Non si è mai notata alcuna reazione ostile tra i gruppi e in effetti nessun osservatore ha mai riferito di avere visto un litigio o una rissa tra asonu adulti. Le discussioni, naturalmente, sono fuori questione.
I bambini tra i due e i sei anni chiacchierano in continuazione tra loro, discutono, litigano, si lamentano, s’insultano e talvolta vengono anche alle mani. Quando arrivano ai sei o sette anni, cominciano a parlare meno e a ridurre i bisticci. Tra gli otto e i nove, molti di loro cominciano a essere molto concisi e rispondono con riluttanza alle domande, tranne che con i gesti. Ormai hanno imparato a evitare silenziosamente i turisti e i linguisti con i quaderni d’appunti e gli strumenti per registrare. Gli adolescenti sono silenziosi e pacati come gli adulti.
A occuparsi dei bambini più piccoli sono per la maggior parte del tempo i loro compagni tra gli otto e i dodici anni. Tutti i giovani sub-adolescenti del gruppo familiare passano la giornata insieme; in simili raggruppamenti i bambini dai due ai sei anni forniscono i modelli linguistici ai più piccoli. I più grandi possono lanciare qualche breve grido senza parole, nell’eccitazione della partita, mentre giocano a rincorrersi o a nascondino; a volte redarguiscono l’errore di un bambino piccolo con un «Fermo!» o: «No!» esattamente come l’Anziana di Isu ha mormorato: «Scotta!» a un bambino che si avvicinava a una fiamma invisibile, anche se, naturalmente, l’Anziana potrebbe avere utilizzato quella circostanza come una parabola, allo scopo di proferire un enunciato di profondo significato spirituale, quale è riportato nell’Interpretazione dell’Ohio.
Anche il canto perde le parole a mano a mano che chi lo canta diventa più vecchio. Un ritornello cantato durante un gioco dai bambini piccoli ha queste parole:
I bambini di cinque o sei anni insegnano le parole del canto ai più piccoli. I bambini più vecchi di loro partecipano con divertimento al gioco, fingendo di incespicare e cadendo con grida gioiose su mucchi di bambini che si contorcono per rialzarsi, ma non cantano le parole: solo il motivo, che viene vocalizzato su una sillaba neutra.
Gli asonu adulti canticchiano o addirittura cantano mentre lavorano, pascolano gli animali o quando cullano i bambini più piccoli. Alcune di queste nenie sono tradizionali, altre improvvisate. Molti usano motivi basati sui fischi degli anamanu. Nessuno di quei canti ha parole; tutti sono cantati a bocca chiusa o con semplici vocalizzi. Ai raduni dei clan, ai matrimoni e ai funerali la musica corale cerimoniale è ricca di melodie e l’armonia è complessa e raffinata. Non si usano strumenti; solo la voce. I cantanti fanno pratica per giorni prima della cerimonia. Alcuni studiosi della musica degli asonu credono che le loro particolari intuizioni o conoscenze spirituali trovino espressione in quei grandi corali senza parole.
Io tendo a riconoscermi maggiormente nell’opinione di altri che, dopo essere vissuti per molto tempo tra gli asonu, credono che il loro canto collettivo sia un elemento di una celebrazione sacra, e che sia certamente un’arte, un atto di festeggiamento collettivo, e la piacevole e liberatoria espressione dei propri sentimenti, ma non di più. Quel che per loro è sacro rimane inespresso.
I bambini chiamano gli adulti con nomi che indicano il grado di parentela: madre, zio, sorella, amico ecc. Se gli asonu hanno nomi di persona, noi non li conosciamo.
Una decina di anni fa, un fanatico credente nella Saggezza Segreta degli Asonu rapì in pieno inverno una bambina di quattro anni, appartenente a uno dei clan della montagna. Aveva ottenuto un permesso da raccoglitore di esemplari per i giardini zoologici e l’aveva contrabbandata nel nostro piano in una gabbia per animali con la scritta ANAMANU. Nella convinzione che gli asonu imponessero il silenzio ai bambini, intendeva spingere la bambina a continuare a parlare mentre cresceva. In questo modo, pensava, una volta raggiunta l’età adulta, la bambina avrebbe potuto comunicare tutta la sua Sapienza Innata: la stessa che la sua gente l’avrebbe costretta a tenere segreta.
Per il primo anno o poco più, la bambina parlò con il rapitore, il quale, a parte l’abominevole crudeltà della sua azione, pare l’avesse trattata in modo abbastanza umano. L’uomo aveva una limitata conoscenza della lingua Asonu e la bambina vedeva solo un piccolo gruppo di appartenenti alla setta, che venivano a guardarla con adorazione e ad ascoltarla. Il vocabolario e la sintassi della bambina non solo non aumentarono, ma cominciarono ad atrofizzarsi. Divenne sempre più taciturna.
Frustrato nelle sue intenzioni, il fanatico decise di insegnarle l’inglese in modo che la bambina potesse comunicare in un’altra lingua la sua Sapienza. Abbiamo solo la deposizione del rapitore, nella quale ha detto che si «rifiutava di imparare», taceva o parlava con voce così bassa da risultare impercettibile quando le chiedeva di ripetere le parole, e che «non obbediva». Con il passare del tempo, non la esibì più alle altre persone. Quando infine alcuni membri della setta si decisero a informare le autorità, la bambina aveva circa sette anni. Ne aveva passati tre nascosta in uno stanzino sotterraneo. Per un anno o più era stata percossa e frustata regolarmente «per insegnarle a parlare», spiegò il rapitore, «perché è troppo ostinata». La bambina era muta, impaurita, denutrita e portava i segni delle percosse.
Venne immediatamente restituita alla famiglia, che da tre anni la piangeva, convinta che si fosse allontanata e si fosse persa nel ghiacciaio. La accolsero con lacrime di gioia e di dolore. Le sue successive condizioni non sono note, perché l’Agenzia Interplanaria ha chiuso l’intera area a qualunque visitatore, turista o scienziato, a partire dal momento del suo ritorno.
Da allora nessun forestiero è salito sulle montagne degli asonu. È certamente lecito pensare che i parenti della bambina siano indignati da quanto è successo; tuttavia, non ne hanno mai fatto parola.
COME SENTIRSI A CASA TRA GLI HENNEBET
Mi aspetto che la gente che non mi somiglia, non mi somigli — una ragionevole aspettativa, per quanto le aspettative possano essere ragionevoli — ma la mia mente comincia a vacillare leggermente, quando deve ammettere che le persone che mi assomigliano potrebbero non assomigliarmi.
Gli hennebet hanno un aspetto straordinariamente simile al mio. Intendo dire che non soltanto hanno la stessa forma complessiva e la stessa dimensione delle persone del mio piano, con le dita delle mani e dei piedi, le orecchie e tutte le altre cosine che controlliamo sui neonati, ma che hanno anche pelle pallida, capelli scuri, occhi miopi nelle tonalità tra il castano e il verde, corporatura massiccia e statura media. Quando stanno fermi sono tutt’altro che eleganti. I giovani sono agili e svegli, i vecchi sono pensosi e portati a dimenticare.
Gente timida e poco avventurosa, amano i paesaggi e tendono a tenersi lontano dagli stranieri, sono monogami, amano il lavoro, sono leggermente dispeptici e profondamente domestici.
Quando giunsi la prima volta nel loro piano, mi trovai immediatamente a mio agio, e — forse perché assomigliavo a uno di loro e, addirittura, sotto alcuni aspetti, mi comportavo come uno di loro — gli hennebet non sentivano la tentazione di scappare immediatamente quando mi vedevano.