Sapeva che quell’uomo aveva ragione. Avrebbe potuto ucciderlo se l’avesse attaccata, ma non sarebbe mai stata capace di sparargli mentre se ne andava.
Frye si rese conto che le sue parole avevano colpito nel segno, anche se lei non aveva detto nulla, e si voltò per andarsene. Quel gesto sprezzante la mandò su tutte le furie, ma non riuscì a premere il grilletto. Si era avvicinato lentamente all’uscita, ma ora camminava a grandi passi e a testa alta, senza nemmeno guardarsi alle spalle. Scomparve oltre la porta devastata e il rumore dei passi riecheggiò lungo il corridoio.
Quando Hilary lo udì scendere le scale, si rese conto che sarebbe anche potuto rimanere nella casa. Senza essere visto, avrebbe potuto infilarsi in una delle stanze del piano di sotto e nascondersi in un armadio, aspettando pazientemente che la polizia se ne fosse andata per poi uscire dal suo nascondiglio e coglierla di sorpresa. Corse in cima alle scale giusto in tempo per vedere l’uomo che girava a sinistra, verso l’ingresso. Un attimo più tardi, lo sentì armeggiare con le serrature; poi uscì, sbattendosi fragorosamente la porta alle spalle.
Era quasi giunta in fondo alle scale quando le venne in mente che forse aveva solo fatto finta di andarsene. Forse aveva sbattuto la porta senza uscire. Forse la stava aspettando nell’ingresso.
Hilary teneva la pistola lungo il fianco, con la canna rivolta verso il pavimento, ma la alzò prontamente, in preda a un terrore cieco. Scese le scale e si bloccò sull’ultimo gradino, rimanendo con le orecchie tese. Alla fine si sporse in avanti per riuscire a lanciare un’occhiata all’ingresso. Era deserto. La porta dell’armadio era spalancata. Frye non era neppure lì dentro. Se n’era andato davvero.
Hilary chiuse la porta dell’armadio.
Andò verso la porta d’ingresso e chiuse anche quella a doppia mandata.
Muovendosi lentamente, attraversò il soggiorno e si diresse verso lo studio. Nella stanza si sentiva il profumo di limone del prodotto usato per i mobili: il giorno prima c’erano state le due donne dell’impresa di pulizie. Hilary accese la luce e si avvicinò all’enorme scrivania. Appoggiò la pistola al centro del tampone di carta assorbente.
Sul tavolino accanto alla finestra era appoggiato un vaso pieno di rose rosse e bianche. Davano un tocco dolciastro all’aria che sapeva di limone.
Si sedette alla scrivania e prese il telefono che aveva davanti. Cercò il numero della polizia.
Improvvisamente e inaspettatamente, gli occhi le si riempirono di calde lacrime. Cercò di trattenerle. Era Hilary Thomas e Hilary Thomas non piangeva. Non piangeva mai. Hilary Thomas era forte. Hilary Thomas poteva sopportare le offese e le ingiurie peggiori senza lasciarsi mai andare. Hilary Thomas sapeva sempre come comportarsi in modo corretto. Cercò di strizzare gli occhi ma non riuscì a contenere il flusso di lacrime. Le rigavano le guance per poi sostare un attimo agli angoli della bocca e scivolare lungo il mento. Dapprima pianse sommessamente, senza emettere il benché minimo rumore, ma dopo un paio di minuti, cominciò a tremare e a sussultare e fu costretta a rompere il silenzio. Dal fondo della gola le salì un suono soffocato che si trasformò rapidamente in un grido acuto di disperazione. Poi scoppiò. Proruppe in un gemito raccapricciante e si strinse con le braccia. Si abbandonò ai singhiozzi, cercando invano di riprendere fiato. Prese un Kleenex dal pacchetto appoggiato sulla scrivania, si soffiò il naso, cercò di riprendersi ma rabbrividì e ricominciò a singhiozzare.
Non stava piangendo perché Frye le aveva fatto male. Non le aveva procurato alcun danno serio e tanto meno irreparabile: almeno non fisicamente. Stava piangendo perché quell’uomo l’aveva violata, anche se le risultava diffìcile usare quel termine. Ribolliva di rabbia e di vergogna. Anche se non l’aveva stuprata, anche se non era riuscito a strapparle i vestiti, aveva comunque distrutto la sua sfera di cristallo, la sua privacy, una barriera che si era costruita con la massima attenzione e che rivestiva un’enorme importanza per lei. Si era introdotto nel suo mondo ben ordinato e aveva toccato dappertutto con le sue manacce sporche.
