Glassgold si mordicchiò un labbro. — Non avrei dovuto indagare — si scusò Chi-Yuen. — Speravo di aiutarti.
— Ti racconterò tutto — disse Glassgold. — Ho la sensazione che tu possa veramente aiutarmi. Sei più giovane di me, ma hai visto più cose. — Incrociò le dita in grembo. — Però io stessa non sono sicura di quanto ti dico. Perché le città hanno cominciato ad apparirmi vuote e volgari? E quando mi sono recata a casa per visitare i miei, la regione sembrava tronfia e vuota. Ho pensato di poter trovare uno scopo?… quassù. Non so. Mi sono offerta per questo posto senza riflettere, impulsivamente. Quando mi hanno convocata per farmi esami più seri, i miei genitori hanno dato in escandescenze finché non ho più avuto possibilità di tirarmi indietro. Eppure eravamo sempre stati una famiglia molto unita. È stato per me un gran dolore doverli abbandonare. Mio padre, che mi era sempre sembrato così grande e sicuro di sé, era diventato di colpo piccolo e vecchio.
— C’entrava anche un uomo? — chiese Chi-Yuen. — Te lo dirò, perché non è un segreto — lui e io eravamo fidanzati, e tutto ciò che riguarda questo equipaggio e che è diventato di dominio pubblico è stato registrato sulle nostre schede personali — per me c’era.
— Uno studente, un mio compagno — disse umilmente Glassgold. — Lo amavo. Lo amo ancora. Egli si rendeva a malapena conto della mia esistenza.
— Non è un caso raro — replicò Chi-Yuen. — O si riesce a superare il trauma o si arriva a farne una malattia. Tu, Emma, sei sana di mente. Hai soltanto bisogno di uscire dal tuo guscio. Unisciti ai nostri compagni di viaggio, interessati a loro. Esci per un po’ dalla tua cabina e va’ in quella di un uomo.
Glassgold arrossì. — Non ho familiarità con queste cose.
Chi-Yuen sollevò le sopracciglia. — Sei vergine? Non possiamo permettercelo, se dobbiamo dare inizio a una nuova razza su Beta Tre. Il materiale genetico è scarso.
— Voglio un matrimonio decente — replicò Glassgold con una punta di stizza, — e quanti figli Dio vorrà darmi. Ma essi dovranno sapere chi è il loro padre. Non ci sarà nessun inconveniente se, durante il viaggio, non mi presterò al ridicolo gioco di passare da un letto a un altro. A bordo abbiamo fin troppe ragazze che ci stanno.
— Come me. — Chi-Yuen era imperturbabile. — Senza dubbio si creeranno relazioni stabili, ma, nel frattempo, di tanto in tanto, perché non dare e non ricevere alcuni momenti di piacere?
— Mi dispiace — esclamò Glassgold. — Non avrei dovuto citare fatti privati. Specialmente quando le esistenze sono state tanto diverse quanto la tua e la mia.
— È vero. Ma non sono d’accordo nel dire che la mia sia stata meno fortunata della tua. Al contrario.
— Cosa? — Glassgold rimase a bocca aperta. — Non vorrai dirlo seriamente!
Chi-Yuen sorrise. — Tu hai compreso il mio passato soltanto in superficie, Emma, se mai lo hai fatto. Posso indovinare che cosa stai pensando. Il mio paese diviso, impoverito, reso spastico dalle tragiche conseguenze delle rivoluzioni e delle guerre civili. La mia famiglia, colta e legata alle tradizioni, ma povera, di quella povertà disperata che nessuno tranne gli aristocratici caduti in tempi dannati ha conosciuto. I loro sacrifici per mantenermi alla Sorbona, quando me ne capitò l’opportunità. Dopo che io ebbi preso la laurea, il lavoro duro e i sacrifici che affrontai a mia volta, per aiutarli a rimettersi in piedi. — Volse il viso verso la declinante luce del Sole e aggiunse, con voce più bassa: — Quanto al mio uomo: anche noi eravamo studenti insieme, a Parigi. Più tardi, come ti ho detto, ho dovuto spesso star lontana da lui per via del mio lavoro. Alla fine si è recato a visitare i miei genitori a Pechino. Dovevo raggiungerlo il più presto possibile e ci saremmo sposati, legalmente e religiosamente oltre che di fatto. Scoppiò una rissa. Egli fu ucciso.
