’occhiata all’orologio del digitrasparente, poi premette un pulsante e corse al segno sul pavimento.
Le restava ancora mezz’ora al massimo, dopo di che avrebbe dovuto scollegare le sue apparecchiature, riportarle a Hollywood Boulevard, ricollegarle e aprire bottega. Non avrei dovuto interromperla. Potevo farle vedere il mio disco un’altra volta, e avevo scoperto quello che volevo sapere. Avrei dovuto chiudere la porta e lasciarla alle sue prove. Ma non lo feci. Restai lì, appoggiato allo stipite, a guardarla ballare.
Ripeté altre tre volte la parte centrale del numero, rendendo sempre più fluida la piroetta, poi tornò indietro alla fine della canzone e rifece tutto da capo. Il suo viso era attento, intenso, come lo era stato quella sera mentre guardava il continental, ma non possedeva l’estasi deliziata, il rapito abbandono della beguine.
Mi chiesi se fosse perché stava ancora imparando il numero, o se invece sarebbe stato sempre così. Il sorriso che June Allyson rivolgeva a Peter Lawford era soddisfatto, non gioioso, e il numero in sé del varsity drag era appena così così. Non era certo Cole Porter.
E in quel momento, guardandola ripetere pazientemente, all’infinito, gli stessi passi, come doveva avere fatto Fred, tutto solo in una sala prove ancora prima che iniziassero le riprese del film, capii di essermi sbagliato su Alis.
Avevo pensato che, come Ruby Keeler e l’ILMGM, credesse che tutto sia possibile. Avevo tentato di dirle che non lo è, che il semplice desiderare una cosa non significa poterla ottenere. Ma lei lo sapeva già, molto prima di conoscere me, molto prima di arrivare a Hollywood. Fred Astaire era morto l’anno della sua nascita, e lei non avrebbe mai, mai, mai potuto, nonostante la realtà virtuale e la computer grafica e i copyright, ballare la beguine con lui.
E tutto quello, i costumi e i corsi universitari e le prove dei numeri, erano semplicemente un sostituto, qualcosa da fare al posto della realtà. Come combattere nella Resistenza. A paragone di ciò che Alis era stata tanto sfortunata da desiderare, scavarsi una piccola nicchia in una Hollywood popolata di marionette e magnaccia doveva esserle parso un gioco da ragazzi.
Peter Lawford prese la mano di June Allyson, e Alis sbagliò nel girarsi e barcollò malamente. Andò a raccogliere il telecomando per tornare indietro, lanciò un’occhiata all’insegna della stazione, e mi vide. Restò a guardarmi per un lungo momento, poi si spostò in avanti e spense il digitrasparente.
— Non… — le dissi.
— Non cosa? — Lei si mise a scollegare le macchine. Infilò un camice bianco sopra il vestito rosa. — Non perdere tempo a cercare un maestro di ballo perché non ne esistono più? — Abbottonò il camice, si spostò a scollegare il cavo. — Come puoi vedere, me ne sono già resa conto. A Hollywood nessuno sa ballare. E se qualcuno lo sa, è fatto di chocha per cercare di dimenticare. — Cominciò ad arrotolare il cavo. — Tu sei fatto?
Alzò gli occhi sull’insegna della stazione, poi mise il cavo arrotolato sopra il digitrasparente e si inginocchiò davanti al miscelatore, nel fruscio della gonna. — Perché se sei fatto non ho il tempo di accompagnarti a casa e impedirti di cadere nella parete dello scivolo e frenare le tue avance. Devo riportare indietro questa roba. — Sistemò il pixar nella custodia e la chiuse.
— Non sono fatto di droga — dissi. — E non sono ubriaco. Ti sto cercando da sei settimane.
Alis sollevò il digitrasparente, lo mise nella custodia, cominciò a riporre i cavi elettrici. — Perché? Per potermi convincere che non sono Ruby Keeler? Che il musical è morto e che i computer possono fare meglio qualunque cosa io sappia fare? Benissimo. Ne sono convinta.
