Ritornò il capocameriere, Wally lo chiamò Eugene e gli chiese dei bambini. Eugene sembrava osservare Wally con affetto e Hilary si rese conto che per ottenere il miglior tavolo della Polo Lounge forse era necessario trattare il personale come vecchi amici e non semplici servitori.
Eugene aveva una bottiglia di champagne e la porse a Wally perché la controllasse.
Hilary lanciò un’occhiata all’etichetta. «Dom Pérignon?»
«Ti meriti il meglio, agnellino mio.»
Eugene tolse la carta stagnola dal collo della bottiglia e iniziò a liberare il tappo.
Hilary aggrottò la fronte. «Devi avere notizie davvero pessime per me.»
«Perché dici una cosa del genere?»
«Una bottiglia di champagne da cento dollari…» Hilary lo osservò con attenzione. «Immagino serva a consolare il mio orgoglio e a lenire le ferite.»
Il tappo saltò via. Eugene sapeva il fatto suo. Solo poche gocce del prezioso liquido fuoriuscirono dalla bottiglia.
«Sei troppo pessimista,» disse Wally.
«Sono realista.»
«La maggior parte della gente avrebbe detto: ‘Ah, champagne! Che cosa stiamo festeggiando?’ Ma non Hilary Thomas.»
Eugene versò un dito di Dom Pérignon. Wally la assaggiò e annuì.
«Stiamo festeggiando?» chiese Hilary. Non aveva neppure preso in considerazione quella possibilità e improvvisamente si sentì incredibilmente debole.
«A dire la verità, sì,» rispose Wally.
Eugene riempì lentamente i due bicchieri e infilò la bottiglia nel prezioso secchiello per il ghiaccio con la massima attenzione. Chiaramente, voleva rimanere nei paraggi il più possibile per ascoltare il motivo per cui stavano festeggiando.
Ed era altrettanto ovvio che Wally volesse renderlo partecipe della notizia affinchè potesse diffonderla. Facendo una smorfia alla Cary Grant, si sporse verso Hilary e mormorò: «Abbiamo concluso l’affare con la Warner Brothers.»
La donna lo fissò, socchiuse gli occhi, spalancò la bocca per parlare, ma non riuscì a proferire parola. Alla fine farfugliò: «Non è vero.»
«Invece sì.»
«Non è possibile.»
«Invece è possibile.»
«Non può essere così facile.»
«Te l’ho detto, ce l’abbiamo fatta.»
«Non mi lasceranno curare la regia.»
«Oh, sì.»
«Non mi lasceranno fare il montaggio.»
«Sì, farai tu anche quello.»
«Mio Dio.» Era sbalordita. Si sentiva stravolta.
Eugene si congratulò con lei e si allontanò.
Wally scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Sai una cosa? Avresti potuto recitare meglio la tua parte per Eugene. Fra non molto la gente ci vedrà festeggiare e chiederà a Eugene di che cosa si tratta: e lui sicuramente racconterà tutto. Lascia che il mondo pensi che tu sei sempre stata convinta di poter ottenere quello che volevi. Mai mostrare i propri dubbi o la propria paura mentre si nuota in mezzo agli squali.»
«Non stai scherzando, vero? Abbiamo davvero ottenuto quello che volevamo?»
Alzando il calice, Wally esclamò: «Un brindisi alla più dolce delle clienti, con la speranza che un giorno capisca che non tutto il male viene per nuocere e che esistono anche molte mele senza verme dentro.»
Fecero tintinnare i bicchieri.
Poi Hilary proseguì: «Devono aver aggiunto un mucchio di clausole al contratto. Un budget limitato. Stipendi da fame. Nessuna percentuale sugli incassi e roba del genere.»
«Smettila di cercare il pelo nell’uovo,» la rimproverò lui esasperato.
«Non sto mangiando uova.»
«Che spiritosa.»
«Sto bevendo una coppa di champagne.»
«Hai capito benissimo quello che voglio dire.»
Lei fissava le bollicine nella coppa di Dom Pérignon.
Anche dentro di lei era come se si fossero sviluppate centinaia di bollicine, una catena interminabile di minuscole perle di gioia; ma c’era una parte di lei che si comportava da tappo, cercando di contenere l’emozione, per mantenerla al sicuro, sotto pressione, imbottigliata e ben protetta. Aveva paura di essere troppo felice. Non voleva sfidare il destino.