— Oh, cara… — cominciò Glassgold.
— Questo in superficie — la interruppe Chi-Yuen. — In superficie soltanto. Non capisci, anch’io ho avuto genitori che mi amavano, forse più dei tuoi, perché alla fine mi hanno capito a tal punto che non si sono opposti alla mia decisione di lasciarli per sempre. Ho visto gran parte del mondo, più di quanto si possa vedere viaggiando ben protetti in prima classe. E ho avuto il mio Jacques. E altri, prima, dopo, come egli avrebbe voluto. Sono slegata da tutto, priva di rimpianti e di dolori che non possono cicatrizzarsi. La fortuna è dalla mia parte, Emma.
Glassgold non rispose a parole.
Chi-Yuen la prese per la mano e si alzò. — Devi riuscire a liberarti di te stessa — disse la planetologa. — Alla lunga, soltanto tu potrai insegnare a te stessa come riuscirci. Ma forse posso aiutarti un po’. Vieni alla mia cabina. Ti farò un abito che renda giustizia alla tua bellezza. La festa del Giorno del Patto sta per arrivare e voglio che tu ti diverta.
Pensate: un solo anno-luce è un abisso inconcepibile. Misurabile, ma inconcepibile. A velocità normale — per esempio, a un’andatura ragionevole per una automobile nel traffico delle megalopoli, due chilometri al minuto — si impiegherebbero quasi nove milioni di anni per percorrere tutto il tragitto. E nei dintorni del Sole le stelle distano tra loro in media nove anni-luce. Beta Virginis dista trentadue anni-luce.
Eppure, simili spazi potevano essere conquistati. Un’astronave che acceleri continuamente a gravità uno percorrerebbe mezzo anno-luce in un periodo leggermente inferiore a un anno solare. E si muoverebbe a una velocità molto prossima a quella assoluta, trecentomila chilometri al secondo.
Sorgevano problemi pratici. Da dove sarebbe stata ricavata l’energia di massa necessaria a portare a termine una simile impresa? Anche in un universo newtoniano, l’idea di un razzo che portasse con sé fin dalla partenza una simile quantità di carburante sarebbe stata ridicola. E lo era ancora di più nel vero cosmo, quello einsteiniano, dove la massa dell’astronave e il carico utile aumentavano con la velocità, tendendo all’infinito man mano che la velocità del mezzo si avvicinava a quella della luce.
Ma il carburante e la massa di reazione erano presenti nello spazio stesso! In esso era infatti presente l’idrogeno. Certo, non aveva un’alta concentrazione, secondo i moduli terrestri: circa un atomo di idrogeno per centimetro cubico nella zona galattica vicino al Sole. Ciò nonostante, equivaleva a trenta miliardi di atomi al secondo che avrebbero colpito ogni centimetro quadrato della sezione trasversale dell’astronave, mentre la sua velocità si approssimava a quella della luce (la situazione era paragonabile ai primi stadi del viaggio, dal momento che il pulviscolo interstellare era più denso in vicinanza di una stella). Le energie erano impressionanti. L’impatto avrebbe prodotto megaroentgen di radiazione intensa; e meno di mille r nel giro di un’ora sono fatali. Nessuna protezione o schermo materiale sarebbe servito a qualcosa. Anche ammettendo che fosse alla partenza di uno spessore inimmaginabile, sarebbe stato ben presto eroso.
Però, all’epoca della Leonora Christine erano disponibili mezzi di protezione non materiali: campi magnetoidrodinamici, i cui impulsi si facevano sentire a milioni di chilometri di distanza per intrappolare gli atomi nei loro bipoli — non c’era bisogno di ionizzazione — e controllarne il flusso. Questi campi non avevano una funzione passiva, da semplice armatura. Deviavano il pulviscolo, certamente, e tutti i gas tranne l’idrogeno dominante. Quest’ultimo veniva spinto verso la poppa dell’astronave — in lunghe curve che evitavano lo scafo con un margine di sicurezza — finché entrava in un vortice di elettromagnetismo che aveva il suo centro nel motore Bussard e che esercitava un’azione di compressione e di accensione.