Non era il momento giusto per raccontarle che non frequentavo da più di un semestre. — Infatti — dissi, aggirandola di struscio per costringerla a entrare. Mi chinai a raccogliere una camicia dal pavimento. — Vestiti da per tutto, e il letto non è fatto. — Depositai la camicia in un angolo. — Andy Hardy va al college.
Lei stava guardando il digitalizzatore col cavo a fibre ottiche. — Credevo che solo gli studios avessero i Cray.
— Faccio qualche lavoretto per loro per pagarmi l’università — dissi. E per non restare a corto di chocha.
— Che tipo di lavori? — chiese lei, scrutando l’immagine del proprio volto riflessa negli schermi argentati. Non era nemmeno il momento di dirle che la mia specialità era procurare ragazze ai dirigenti degli studios.
— Remake — risposi. Lisciai le coperte. — Siediti.
Si appollaiò sull’orlo del letto, a ginocchia strette.
— Okay. — Mi sedetti al computer. Chiesi il menu della libreria Warner. — Il continental era in Cappello a cilindro, giusto?
— Cerco il mio amore — disse lei. — Verso la fine.
— Schermo principale, ultimo fotogramma e indietro a 96 — dissi. Fred e Ginger balzarono sullo schermo e su un tavolo. — Indietro a 96 fotogrammi al secondo — e saltarono giù dal tavolo e fecero colazione e tornarono in sala da ballo.
Arrivai all’inizio del numero e lo feci partire. — Vuoi il sonoro? — chiesi.
Lei scosse la testa. La sua attenzione era già concentrata sullo schermo, e forse la mia non era stata poi una grande idea. Si protese in avanti, e sul suo viso comparve lo stesso sguardo assorto che avevo visto sotto, come stesse cercando di imparare a memoria i passi. Io avrei anche potuto non essere nella stanza, il che non era esattamente il mio obiettivo nel portarla lì.
— Menu — dissi. — Film di Fred Astaire e Ginger Rogers. — Apparve il menu. — Schermo uno, Follie d’inverno. — Di solito in cose del genere c’era sempre un gran finale di ballo, no? — Ultimo fotogramma e indietro a 96.
C’era. Sullo schermo in alto a sinistra, Fred in frac faceva piroettare Ginger vestita d’argento. — Fotogramma 102-044 — dissi, leggendo il codice sul fondo. — Avanti in tempo reale fino alla fine e ripetere. Ripetizione continua. Schermo due, Seguendo la flotta, schermo tre, Cappello a cilindro, schermo quattro, Girandola. Ultimi fotogrammi e indietro a 96.
Misi tutto in ripetizione continua e feci partire il resto dell’elenco di Fred e Ginger, riempiendo quasi tutti gli schermi di sinistra coi loro balli: piroette, tip tap, volteggi, con Fred in frac, in uniforme da marinaio, in tweed, Ginger in lunghi abiti aderenti che sotto le ginocchia fiorivano in un ribollire di piume e pelliccia e lustrini. Sgambettavano, saltavano, volavano nel carioca, nello yam, nel piccolino. E tutte inquadrature uniche. Tutte senza tagli.
Alis fissava gli schermi. L’espressione seria, intensa era svanita per lasciare il posto a un sorriso deliziato.
— Qualcosa d’altro?
— Voglio danzar con te — disse lei. — Il numero che dà il titolo al film. Fotogramma 87-1309.
Lo misi sulla fila in fondo. Fred, in un frac impeccabile, ballava con una fila di bionde in velluto nero e veli. Tutte quante avevano maschere col viso di Ginger Rogers, e se le mettevano davanti al volto e piroettavano via da Fred. Le maschere erano rigide come le facce di Hollywood.
— Qualche altro film? — chiesi, richiamando il menu. — Restano parecchi schermi. Ti va Un americano a Parigi?
— Non mi piace Gene Kelly — rispose lei.
— Okay. — Ero sorpreso. — E Meet Me in Saint Louis?
— Non ci sono veri balli. Ce n’è uno solo, Sotto il baniano, con Margaret O’Brien. Colpa di Judy Garland. Era una ballerina terribile.
