Выбрать главу

Pensavo di avere due settimane, forse tre se la Columbia avesse davvero rilevato l’ILMGM. Mayer doveva essere talmente preso a cercare di decidere su quale carrozzone saltare da non avere il tempo per preoccuparsi di alcol e sigarette. Come Arthurton. Pensai di chiamare Hedda, che senz’altro era al corrente degli ultimi sviluppi, poi decisi che era una cattiva idea. E comunque, era probabile che anche lei fosse impegnata con le sue brave acrobazie per non perdere il posto.

Come minimo, una settimana. Quanto bastava per ridare a Myrna Loy i postumi della sbronza e guardare il resto dei musical. Li avevo già trovati quasi tutti, tranne Good News e The Birds and the Bees. Già che c’ero, rimisi la dulce la leche in Bulli e pupe, e il brandy in My Fair Lady, e riportai Frank Morgan al rango di ubriaco in Summer Holiday. Il lavoro fu più lento di quanto prevedessi, e dopo una settimana e mezzo mi interruppi e trasferii tutto ciò che Alis aveva fatto su disco e su nastro. Aspettandomi che Mayer bussasse alla mia porta da un momento all’altro, attaccai Casablanca.

Bussarono alla porta. Diedi l’avanti veloce sino alla fine, dove il bar di Rick era ancora pieno di limonata. Estrassi il disco di Alis, me lo infilai in una scarpa, e andai ad aprire.

Era Alis.

Il corridoio alle sue spalle era buio, ma i suoi capelli raccolti a crocchia intercettavano luce da chissà dove. Aveva un’aria stanca, come avesse appena smesso di provare. Indossava ancora il camice bianco. Intravedevo sotto calzettoni bianchi e scarpe in pelle, e due o tre centimetri di crespe rosa. In cosa si era esercitata? Il numero Abba-Dabba Honeymoon di Due settimane d’amore? O qualcosa da By the Light of the Silvery Moon?

Infilò la mano nella tasca del camice e tirò fuori il disco che le avevo dato. — Sono venuta a riportartelo — mi disse.

— Tienilo.

Lei lo guardò per qualche secondo, poi lo rimise in tasca. — Grazie. — Lo tirò fuori di nuovo. — Mi sorprende che tanti dei miei numeri ce l’abbiano fatta. Quando ho cominciato non ero molto brava. — Rigirò il disco. — Non sono ancora molto brava.

— Sei brava quanto Ruby Keeler.

Lei sorrise. — Era la ragazza di qualcuno.

— Sei brava quanto Vera-Ellen. E Debbie Reynolds. E Virginia Gibson.

Lei corrugò la fronte. Guardò il disco e poi di nuovo me, come stesse cercando di decidere se dirmi qualcosa o no. — Hedda mi ha raccontato del suo lavoro — disse. Ma non era tutto lì. — Assistente ai set. Grande. — Puntò gli occhi sullo schermo, dove Bogart stava facendo un brindisi a Ingrid. — Mi ha detto che stai riportando i film a quello che erano.

— Non tutti i film. — Indicai il disco che lei aveva in mano. — Certi remake sono meglio degli originali.

— Non ti licenzieranno? Se rimetti dentro l’alcol e tutto il resto…

— È quasi certo — risposi. — Ma è di gran lunga la migliore, migliore cosa che io abbia fatto in vita mia. E…

— Le due città. Ronald Colman — disse lei, guardando lo schermo sul quale Bogart stava dicendo addio a Ingrid, poi il disco, di nuovo lo schermo. Stava cercando di decidere cosa dire.

Lo dissi io per lei. — Sei in partenza.

Lei annuì, sempre senza guardarmi.

— Dove vai? Torni a River City?

— Una battuta di Il capobanda. — Ma Alis non sorrise. — Non posso andare avanti da sola. Ho bisogno di qualcuno che mi insegni il lavoro di piedi di Eleanor Powell. E ho bisogno di un partner.

Per un solo momento, no, nemmeno un momento, solo per il fugace passare di un fotogramma, pensai a quel che sarebbe potuto accadere se io non avessi trascorso quel lungo semestre di sbronza continua a smantellare cocktail, se lo avessi invece trascorso a Burbank, a fare pratica di piroette.

