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«Ora la mia idea è di stampare circuiti sensoriali e reattivi nei flessori di controllo, di plastica, i quali compenseranno automaticamente queste distorsioni non appena si verificheranno. Vorrei sentire la tua opinione, Freiwald, sulla possibilità concreta di disegnare, provare e produrre simili flessori. Ecco qui uno schizzo rudimentale di ciò che ho in mente…

Nilsson fu interrotto da uno squillante — Ehi, sei qui, vecchio mio! — Lo scienziato e il macchinista alzarono la testa. Williams stava avanzando verso di loro, barcollando leggermente. Il chimico reggeva una bottiglia nella mano destra, e un bicchiere semivuoto nella sinistra. Aveva la faccia più arrossata del normale e respirava pesantemente.

— Was zum Teufel? - esclamò Freiwald.

— Inglese, ragazzo — disse Williams. — Parla in inglese, stasera. Al modo americano. — Raggiunse il loro tavolo, vi depositò i suoi fardelli e vi si appoggiò con tutto il peso, tanto da farlo quasi ribaltare. Un potente tanfo di whisky aleggiava tutt’intorno a lui. — Ssspecialmente tu, Nilsson. — Puntò verso di lui un dito vacillante. — Parla americano stasera tu, svedese. Mi hai sentito?

— Per favore, vada altrove — disse l’astronomo.

Williams si lasciò cadere pesantemente su una sedia. Si chinò in avanti, facendo perno su entrambi i gomiti. — Tu non sai che giorno è questo — disse. — Lo sai?

— Dubito che lo sappia lei, nelle sue attuali condizioni — scattò Nilsson, sempre in svedese. — Oggi è il quattro di luglio.

— E-e-esatto! E sai che cosa s-significa? No? — Williams si rivolse a Freiwald. — Tu lo sai, Heinie?

— Qualche, ehm, anniversario? — arrischiò il macchinista.

— Esatto. Anniversario. Come hai fatto a indovinare? — Williams alzò il bicchiere. — Bevete con me, v-voi due. L’ho con-conservato per oggi. Bevete!

Freiwald gli rivolse un’occhiata di simpatia e fece tintinnare il suo bicchiere contro quello del compagno. — Prosit. - Nilsson stava per dire: — Skål - ma rimise giù il bicchiere e fissò l’altro con aria torva.

— Il quattro luglio — continuò Williams. — Il Giorno dell’Indipendenza. Il mio paese. Volevo dare una festicciola. Ma tutti se ne fregano. Un sorriso con me, due forse, poi andate al vostro dannato ballo. — Fissò Nilsson per un po’. — Svedese — disse scandendo le parole, — tu berrai con me o ti farò ingoiare i denti.

Freiwald appoggiò una mano muscolosa sul braccio di Williams. Il chimico cercò di alzarsi, ma Freiwald lo costrinse a restar seduto. — Si calmi, per favore, dottor Williams — esclamò con voce tranquilla il macchinista. — Se lei vuole celebrare la sua festa nazionale, bene, saremo felici di fare un brindisi con lei. Non è così, signore? — aggiunse, rivolto a Nilsson.

L’astronomo tagliò corto: — So di che cosa si tratta. Me l’ha spiegato prima che partissimo un uomo che era al corrente della situazione. Frustrazione. Non è riuscito ad adeguarsi alle moderne procedure manageriali.

— La dannata burocrazia dello stato del benessere — singhiozzò Williams.

— Ha cominciato a sognare l’età d’oro, imperiale, del suo paese — proseguì Nilsson. — Si è messo a fantasticare su un sistema di libera iniziativa che dubito sia mai esistito. Si è impantanato nella politica reazionaria. Quando l’Autorità di Controllo doveva arrestare numerosi alti funzionari americani accusati di aver cospirato per violare il Patto…

— Ne avevo abbastanza. — La voce di Williams salì di tono fino a diventare un grido. — Un’altra stella. Un nuovo mondo. Possibilità di essere libero. Anche se dovevo viaggiare con una banda di svedesi.

— Vedi? — Nilsson si rivolse sorridendo a Freiwald. — Non è altro che una vittima del nazionalismo romantico con cui il nostro troppo indisciplinato mondo ha cercato di consolarsi, in questa passata generazione. Peccato che non sia riuscito ad accontentarsi di romanzi storici e di cattiva poesia epica.