«Proprio non riesco a capire,» sbottò Wally. «Sembra quasi che l’affare non sia andato in porto. Ma mi sono spiegato bene, vero?»
Hilary sorrise. «Mi dispiace. E solo che… da ragazzina ho imparato ad aspettarmi sempre il peggio. In quel modo, non rimanevo mai delusa. È l’atteggiamento migliore, quando si vive con una coppia di alcolizzati violenti e delusi.»
L’uomo la guardò con dolcezza.
«I tuoi genitori se ne sono andati,» mormorò teneramente. «Morti. Tutt’e due. Non possono più farti nulla, Hilary. Non possono più farti del male.»
«Negli ultimi dodici anni ho trascorso la maggior parte del tempo cercando di convincermi di questo.»
«Hai mai preso in considerazione la psicoanalisi?»
«Ci sono andata per due anni.»
«E non è servita?»
«Non molto.»
«Forse con un medico diverso…»
«Sarebbe lo stesso,» lo interruppe Hilary. «C’è un’incongruenza nella teoria freudiana. Gli psichiatri sono convinti che tu possa cambiare appena ti rendi conto che sono stati i traumi infantili a trasformarti in un adulto nevrotico. Credono che la parte più difficile consista nel trovare la chiave e che a quel punto sia possibile aprire la porta in un minuto. Ma non è così semplice.»
«Devi desiderare di cambiare.»
«Ma neanche questo è tanto semplice.»
Rigirò la coppa di champagne più volte fra le mani piccole e ben curate. «Be’, se ogni tanto ti va di parlare, io sono sempre disponibile.»
«Ti ho già assillato a sufficienza.»
«Sciocchezze. Mi hai raccontato ben poco. Solo i fatti salienti.»
«È una storia noiosa.»
«Neanche per sogno, te l’assicuro. La storia di una famiglia lacerata dall’ingiustizia, dall’alcolismo, dalla follia, dall’omicidio e dal suicidio e una bambina innocente intrappolata nel mezzo… Come sceneggiatrice dovresti renderti conto che è il genere di plot che non può certo annoiare.»
Hilary sorrise debolmente. «Comunque sento che devo uscirne da sola.»
«Di solito è utile parlarne…»
«Io ne ho già parlato all’analista e ho provato anche con te, ma non è servito poi a molto.»
«Ma parlare ti è stato di aiuto.»
«Ho fatto tutto quello che potevo. Ora devo soltanto decidermi a parlare con me stessa. Devo confrontarmi con il mio passato da sola, senza contare sul tuo aiuto o su quello di un medico: e questo è qualcosa che non sono mai riuscita a fare.» Una ciocca di capelli scuri le era caduta su un occhio; la scostò dal viso e se la portò dietro l’orecchio. «Prima o poi, metterò la testa a posto. È solo una questione di tempo.»
Ma ne sono davvero convinta? si chiese.
Wally la fissò per un attimo e poi disse: «Be’, immagino tu sappia quello che stai facendo. Nel frattempo, alziamo i calici.» Levò la coppa di champagne. «Stai attenta e cerca di sorridere in modo che tutte le personalità che ci stanno guardando possano invidiarti e desiderare di lavorare con te.»
Avrebbe voluto appoggiarsi allo schienale, bere coppe su coppe di Dom Pérignon ghiacciato e lasciarsi invadere dalla felicità, ma non riusciva a rilassarsi completamente. Non riusciva a scrollarsi di dosso l’oscurità spettrale che avvolgeva ogni cosa, quell’incubo inquietante pronto a balzare fuori e a divorarla. Earl ed Emma, i suoi genitori, l’avevano costretta a entrare in una minuscola scatola piena di paura, avevano chiuso il pesante coperchio e avevano buttato via la chiave; da quel giorno aveva sempre osservato il mondo esterno dagli angusti confini di quella scatola. Earl ed Emma le avevano inculcato un tranquillo anche se costante e incrollabile senso di paranoia, in grado di rovinare irrimediabilmente tutte le cose belle, tutto quello che sarebbe potuto essere gioioso e piacevole.