«Da qualche parte, alla fine, potremo incontrare la configurazione giusta. O un clan particolarmente vasto attraverso le cui zone galattiche più dense noi potremmo far passare la nostra rotta; oppure due o tre clan abbastanza vicini l’uno all’altro, più o meno disposti in linea retta, da permetterci di attraversarli in successione; oppure ancora un solo clan la cui velocità però si riveli favorevole rispetto a noi. Capisce? Se riusciamo a incappare in qualcosa di simile, la situazione sarebbe per noi ragionevolmente positiva. Riusciremmo a frenare in alcuni anni secondo il tempo dell’astronave.
— Quali sono le probabilità? — Le parole di Reymont risuonarono seccamente.
Stavolta Nilsson scosse la testa. — Non posso dirlo. Forse non troppo favorevoli. Questo è un cosmo immenso e vario. Se continuiamo abbastanza a lungo, immagino che avremmo una probabilità finita di incontrare ciò di cui abbiamo bisogno.
— E questo "abbastanza a lungo" a quanto tempo dovrebbe corrispondere? — Reymont con un gesto gli fece cenno di tacere. — Non si preoccupi di rispondermi. So la risposta. È nell’ordine di miliardi di anni. Dieci miliardi, forse. Ciò significa che dobbiamo avere un valore di tau ancora più basso. Un tau così basso da permetterci effettivamente di circumnavigare l’universo… in alcuni anni o in alcuni mesi. E ciò, a sua volta, significa che non possiamo cominciare a rallentare allorché entreremo nel clan che ci sta di fronte. No. Dobbiamo accelerare ancora. Dopo che l’avremo attraversato… be’, potremo avere un periodo più breve da trascorrere in caduta libera di quanto sia stato l’attuale, finché colpiremo un altro clan. Anche allora, probabilmente, troveremo necessario accelerare, abbassando ancora il valore di tau. Sì, lo so, questo rende sempre più difficile trovare un posto dove poterci finalmente fermare; ma nient’altro ci offre una possibilità misurabile, non è così?
«Ritengo che dovremo sfruttare ogni opportunità di accelerazione che ci possa capitare, finché vedremo una fine del viaggio che possa fare al caso nostro, se mai ci riusciremo. Siete d’accordo?
Telander rabbrividì. — Può ognuno di noi reggere a tanto? — disse.
— Dobbiamo — affermò Reymont. Di nuovo parlò con voce piena di vivacità. — Cercheremo un modo diplomatico per rendere note queste notizie. D’altronde questa era una delle possibilità che sono state discusse quasi da tutti. Ciò aiuterà. Ho pronti alcuni uomini di cui posso fidarmi… no, non per ricorrere alla violenza. Uomini pronti a comandare, a reagire con fermezza, a incoraggiare gli altri. E ci dedicheremo a un programma generale di addestramento in condizioni di imponderabilità. Non vedo per quale ragione essa debba causarci dei guai. Insegneremo a tutti questi signori abituati a stare con i piedi per terra come cavarsela in caso di gravità zero. Come dormire. Perdio, come sperare! — Picchiò una contro l’altra le palme delle mani con un rumore simile a una detonazione.
— Non dimentichi, possiamo fare affidamento anche su alcune donne — disse Nilsson.
— Sì, certamente. Come Ingrid Lindgren.
— Proprio come lei.
— M-m-m. Temo, Elof, che dovrà andare a svegliarla. Dobbiamo convocare i nostri quadri — gli uomini dai nervi d’acciaio e quelli che sanno capire gli altri — convocarli e preparare un piano. Cominciamo a suggerire alcuni nomi.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
La portata del concetto di spazio-tempo è tale da non poter essere espressa mediante i numeri finiti che sono familiari agli uomini. Onestamente, non può neanche essere compresa ricorrendo agli ordini di grandezza. Per capire questo fatto, ricapitoliamo:
la Leonora Christine trascorse quasi un anno viaggiando a una velocità che era l’uno per cento circa di quella della luce. Il tempo a bordo era sempre pressappoco lo stesso, soltanto quando la velocità dell’astronave tendeva il più possibile a c. In questo periodo iniziale, la Leonora Christine percorse metà anno-luce di spazio, approssimativamente cinquemila miliardi di chilometri.
