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Fedoroff aveva spazio per volare.

Si trovavano nel ponte Numero Due, in una zona a poppa vicina ai locali dove erano situati i motori. Era una parte dell’astronave adibita a stiva; ma una grandissima percentuale dei materiali che un tempo vi erano custoditi era stata ormai utilizzata per costruire strumenti o altri oggetti. Dove si trovava il carico c’era uno spazio libero, cavernoso ed echeggiante, illuminato da una luce fredda, praticamente quasi sempre deserto. Fedoroff vi aveva portato la sua donna per impartirle alcune lezioni private di comportamento in caduta libera. La donna si era rivelata un’allieva meno che mediocre nelle classi di «pedoni» che, secondo l’ordine di Lindgren, venivano istruiti nelle tecniche di volo in caduta libera.

Jimenes arrivò roteando davanti a Fedoroff, il volto nascosto dai riccioli scomposti, con le braccia e le gambe e il petto che si muovevano pesantemente e disordinatamente. Il sudore le imperlava la pelle nuda e si divideva in piccoli globi che scintillavano intorno a lei come moscerini. — Rilassati, ti dico — le suggerì Fedoroff. — La prima cosa che devi imparare è rilassarti.

Riuscì a portarsi accanto a lei e l’afferrò per la vita. Legati insieme, i due formarono un nuovo sistema che roteò su un asse pazzesco mentre si dirigevano verso la paratia sul lato opposto. I processi vestibolari registrarono questo oltraggio sotto forma di vertigini e nausea. L’ingegnere sapeva come eliminare questa reazione; e, prima di incominciare la lezione, aveva dato a Jimenes una pillola contro il mal dello spazio, proprio in previsione di un caso simile.

Eppure, la donna vomitò.

L’uomo non poté fare altro che sostenerla mentre il loro volo continuava secondo la sua traiettoria. Il primo conato lo colse di sorpresa e il vomito lo colpì in faccia. Dopo di ciò strinse a sé la donna in modo che la schiena di lei fosse contro il proprio ventre. Con la mano libera colpi il nauseante liquido giallastro e i grumi di cibo per allontanare da sé quella roba, che, se ingerita in simili condizioni, poteva soffocare una persona.

Quando arrivarono a colpire la paratia di metallo, Fedoroff si afferrò al supporto più vicino, una rastrelliera vuota. Agganciandosi con un gomito ad essa, poteva servirsi di entrambe le braccia per sorreggere la donna e cercare di calmarla. Alla fine anche gli urti di vomito passarono.

— Stai meglio? — le chiese.

La donna rabbrividì e mormorò: — Voglio ripulirmi.

— Sì, sì, troveremo qualcosa per lavarti. Aspetta qui. Sta’ attaccata, non lasciarti andare. Tornerò tra pochi minuti. — Fedoroff si liberò dalla stretta.

Doveva chiudere i ventilatori prima che quella porcheria semiliquida venisse attirata nel sistema generale d’areazione dell’astronave. Poi doveva fare in modo di risucchiarla in un aspirapolvere. L’avrebbe fatto lui personalmente. Se avesse incaricato un altro di occuparsi di quel pasticcio, costui non si sarebbe forse soltanto irritato, ma avrebbe potuto diffondere la notizia…

I denti di Fedoroff si serrarono strettamente. Finì di prendere le sue misure precauzionali e nuotò di nuovo verso Jimenes.

Sebbene il volto fosse ancora pallidissimo, la donna sembrava capace di controllare i propri movimenti. — Sono mortalmente dispiaciuta, Boris. — Le parole uscivano rauche da una laringe bruciata dall’acido dello stomaco. — Non avrei mai dovuto acconsentire… a venire così lontano… da un gabinetto a suzione.

Fedoroff volteggiò davanti a lei e chiese con voce severa: — Da quanto tempo hai cominciato a vomitare?

La donna si tirò indietro. Fedoroff l’afferrò prima che ella perdesse la presa e tornasse a fluttuare libera in aria. La sua stretta sul polso di lei era brutale. — Quando hai avuto le ultime mestruazioni? — chiese.