— Okay — dissi, ancora più sorpreso. — Cantando sotto la pioggia? No, aspetta, Gene Kelly non ti piace.
— Il numero di Good Morning è okay.
Lo trovai. Gene Kelly, Debbie Reynolds e Ronald O’Connor che ballavano su scalini e mobili in frenetica esuberanza. Okay.
Cercai sul menu film senza Gene Kelly o Judy Garland. — Good News?
Lei annuì. — The Varsity Drag. È alla fine. Hai Sette spose per sette fratelli?
— Sicuro. Che numero?
— La costruzione del fienile. Fotogramma 27-986.
Lo richiamai. Cercai qualcosa con Ruby Keeler. — Quarantaduesima strada?
Lei scosse la testa. — È di Busby Berkeley. Non c’è vero ballo, a parte un secondo piano di un provino e circa sedici passi del numero nel parco. Non c’è mai stato vero ballo nella roba di Busby Berkeley. Hai Un giorno a New York?
— Credevo non ti piacesse Gene Kelly.
— Anne Miller — disse lei. — Il numero Uomo preistorico. Fotogramma 28-650. La Miller ha un’ottima tecnica, quando si limita al tip tap.
Non so perché fossi così sorpreso o cosa mi fossi aspettato. L’adorazione totale delle star, immagino. Ruby Keeler che ansima: “Mio Dio, signor Ziegfield, una parte nel suo spettacolo! Sarebbe meraviglioso!” O magari Judy Garland che guarda estasiata la fotografia di Clark Gable in Follie di Broadway. Ma ad Alis non piaceva Judy, e aveva liquidato Gene Kelly come fosse un ragazzino insignificante che faceva un provino per Busby Berkeley. Che a sua volta non le piaceva.
Riempii gli schermi di Fred Astaire, che le andava a genio, anche se nessuno dei suoi film a colori valeva quelli in bianco e nero. Del resto nemmeno le sue partner erano più all’altezza. Quasi tutte se ne stavano lì rigide mentre lui le faceva piroettare, oppure assumevano una posa fissa e lasciavano che lui volteggiasse attorno a loro.
Alis non guardava quelle partner. Aveva riportato gli occhi sullo schermo centrale e fissava Fred che faceva volare sul pavimento una Ginger priva di peso.
— Allora è questo che vuoi fare — dissi, puntando l’indice. — Vuoi ballare il continental?
Lei scosse la testa. — Non sono ancora abbastanza brava. Conosco solo qualche routine. Potrei fare quello — disse, indicando il Varsity Drag, e poi il numero dei cowboy di Girl Crazy. — E magari quello. Ballerina di fila, non prima ballerina.
Nemmeno questo mi aspettavo. L’unica cosa che le facce hanno in comune sotto i loro nei alla Marilyn è l’incrollabile certezza di possedere la stoffa della star. Per la maggior parte non la posseggono; non sanno recitare o fingere emozioni, non sono nemmeno capaci di una ragionevole imitazione della voce roca e della vulnerabilità sexy di Norma Jean, ma sono tutte convinte che l’unica cosa che impedisca loro di raggiungere il rango di star sia la sfortuna, non la mancanza di talento. Non ne avevo mai sentito una dire: — Non sono abbastanza brava.
— Ho bisogno di trovare un maestro di ballo — stava dicendo Alis. — Tu ne conosci qualcuno, per caso?
A Hollywood? Trovarne uno era probabile quanto imbattersi in Fred Astaire. Anzi, meno.
E se anche lei avesse avuto tanto cervello da conoscere a fondo le proprie capacità? Se avesse studiato e analizzato i film? Non sarebbe stato quello a far rinascere il musical. Non sarebbe stato quello a spingere l’ILMGM a ricominciare a girare livefilm.
Guardai gli schermi. Sulla fila in fondo, Fred stava cercando di rintracciare la vera Ginger tra le maschere. Sul terzo schermo della fila in alto, stava tentando di convincerla a fare un salto a letto: lei piroettava via, lui avanzava, lei tornava, lui si chinava su lei, lei si ritraeva languida.