Ma anche se si sono sparsi come i grani di sabbia di una clessidra rotta, i legami che li univano non si sono spezzati, sono soltanto cambiati. Adesso non si uniscono più a gruppi e a folle, non a decine e centinaia e migliaia, ma a coppie.
«Bene, sei arrivato!» esclama la madre di Shuku, quando il padre di Shuku apre la porta della piccola casa ai margini del prato. «Devi averci preceduto di alcuni giorni.»
«Benvenuta a casa», le risponde lui, in tono grave. Gli brillano gli occhi. I due adulti si prendono per mano e sollevano leggermente la testa stretta, munita di becco, in un saluto particolare, intimo e insieme molto ufficiale. Shuku ricorda all’improvviso di averglielo già visto fare quando era piccola e abitavano laggiù, molto tempo prima. Laggiù, nel suo luogo di nascita.
«Kimimmid mi chiedeva di te giusto ieri», il padre dice a Shuku, e schiocca piano una risata.
La primavera è in arrivo, la primavera è imminente. Ora celebreranno le cerimonie di quella stagione.
Dal prato arriva Kimimmid per salutare, e lui e Shuku chiacchierano insieme, passeggiano insieme lungo il pascolo e fino al ruscello. E infine, dopo un giorno o una settimana o due, lui le chiede se vuol venire a danzare.
«Oh, non saprei», risponde lei, ma nel vederlo così alto, con la schiena dritta, la testa un poco sollevata, nella posizione che precede la danza, anche lei si alza; all’inizio ha la testa bassa, anche se tiene la schiena ritta e le braccia lungo i fianchi; poi sente il desiderio di sollevare la testa sempre di più, di allargare le braccia… di danzare, danzare con lui…
E che cosa fanno i genitori di Shuku e quelli di Kimimmid, nell’orto dietro la cucina o nel vecchio frutteto, se non la stessa cosa? L’uno di fronte all’altra, sollevano la testa orgogliosa e stretta, e poi l’uomo fa un salto, con le braccia innalzate al di sopra della testa, un grande salto e un inchino, abbassandosi fin quasi a terra, e la donna lo imita… e così procede, la danza del corteggiamento. Su tutto il continente settentrionale, ora, la gente danza.
Nessuno interferisce con le coppie anziane, che rinnovano il loro corteggiamento, che rinverdiscono il loro matrimonio. Ma Kimimmid farebbe meglio a prestare attenzione.
Una sera, attraverso il prato, giunge un giovanotto che Shuku non ha mai conosciuto; è nato a qualche miglio di distanza. Ha sentito magnificare la bellezza di Shuku. Si accomoda e parla con lei. Le dice che sta costruendo una nuova casa, in un boschetto, un bel posto, più vicino alla casa di Shuku che alla sua. Sarebbe lieto di sentire la sua opinione sul modo di costruirla. E sarebbe altrettanto lieto di danzare con lei, una volta. Magari quella sera stessa, solo qualche momento, un passo o due, prima che lui se ne vada.
È un danzatore meraviglioso. Mentre danza con lui sull’erba, la sera inoltrata di una giornata di inizio primavera, Shuku ha l’impressione di essere trasportata da un grande vento, e chiude gli occhi, le sue mani volano via dai fianchi come trascinate da quel vento, e incontrano le mani di lui…
I genitori di Shuku continueranno a vivere insieme nella casa accanto al prato; non avranno altri figli, perché quel tempo è finito, per loro, ma faranno spesso l’amore, come all’inizio del loro matrimonio.
Shuku sceglie uno dei suoi corteggiatori, il nuovo venuto, a dire il vero. Va a vivere con lui e fa l’amore con lui nella casa che terminano di costruire insieme. Costruire, danzare, coltivare l’orto, mangiare, dormire, ogni atto da loro compiuto diventa un atto d’amore. E a tempo debito Shuku è incinta e a tempo debito dà alla luce due bambini. Ciascuno, alla nascita, è avvolto in una membrana resistente e bianca: in un guscio. Tutt’e due i genitori aprono con le mani e col becco la membrana, liberando il piccolo neonato, raggomitolato su se stesso, che solleva il beccuccio infinitesimale e pigola alla cieca, e già spalanca la bocca, avido di cibo e avido di vita.