— Dopo quello che mi hai detto l’altra sera, ho pensato che per le elevazioni potrei usare un’imbracatura e una cintura dati, e ho tentato. Funziona, più o meno. Insomma…

La sua voce si interruppe su un tono d’imbarazzo, come se lei avesse voluto aggiungere dell’altro. Chissà cosa. E cosa le avevo detto, esattamente? Che forse Fred sarebbe uscito dalle dispute legali?

— Ma l’equilibrio non è giusto. Se ci fosse una persona in carne e ossa sarebbe diverso — disse. — E io ho bisogno di imparare sul serio le routine di ballo. Non è sufficiente copiarle dallo schermo.

Quindi se ne andava da qualche parte dove giravano ancora livelilm. — Dove? — chiesi. — Buenos Aires?

— No. In Cina. In Cina.

— Girano dieci livefilm l’anno — disse Alis.

E ogni anno fanno venti purghe. Per non parlare delle sollevazioni delle province. E delle sommosse contro gli stranieri.

— I loro livefilm non sono un gran che. A dire il vero, sono orribili. Sono quasi tutti film di propaganda e di arti marziali, però l’anno scorso hanno girato un paio di musical. — Un sorriso malinconico. — Amano Gene Kelly.

Gene Kelly. Però sarebbero stati numeri veri. E il braccio di un uomo attorno alla sua vita al posto di una cintura dati, le mani di un uomo che l’avrebbero sollevata in aria. La realtà.

— Parto domani mattina — disse. — Stavo preparando i bagagli e ho trovato il disco e ho pensato che magari tu lo potessi volere indietro.

— No — risposi; e poi, per non trovarmi costretto a dirle addio: — Da dove parti?

— San Francisco. Ci vado stasera con lo scivolo. E non ho ancora finito di fare le valigie. — Alis mi guardò. Aspettava che io dicessi la mia battuta.

E avevo solo l’imbarazzo della scelta. Se c’è una cosa in cui i film sono forti, sono le frasi d’addio. Da: “Fai attenzione, amore!” a: “Non chiediamo la luna quando abbiamo le stelle” a: “Torna, Shane!” Persino: “Hasta la vista, piccola”.

Ma non ne dissi nemmeno una. Restai lì a guardarla, a fissare quei suoi stupendi capelli illuminati da dietro e quel viso indimenticabile. A guardare quello che desideravo e che non potevo avere, nemmeno per pochi minuti.

E se le avessi detto: “Non partire”. Se avessi promesso di trovarle un maestro di ballo, farle ottenere una parte, allestire uno spettacolo? E già. Con un Cray che aveva forse dieci minuti di memoria, un Cray che mi sarebbe stato tolto appena Mayer avesse scoperto cosa stavo facendo?

Sullo schermo alle mie spalle Bogart stava dicendo: “Qui non c’è posto per te” e guardava Ingrid, cercando di far durare quel momento per l’eternità. Sullo sfondo, le eliche dell’aereo cominciavano a girare, e di lì a un minuto sarebbero arrivati i nazisti.

Restarono a guardarsi, e negli occhi di Ingrid si gonfiarono le lacrime, e Vincent poteva pasticciare per secoli col suo programma del pianto e non avrebbe mai ottenuto il vero articolo. O forse sì. Avevano girato Casablanca con ghiaccio secco e cartone. Ed era così reale.

— Devo andare — disse Alis.

— Lo so. — Le sorrisi. — Avremo sempre Parigi.

E stando alla sceneggiatura, lei avrebbe dovuto rivolgermi un ultimo sguardo di desiderio e salire sull’aereo con Paul Henreid, e come mai io non avevo ancora imparato che Hedda ha sempre ragione?

— Addio — disse Alis, e poi era tra le mie braccia, e io la baciavo, la baciavo, e lei sbottonava il camice, scioglieva i capelli, sbottonava il vestito rosa, e una parte di me stava pensando “Questa è una cosa importante”, ma lei si era già tolta il vestito, e i pantaloni, e adesso l’avevo sul mio letto, e lei non svanì, non si morphò in Hedda, io ero sopra lei e dentro lei, e ci muovevamo assieme, fluidi, senza sforzo, con le mani tese che si sfioravano senza toccarsi sulle lenzuola stropicciate.