In seguito l’aumento divenne costantemente più rapido. Con l’aiuto della più alta accelerazione ora possibile, l’astronave impiegò un po’ meno di due anni, secondo il suo sistema di misura del tempo, per allontanarsi dalla Terra di dieci anni-luce. Fu allora che si verificò la drammatica collisione.
Essendo stata presa la decisione di esplorare l’ammasso delle galassie della Vergine, l’astronave dovette raggiungere tali valori di tau da superare la distanza intermedia in un tempo tollerabile. Alla massima accelerazione — un massimo che aumentava via via che il viaggio proseguiva — la Leonora Christine descrisse un semicerchio attorno alla Via Lattea e dentro il suo centro in poco più di un anno. Riferendosi al cosmo, ci vollero più di cento millenni.
Nelle nuvole del Sagittario, portò il tau a valori tali da uscire dalla natia galassia in pochi giorni. Poi gli astronauti scoprirono che lo spazio vuoto compreso tra la famiglia di raggruppamenti di stelle in cui si trovavano e l’assembramento della Vergine verso cui erano diretti secondo i piani stabiliti non era adatto alle loro esigenze. Dovevano andare al di là dell’intero clan.
Nello spazio intergalattico, la Leonora Christine non perse la possibilità di far aumentare la velocità. Impiegò due delle sue settimane per percorrere un paio di milioni di anni-luce fino a una data galassia che si trovava nelle vicinanze. Dopo aver attraversato questa galassia nel giro di poche ore, l’astronave si trovò così carica di energia cinetica da percorrere una distanza pari a quella di prima non più in settimane ma in giorni… e in quell’ultimo periodo aveva bisogno di una settimana o poco più per passare da un ammasso stellare a un altro… attraversando quest’ultimo molto rapidamente…
Con gli schermi spenti attraversò il quasi totale vuoto dello spazio compreso tra clan; nel frattempo gli ingegneri riparavano i danni prodotti dalla precedente collisione. Sebbene priva di accelerazione, ebbe bisogno di soltanto un paio dei suoi mesi per lasciarsi alle spalle due o trecento milioni di anni-luce.
La massa accessibile di tutto il clan galattico che era il suo obiettivo si rivelò inadeguata a frenare la velocità dell’astronave.
Perciò gli astronauti non tentarono di fermarsi, ma sfruttarono tutto ciò che i motori riuscivano a inghiottire per continuare la loro corsa in avanti, sempre più in fretta. La Leonora Christine attraversò la regione occupata da questo secondo clan — senza tentare di ricorrere al controllo manuale, ma semplicemente lanciandosi come una freccia attraverso un certo numero delle galassie che lo componevano — in due giorni.
Dall’altro lato, di nuovo nello spazio vuoto, l’astronave andò in caduta libera. La distanza che la separava dal prossimo clan raggiungibile era dell’ordine di altri cento milioni di anni-luce. La Leonora Christine compì la traversata in circa una settimana.
Quando arrivò laggiù, naturalmente, utilizzò la materia stellare che vi trovò per cercare di raggiungere quanto più possibile la velocità assoluta.
— No… non… sta’ attenta!
Margarita Jimenes perse l’appiglio che avrebbe frenato il suo volo. Annaspando per riuscire a recuperarlo, colpì la parete, carambolò e fluttuò in aria.
— Ad i chawrti! - sbuffò Boris Fedoroff.
Valutò in un secondo le spinte vettoriali e si lanciò in avanti per intercettarla. Non era un calcolo fatto consciamente; sarebbe stata un’impresa impossibile. Come un cacciatore che punta verso un bersaglio mobile, si servì della sua abilità e dei molteplici sensi del suo corpo: diametri angolari e rotazioni, pressioni e tensioni muscolari, cinestesia, la invisibile ma perfettamente nota configurazione di ogni giuntura, i diversi derivati di ognuno di questi fattori e altri ancora; si servì del suo organismo, in breve, una macchina creata in modo incomprensibilmente complesso e preciso e, nell’azione, splendido.