— Romantico! — gridò Williams. Si dibatté senza risultato sotto la stretta possente di Freiwald. — Tu, bastardo vaso da notte con le zampe da ragno e gli occhi da civetta, cosa credi che ti abbiano fatto? Come ti sentivi, sformato come sei, mentre gli altri ragazzi facevano la parte dei Vichinghi? E io mi sono adeguato, figlio di una vacca, io ricevevo uno stipendio, cosa che a te non è mai successa, sporco… Lasciami andare e vedremo chi è un uomo di noi due!

— Per favore — disse Freiwald. — Bitte. Signori. — Ora era in piedi e teneva Williams inchiodato alla sedia. Il suo sguardo trafisse Nilsson dall’altra parte del tavolo. — E lei, signore — continuò con voce tagliente, — lei non aveva il diritto di esasperarlo fino a questo punto. Avrebbe potuto fargli la cortesia di celebrare con un brindisi la sua festa nazionale.

Nilsson sembrava pronto a far valere il suo rango d’intellettuale, ma si sgonfiò allorché scorse Jane Sadler che entrava. La donna era rimasta a osservare la scena dalla soglia della porta, per un paio di minuti. La sua espressione rendeva patetico il suo abito elegante.

— Johann ti sta dicendo la verità, Elof — esclamò. — È meglio andare, ora.

— Andare a ballare? — gorgogliò Nilsson. — Dopo tutto questo?

— A maggior ragione dopo quanto è successo. — La donna alzò la testa. — Mi sono veramente stancata di questo tuo atteggiamento imperioso, mio caro. Vuoi che cerchiamo di ricominciare da capo o piantiamo tutto subito?

Nilsson brontolò, ma si alzò e le offrì il braccio. Jane era un po’ più alta di lui. Williams rimase a sedere come ripiegato su se stesso, facendo strenui sforzi per non mettersi a piangere.

— Resterò qui per un po’, Jane, e vedrò se posso tirarlo su di morale — le sussurrò Freiwald.

La donna gli rivolse un sorriso turbato. — Ce la farai, Johann. — Erano stati insieme un paio di volte prima che Jane si mettesse con Nilsson. — Grazie. — I loro sguardi si incontrarono e indugiarono. Nilsson strascicò i piedi e tossì. — Ci vediamo più tardi — disse la donna, e uscì.

CAPITOLO QUINTO

Quando la Leonora Christine raggiunse una velocità pari a una sostanziale frazione di quella della luce, gli effetti ottici che ne derivavano apparvero chiari a una vista priva di qualsiasi accorgimento correttivo. La velocità dell’astronave, infatti, e quella dei raggi provenienti da una stella si sommavano vettorialmente: il risultato era un’aberrazione ottica. Fatta eccezione per tutto ciò che giaceva inerte davanti o dietro l’astronave, la posizione apparente cambiava. Le costellazioni apparivano sempre più sbilanciate, fino ad assumere aspetti grotteschi, e si confondevano tra loro, mentre gli astri che le componevano vagavano disordinatamente nell’oscurità del cosmo. Le stelle si rarefacevano sempre più dietro al vascello spaziale e sempre più gli si affollavano davanti.

L’effetto Doppler agiva simultaneamente. Poiché la Leonora Christine fuggiva le onde di luce che la colpivano da dietro, rispetto ad essa la loro lunghezza risultava accresciuta e la frequenza diminuita. Parimenti, le onde in cui essa immergeva la prua sembravano più corte e più frequenti. Così, i soli a poppa apparivano sempre più rossi, quelli a prua sempre più azzurri.

Sul ponte di cornando si trovava uno schermo visivo ad azione compensatrice: era l’unico a bordo, essendo un apparecchio particolarmente complesso ed elaborato. Un computer calcolava continuamente come avrebbe dovuto apparire lo spazio cosmico se ci si fosse trovati immobili in quel punto del cielo e ne proiettava un’immagine sullo schermo. Tale accorgimento non doveva avere una funzione di divertimento e di conforto, ma era un valido aiuto per la navigazione.

Chiaramente, però, il computer aveva bisogno di dati sulla reale posizione dell’astronave e sulla velocità alla quale viaggiava in rapporto agli oggetti dello spazio. Non era un’impresa semplice ottenere tali dati. La velocità — l’esatta accelerazione e la direzione — variava con le variazioni del mezzo interstellare e con la reazione necessariamente imperfetta ai controlli Bussard, oltre che con il tempo in condizioni di accelerazione. Le deviazioni dal suo cammino prefissato erano comparativamente insignificanti; ma, a distanze astronomiche, qualsiasi imprecisione poteva via via sommarsi alle altre fino a dare un risultato fatale. Dovevano perciò essere eliminate man mano che si presentavano.