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— Sto cominciando a capire quanto lei mi sia estraneo, Carl — disse lentamente la donna. — Lo è altrettanto per tutti?

— Eh? La mia biografia è nel mio dossier. — L’imbarcazione urtò contro il parapetto dello spiazzo. Reymont saltò giù nell’abitacolo. Tenendo tesa la fune con una mano, offrì l’altra alla donna. Lindgren non aveva bisogno di appoggiarsi pesantemente su di lui per scendere a bordo, ma lo fece. Il braccio di Reymont ondeggiò appena sotto il peso di lei.

Lindgren si sedette su un sedile vicino alla barra del timone. Reymont girò l’estremità avvitata del gancio che teneva stretto. Forze d’attrito intermolecolari produssero un leggero rumore schioccante che sembrò una risposta allo schiaffeggiare dell’acqua sullo scafo. I suoi movimenti non potevano essere definiti aggraziati, come quelli della donna, ma erano veloci e pratici.

— Sì, credo che noi tutti abbiamo imparato a memoria i rapporti ufficiali che concernono gli altri. — La donna annuì con il capo. — Nel suo caso, è il minimo che si potesse ottenere da una persona.

(Charles Jan Reymont. Cittadinanza interplanetaria. Età, trentacinque anni. Nato nell’Antartico, ma non in una delle migliori colonie; i sobborghi di Polyugorsk potevano offrire soltanto povertà e inquietudine a un ragazzo il cui padre era morto prematuramente. Raggiunta così l’adolescenza, era riuscito ad arrivare su Marte in qualche modo imprecisato e aveva fatto un’infinità di lavori finché erano scoppiati i disordini. Allora aveva combattuto a fianco degli Zebras mettendosi talmente in evidenza che, in seguito, il Corpo di Salvataggio Lunare gli aveva offerto di entrare nelle sue file. Là egli completò la sua educazione accademica e salì velocemente di grado, finché, raggiunto il grado di colonnello, si occupò attivamente di migliorare il settore vero e proprio di polizia. Quando si era offerto volontario per quella spedizione, l’Autorità di Controllo era stata ben lieta di dare il suo benestare.)

— Ma non vi si accenna minimamente a ciò che lei è in realtà — osservò Lindgren. — È riuscito a sottrarsi così anche ai test psicologici?

Reymont intanto si era recato a prua e aveva sciolto l’ultimo ancoraggio. Stivò con cura i cavi d’ormeggio, poi si mise al timone e mise in moto il motore. L’accensione magnetica era estremamente silenziosa e l’elica produceva un rumore soffocato, ma l’imbarcazione scivolò rapidamente verso il largo. Reymont teneva gli occhi puntati davanti a sé. — Perché le interessa? — chiese.

— Resteremo insieme per un bel po’ di anni. Anzi, è possibile, per il resto della nostra vita.

— Allora comincio a chiedermi perché lei abbia voluto trascorrere la giornata di oggi insieme con me.

— Lei mi ha invitato.

— Dopo che mi aveva telefonato al mio albergo. Lei deve aver guardato sul registro di bordo per poter scoprire dove mi trovavo.

Millesgården spariva nell’oscurità che, oltre la poppa, si andava infittendo rapidamente. Le luci che splendevano oltre il canale e quelle che provenivano dal centro della città, oltre la via d’acqua, non gli permisero di vedere se la donna fosse arrossita. Però, ella voltò la faccia. — L’ho fatto — ammise poi Lindgren. — Io… pensavo che lei avrebbe potuto sentirsi solo. Lei non ha nessuno, vero?

— Non mi è rimasto alcun parente. Sto facendo un giro turistico per visitare i bordelli della Terra. Non ce ne saranno, là dove siamo diretti.

Gli occhi di lei si alzarono di nuovo, questa volta in direzione di Giove, un lume fisso di colore bianco-bruno. Altre stelle si stavano facendo avanti. Lindgren fu scossa da un brivido e si serrò più strettamente il soprabito intorno al corpo, come per difendersi dall’aria autunnale. — No — disse con voce bassa. — Ogni cosa ci sarà estranea. E ora che abbiamo appena cominciato a tracciare una mappa di quel mondo lassù, a capirlo — il nostro vicino, la nostra sorella — un viaggio di trentadue anni-luce…

— La gente è fatta così.