Quella stessa sera, al miglior tavolo della Polo Lounge, Wally Topelis aveva cercato di convincerla che avrebbe potuto abbassare la guardia almeno di qualche millimetro. Per la prima volta in ventinove anni, aveva seriamente preso in considerazione la possibilità di vivere allentando le difese con le quali era praticamente cresciuta. Grazie alle buone notizie e all’interessamento di Wally, era rimasta affascinata dall’idea di poter vivere la sua vita senza quella paura che l’attanagliava da sempre. Una vita con molti amici. Molto relax. Molto divertimento. Quella nuova vita pareva un bel sogno, difficile da raggiungere ma per cui valeva la pena di lottare. Ma Bruno Frye aveva afferrato quel fragile sogno per la gola e l’aveva soffocato. Le aveva ricordato che il mondo era un posto pericoloso, una cantina buia con creature spettrali nascoste negli angoli. Proprio mentre cercava di uscire dall’inferno, prima che avesse la possibilità di apprezzare il mondo, quell’uomo le aveva sferrato un calcio a tradimento e l’aveva fatta ricadere in quella voragine, in mezzo al dubbio, alla paura e alla diffidenza, sprofondata nella terribile quiete della solitudine.
Piangeva perché si sentiva violata. E perché era stata umiliata. E perché lui le aveva rubato la speranza e l’aveva calpestata come il più prepotente della scuola avrebbe fatto con il giocattolo preferito del bambino più indifeso.
2
Impressioni.
Anthony Clemenza ne era affascinato.
Al tramonto, prima ancora che Hilary Thomas rientrasse a casa, mentre stava guidando in mezzo alle colline nel tentativo di rilassarsi, Anthony Clemenza e il suo collega, il tenente Frank Howard, stavano interrogando il proprietario di un bar di Santa Monica. Oltre l’enorme vetrata della sala posta a occidente, il sole che stava calando creava continui giochi di luce color porpora, arancio e argento sul mare sempre più scuro.
Era un bar per single chiamato Paradise, punto d’incontro per i solitari cronici e i vogliosi inguaribili di entrambi i sessi, che un tempo si trovavano alle feste parrocchiali, dai vicini, ai picnic o in club privati ormai rasi al suolo da bulldozer reali o psicologici per lasciare posto a enormi grattacieli, condomini di cristallo e cemento, pizzerie e parcheggi a cinque piani. Il Paradise era il classico locale in cui il ragazzo dell’era spaziale incontrava la sua extraterrestre, lo stallone macho faceva conoscenza con la piccola ninfomane, la timida segretaria di Chatsworth arrossiva davanti allo scialbo programmatore di computer di Burbank e in cui, a volte, il violentatore trovava la sua vittima.
Agli occhi di Anthony Clemenza, era sufficiente osservare i clienti del Paradise per farsene un’idea. Le donne più belle e gli uomini più affascinanti sedevano impettiti sugli sgabelli del bar o a microscopici tavolini, con le gambe accavallate in modo perfettamente geometrico, i gomiti appena piegati, in posa per mostrare i tratti regolari del viso e il corpo muscoloso; davano l’impressione di eleganti strutture angolari mentre si studiavano e si corteggiavano l’un l’altro. Le persone meno attraenti della crème de la crème, ma comunque innegabilmente piacenti, avevano la tendenza a sedersi in posizione meno regale, cercando di mascherare con un’aria rilassata la mancanza di forma fìsica. Il loro atteggiamento parlava chiaro: Qui sono perfettamente a mio agio, mi sento tranquillo, non mi faccio impressionare da quelle stupende ragazze impettite o da quei ragazzotti muscolosi, ho fiducia in me stesso e nella mia persona. Gli appartenenti a quel gruppo si muovevano, cercando di apparire aggraziati e disinvolti, usando le morbide rotondità del corpo per nascondere eventuali imperfezioni fisiche. Nel bar c’era poi un terzo gruppo, il più numeroso, composto da persone assolutamente normali, né belle né brutte, che si accalcavano con aria ansiosa negli angoli o sfrecciavano da un tavolo all’altro scambiandosi sorrisi a trentadue denti o battutine nervose, preoccupate solo di trovare qualcuno che le accettasse per quello che erano.