— Hai visto…

— Ho visto una cosa che poteva essere stata facilmente falsificata. Specialmente considerando quanto io sia stato impegnato nel mio lavoro. Dimmi la verità!

La scosse. Privo di un qualsiasi ancoraggio, il corpo della donna si torse facendo perno sulla spalla. Jimenes gridò. Fedoroff la lasciò andare come se fosse improvvisamente diventata incandescente. — Non volevo farti male — esclamò affannosamente. La donna ballonzolò lontano da lui. Egli la riprese appena in tempo, la tirò di nuovo a sé e la strinse con fermezza contro il suo torace imbrattato di vomito.

— T-t-tre mesi fa — balbettò Jimenes tra le lacrime.

Fedoroff la lasciò piangere mentre le accarezzava i capelli diventati opachi. Quando si fu ripresa, l’aiutò a raggiungere una stanza da bagno, dove si ripulirono completamente usando delle spugne. Il liquido organico di cui si servirono aveva un odore forte e pungente che sovrastava il puzzo del vomito che avevano addosso, ma si volatilizzava così rapidamente e completamente che Jimenes rabbrividiva dal freddo. Fedoroff infilò le spugne in un convogliatore collegato alla lavanderia e accese l’apparecchio che emetteva aria calda. Per alcuni minuti rimasero a crogiolarsi in quel tepore.

— Sai — disse Fedoroff dopo un po’, — se abbiamo risolto il problema idroponico a gravità zero, dovremmo poter escogitare qualcosa che ci permetta di fare un vero bagno o, almeno, una doccia.

La donna non sorrise, si limitò a raggomitolarsi vicino alla grata. I suoi capelli fluttuarono all’indietro.

Fedoroff si irrigidì. — Va bene — disse, — com’è accaduto? Il dottor Latvala non dovrebbe registrare e controllare la tabella contraccettiva di ogni donna?

Jimenes annuì, senza guardarlo. La sua risposta fu così a bassa voce da poter essere udita a malapena. — Sì. Un controllo all’anno, però, per venticinque di noi… e aveva, ha molte cose a cui pensare che non sono quelle di normale amministrazione…

— Non ve ne sarete dimenticati tutti e due?

— No. Alla mia solita data mi sono recata nel suo ufficio. È imbarazzante che tocchi a lui ricordarlo a una ragazza. Non c’era. Forse si stava occupando di qualcuno che era nei guai. Ma la cartella che ci riguarda giaceva sulla sua scrivania. L’ho guardata. Jane era stata da lui per la stessa ragione, ho visto, quello stesso giorno, forse un’ora o due prima di me. Di colpo ho afferrato la sua penna e ho scritto «OK» dopo il mio nome, nello spazio apposito. Ho scarabocchiato la sigla imitando la sua scrittura. È successo prima che mi rendessi chiaramente conto di ciò che stavo facendo. Sono uscita correndo.

— Perché non gliel’hai confessato, in seguito? Da quando l’astronave è uscita dalla prima rotta prefissata, ha avuto a che fare con gesti impulsivi ben più strani di questo.

— Avrebbe dovuto ricordarsene — disse Jimenes con voce più alta. — Se ha deciso che doveva essersi dimenticato della mia visita… perché dovrei fare il lavoro per lui?

Fedoroff imprecò e fece per afferrarla. La sua mano si fermò a pochi centimetri dal polso dolorante della donna. — In nome del buonsenso! — protestò. — Latvala ha lavorato come un dannato, per cercare di mantenerci in buona salute. E tu ti chiedi perché avresti dovuto aiutarlo?

Il tono di Jimenes si fece ancora più di sfida. Fissò apertamente il compagno e disse: — Avevate promesso che avremmo potuto avere figli.

— Come… be’, sì, è vero, ne vogliamo tanti quanti potremo averne, non appena troveremo un pianeta…

— E se non troviamo un pianeta? Cosa succederà, allora? Non potete migliorare i biosistemi come vi siete vantati di fare?

— Abbiamo accantonato questo progetto per dedicare tutti i nostri sforzi al settore strumentazione. Potrebbe richiedere anni di lavoro.