Sedette sulla custodia e slacciò le fibbie delle scarpe rosa. — Hai vinto. Non posso ballare nei film. — Si girò a guardare la parete a specchio, con una scarpa in mano. — È impossibile.
— No — le risposi. — Non sono venuto a dirti questo.
Lei infilò le scarpe in una tasca del camice. — Allora cosa sei venuto a dirmi? Che rivuoi indietro il tuo elenco di accessi? Benissimo. — Infilò i piedi in un paio di mocassini e si alzò. — Tanto ho già imparato quasi tutti i numeri da ballerina di fila e da prima ballerina, e continuare da sola non mi porterà da nessuna parte. Dovrò trovarmi un partner.
— Non rivoglio indietro i miei accessi — dissi.
Lei si tolse la parrucca a paggetto e scrollò quei meravigliosi capelli illuminati da dietro. — Allora cosa vuoi?
Te, pensai. Voglio te.
Alis raddrizzò le spalle di scatto e infilò la parrucca nell’altra tasca. — Di qualunque cosa si tratti, dovrà aspettare. — Si sistemò su una spalla il cavo a fibre ottiche. — Devo andare a lavorare. — Si chinò a raccogliere le custodie.
— Lascia che ti aiuti. — Mi incamminai verso lei.
— No, grazie — rispose Alis, appoggiandosi il pixar sull’altra spalla e raccogliendo il digitrasparente. — Posso fare da sola.
— Allora ti terrò la porta aperta. — E spalancai la porta.
Lei attraversò la soglia.
L’ora di punta. Pieno zeppo da parete a parete di Ray Milland e Rosalind Russell che andavano al lavoro. Nessuno si voltò a guardare Alis. Guardavano tutti le pareti, che erano all’apice dell’attività: ILMGM, più copyright di quanti ce ne siano in cielo. Il promo di Beverlv Hills Cop 15, il promo del remake di I tre moschettieri.
Chiusi la porta alle mie spalle, e un River Phoenix, accoccolato sulla striscia gialla, alzò gli occhi da una lametta da rasoio, dal palmo pieno di polvere bianca, ma era troppo fatto per capire cosa stesse vedendo. Il suo sguardo non si mise nemmeno a fuoco.
Alis era già al centro dello scivolo, con gli occhi puntati sull’insegna delle stazioni. Quando lampeggiò HOLLYWOOD BOULEVARD, si fece strada verso l’uscita, tallonata da me. Sbucammo sul Boulevard.
Era ancora buio pesto, ma tutto era aperto. E c’erano già (o magari ancora) turi in giro. Due tizi vecchiotti in bermuda, armati di videocamere, guardavano Ryan O’Neal salvare la vita di Ali McGraw al Felici E Contenti.
Alis si fermò alla saracinesca di È Nata Una Stella e armeggiò con la serratura. Cercò di inserire la tessera senza depositare un solo pezzo della sua attrezzatura. I due turi si avvicinarono.
— Faccio io — dissi, e le presi la tessera. Sollevai la saracinesca e tolsi il digitrasparente dalla mano di Alis.
— Avete Charles Bronson? — chiese uno dei due vegliardi.
— Non siamo ancora aperti — gli risposi. — Ho qualcosa da farti vedere — dissi ad Alis.
— Cosa? L’ultimo spettacolo di marionette? Un programma che fa automaticamente le prove per un numero di ballo? — Lei cominciò a sistemare il digitrasparente. Collegò i cavi elettrici, il cavo a fibre ottiche, posizionò il digitrasparente.
— Ho sempre voluto recitare in Il giustiziere della notte — disse il vegliardo. — Lo avete?
— Non siamo “aperti” — lo informai.
— Eccole il menu — disse Alis, e fece apparire il menu per il vegliardo. — Non abbiamo Charles Bronson, però abbiamo una scena di I magnifici sette. — Puntò l’indice.