Il secondo bambino è più piccolo, non ha fame. Anche se Shuku e il marito la nutrono con grande tenerezza e attenzione, e anche se la madre di Shuku viene ad abitare con loro e nutre la piccolina dal suo stesso becco e la culla senza sosta quando piange, la neonata soffre e si indebolisce.
Una mattina, mentre è in braccio alla nonna, la piccola si agita e boccheggia e infine non si muove più. La nonna piange amaramente, ricorda il fratellino di Shuku, che è sopravvissuto ancor meno, e cerca di consolare Shuku. Il padre della bambina scava una piccola fossa sul retro della nuova casa, in mezzo agli alberi coperti di gemme della lunga primavera, e mentre scava ha le lacrime agli occhi. Ma l’altra bambina, quella grande, Kikirri, cinguetta e schiocca e mangia e cresce.
Quando Kikirri comincia a rizzarsi in piedi e a gridare: «Pa!» al padre e: «Ma!» alla madre e alla nonna e: «No!» quando le dicono di interrompere quello che fa, Shuku ha un altro bambino. Come molti secondogeniti, è singolo. Un bel maschietto, minuto ma vorace. Cresce in fretta.
Sarà l’ultimo figlio di Shuku. Lei e il marito continueranno a fare l’amore, ogni volta che ne avranno il desiderio, con tutta la gioia e la tranquillità della stagione dei fiori e di quella dei frutti, nelle giornate calde e nelle notti tiepide, al fresco sotto gli alberi e all’aperto, nel calore del pascolo sotto il sole del mezzogiorno, pieno del brusio degli insetti, ma sarà, come si dice, «amore per lusso»; non ne verrà altro che amore.
I figli degli ansar vengono al mondo solo all’inizio della primavera, poco dopo il loro ritorno al luogo di nascita. Alcune coppie hanno quattro figli, molte ne hanno tre, ma spesso, se i primi due crescono regolarmente, non c’è un secondo concepimento.
«Be’, vi risparmiate la nostra maledizione delle nascite eccessive», dissi a Kergemmeg quando mi raccontò questi particolari. E lui mi diede ragione, quando gli ebbi parlato un po’ del nostro piano.
Ma non voleva darmi l’impressione che un ansar non avesse alcuna scelta nella riproduzione e nel sesso. La vita di coppia è la regola, le disposizioni e le avversioni umane cambiano, piegano e spezzano la regola, e mi riferì di queste eccezioni. Molte coppie sono costituite di due donne o di due uomini. Spesso, queste coppie, e le altre che sono prive di figli, ricevono un bambino da una coppia che ne ha tre o quattro, o adottano un orfano e lo allevano.
Ci sono persone che non prendono un compagno e persone che ne prendono parecchi, nello stesso tempo o in sequenza. C’è naturalmente l’adulterio. E c’è la violenza. È brutto essere una ragazza in mezzo agli ultimi ritardatari che giungono da sud, perché il desiderio sessuale è già molto forte in loro. Le giovani donne vengono spesso violentate dal gruppo e arrivano al luogo di nascita brutalizzate, senza compagno e incinte.
Un uomo che non trova una compagna, o è in rotta con la moglie, può lasciare la casa e allontanarsi come venditore di aghi e di filo, o come stagnaro e arrotino; questi viandanti sono apprezzati per le loro merci, ma suscitano molta diffidenza quanto ai motivi che li spingono a quella professione.
Dopo avere parlato con lui per parecchie delle sue sere, alla luce violacea del cielo e tra i riflessi sull’acqua, rinfrescati dalla debole brezza di mare, chiesi a Kergemmeg della sua vita. Aveva seguito il Madan, la regola, la Via, sotto ogni aspetto meno uno, mi spiegò.
Si era sposato dopo la sua migrazione al nord. La moglie gli aveva dato due figli, tutt’e due nati nel primo concepimento, un maschio e una femmina, che naturalmente li avevano seguiti a suda tempo debito. L’intera famiglia si era di nuovo riunita per la sua seconda migrazione a nord e tutt’e due i figli si erano stabiliti a poca distanza da loro; di conseguenza conosceva bene i suoi cinque nipoti. Lui e la moglie avevano trascorso in città diverse la maggior parte della loro terza stagione: lei, insegnante di astronomia, si era recata ancora più a sud, all’Osservatorio, mentre Kergemmeg era rimasto a Terke Keter per studiare con un gruppo di filosofi. Poi lei era morta improvvisamente per un arresto cardiaco. Il marito aveva preso parte al suo funerale.