— Perché lei ha deciso di venire, Carl?

L’uomo alzò e abbassò le spalle. — Sono un individuo irrequieto, suppongo. E, per essere sincero, mi son fatto alcuni nemici nel Corpo di Salvataggio. Ho lisciato loro il pelo dalla parte sbagliata o li ho lasciati troppo indietro per via delle mie promozioni. Ero giunto a un punto morto: non avrei potuto avanzare oltre senza mettermi a brigare tra le quinte. Cosa che disprezzo. — Lo sguardo di Reymont incontrò quello della donna. Per un attimo indugiarono a guardarsi l’un l’altra negli occhi. — E lei?

Ingrid sospirò. — Probabilmente, per puro e semplice romanticismo. Fin da quando ero bambina pensavo di dover andare sulle stelle, nello stesso modo in cui un principe in un racconto di fate deve andare alla terra degli Elfi. Alla fine, dopo aver molto insistito con i miei genitori, li ho convinti a lasciarmi iscrivere all’Accademia.

Il sorriso dell’uomo aveva un calore maggiore del normale. — E lei ha raggiunto un punteggio eccezionale nel servizio interplanetario. Non hanno esitato un attimo a nominarla primo ufficiale nel suo primo viaggio fuori del sistema solare.

Lindgren agitò le mani che teneva in grembo. — No, per favore. Non è che non sappia fare bene il mio lavoro, ma per una donna è facile raggiungere in breve tempo posti di primo piano nelle imprese spaziali. Le donne sono molto richieste. E il mio lavoro sulla Leonora Christine sarà essenzialmente esecutivo. Dovrò occuparmi più di… be’, relazioni umane… che di astronautica.

L’uomo rivolse nuovamente lo sguardo davanti a sé. L’imbarcazione stava girando intorno alla lingua di terra, diretta verso Saltsjön. Il traffico marittimo si stava facendo più intenso. I motori idrici rombavano nel superarli. Un sottomarino mercantile avanzava maestosamente, diretto verso il Baltico. Sulla loro testa i tassi aerei svolazzavano come tante lucciole. Il centro di Stoccolma era simile a un fuoco inestinguibile dai mille colori e migliaia di rumori si fondevano in un unico rombo che in un certo senso risultava armonioso.

— Questo mi riporta alla mia domanda iniziale. — Reymont ridacchiò. — La mia controdomanda, per meglio dire, perché è stata lei a cominciare a discutere quest’argomento. Non creda che non mi sia piaciuto stare in sua compagnia. Mi è piaciuto, e molto, e se lei accetterà di cenare con me considererò questo giorno come uno dei migliori che abbia mai passato in vita mia. Ma la maggior parte del nostro gruppo si è dispersa come palline di mercurio nell’attimo stesso in cui il nostro periodo di addestramento è finito. Ognuno sta deliberatamente evitando i futuri compagni di viaggio. È meglio trascorrere il tempo che ancora rimane con coloro che non sì avrà mai più occasione di rivedere. E, ora, quanto a lei… lei non è una persona sradicata dalla Terra. Ha una vecchia famiglia, gente distinta, ammodo; anche affezionata a lei, ci scommetto; padre e madre entrambi ancora vivi, fratelli, sorelle, cugini, certamente ansiosi di fare tutto ciò che possono per lei nelle poche settimane che ancora ci restano. Perché oggi li ha abbandonati?

La donna non aprì bocca.

— La vostra riservatezza svedese — esclamò Reymont dopo un po’. — Appropriata ai governanti dell’umanità. Non avrei dovuto immischiarmi. Ma almeno mi conceda lo stesso diritto alla privacy, vuole?

Poi, subito dopo: — Vorrebbe cenare con me? Ho scoperto un grazioso ristorantino con tanto di camerieri.

— Sì — rispose la donna. — Grazie, accetto.

Poi si alzò e rimase in piedi accanto a lui, appoggiandogli una mano sul braccio. I grossi muscoli dell’uomo si contrassero sotto le dita di lei. — Non ci chiami governanti — lo pregò. — Non lo siamo. Questa era l’idea alla base del Patto. Dopo la guerra nucleare… che per poco non si concluse con la morte del mondo… si doveva fare qualcosa.