Ingrid Lindgren entrò nel ponte di comando, afferrò una maniglia di sostegno e volteggiò a mezz’aria. — A rapporto, signor capitano — esclamò in tono formale.
Lars Telander si girò per salutarla. In condizioni di caduta libera, la sua figura magra e sgraziata diventava piacevole, come un pesce nell’acqua e un falco in volo. In una diversa situazione avrebbe potuto essere un comune individuo sulla cinquantina e dai capelli grigi. Né lui né Ingrid si erano preoccupati di attaccare le insegne del loro grado sulle tute che erano le uniformi in dotazione all’equipaggio dell’astronave.
— Buongiorno — le disse Telander. — Sono sicuro che la tua licenza sarà stata piacevole.
— Proprio così. — Sulle gote della donna era apparso un lieve rossore. — E tu?
— Oh… è andato tutto bene. Per la maggior parte del tempo ho recifato la parte del turista, da un capo all’altro della Terra. Sono rimasto sorpreso nel constatare quante cose non avevo mai visto prima.
Lindgren lo fissò con una punta di compassione nello sguardo. L’uomo fluttuava da solo accanto al suo posto di comando, uno dei tre riuniti attorno a una consolle dove si trovavano tutti gli strumenti di controllo e di comunicazione, al centro della sala circolare. I misuratori, gli schermi sui quali apparivano i dati richiesti, i diversi indicatori e tutti gli altri apparecchi che affollavano le paratie, già lampeggianti e vibranti e intenti a tracciare i loro scarabocchi, non facevano altro che mettere in maggior risalto il suo isolamento. Fino all’arrivo della ragazza, il capitano era immerso nel più completo silenzio, rotto soltanto dal mormorio dei ventilatori e dal ticchettio intermittente di un relé.
— Non ti è rimasto alcun parente e amico? — gli chiese Lindgren.
— Nessuno con cui abbia una certa intimità. — I lineamenti allungati di Telander si incresparono in un sorriso. — Non dimenticare che, per quanto concerne il Sistema Solare, io ho quasi compiuto un secolo d’età. Quando ho visitato per l’ultima volta il mio villaggio natio di Dalarna, il genero di mio fratello era già padre orgoglioso di due adolescenti. Non c’era da aspettarsi che mi considerassero un parente prossimo.
(Era nato tre anni prima della prima spedizione umana inviata su Alpha Centauri. Era entrato all’asilo due anni prima che i primi messaggi maser provenienti da questa stella raggiungessero l’Estrema Stazione sulla Luna. Ciò aveva stabilito il corso della vita di un bimbo introverso e idealista. All’età di venticinque anni, quando era ormai uscito diplomato dall’Accademia e aveva già dato ottime prove di sé nei viaggi interplanetari, riuscì a entrare a far parte del primo equipaggio in partenza per Epsilon Eridani. Tornarono ventinove anni più tardi ma, a causa della dilatazione temporale, era come se ne avessero vissuti soltanto undici, inclusi i sei trascorsi sui pianeti che avevano raggiunto. Le scoperte che avevano fatto li avevano coperti di gloria. L’astronave per Tau Ceti, quando tornarono sulla Terra, era ormai pronta alla partenza. Telander poteva esserne il primo ufficiale, se non si fosse opposto all’idea di ripartire entro meno di un anno. Egli si mostrò consenziente. Passarono tredici anni della sua vita prima che ritornasse sul pianeta natio, e nel frattempo era diventato comandante della spedizione, perché il capitano dell’astronave era morto in un mondo strano e selvaggio. Sulla Terra, gli anni trascorsi erano stati invece trentuno. Pronta in orbita c’era la Leonora Christine. Chi meglio di Telander poteva comandarla? Ma egli ebbe un attimo di esitazione. L’astronave sarebbe partita entro meno di tre anni. Se avesse accettato l’incarico, la maggior parte di quei mille giorni sarebbe stata impiegata per stendere piani e fare preparativi… Ma non accettare era probabilmente un fatto impensabile; e, d’altronde, egli ormai si aggirava come uno straniero su quella Terra che gli era diventata così estranea.)
— Non perdiamo tempo — disse a Lindgren. — Penso che Boris Fedoroff e i suoi ingegneri siano saliti a bordo con te.
La donna annuì. — Mi ha detto che ti avrebbe chiamato al telefono interno, non appena avrà finito di organizzare quanto è necessario.
— Humm. Avrebbe potuto farmi la cortesia di notificare il suo arrivo.
— È di umore un po’ strano. Per tutto il tragitto da terra a qui ha mantenuto un contegno cupo, imbronciato. Non so perché. Ha importanza?
— Resteremo insieme in questa astronave per un bel po’ di tempo, Ingrid — osservò Telander. — Il comportamento di ognuno avrà certamente il suo peso.
— Oh, a Boris passeranno presto i nervi. Penso che risenta dei postumi di una sbronza, o forse qualche ragazza ieri sera gli avrà detto di no, o qualcosa del genere. Durante l’addestramento mi è sempre sembrato un tipo dal cuore tenero.
— Così risulta anche dal suo profilo psicologico. Eppure in ognuno di noi vi sono cose — allo stato potenziale — che sfuggono a qualsiasi tipo di indagine. Bisogna aspettare di essere lassù… — e Telander indicò il cappuccio del periscopio ottico, come se esso si identificasse con la remota regione verso cui era puntato — … prima che queste saltino fuori, buone o cattive che siano. E saltano fuori. Sempre. — Si schiarì la gola. — Bene, il personale scientifico è anch’esso in orario?
— Sì. Arriveranno in due scaglioni, il primo alle 13,40 e il secondo alle 15. — Telander verificò che ciò coincidesse con il programma fissato con alcuni morsetti al piano della consolle che fungeva da scrivania e annuì in segno d’approvazione. Lindgren aggiunse: — Non mi sembra che ci fosse bisogno di distanziare tanto i loro arrivi.
— Margine di sicurezza — replicò Telander, in tono leggermente distratto. — Inoltre, addestramento o meno, avremo bisogno di tempo per accompagnare quei pedoni terrestri alle loro cuccette, dal momento che non sapranno cavarsela facilmente in condizioni di imponderabilità.
— Carl può occuparsi di loro — esclamò Lindgren. — Se ce ne sarà bisogno, può trasportarli uno alla volta, più velocemente di quanto tu possa supporre finché non lo vedrai all’opera.
— Reymont? Il nostro commissario di bordo? — Telander studiò lo sguardo compiaciuto della ragazza. — Sono al corrente del fatto che egli è particolarmente abile in condizioni di caduta libera, e arriverà con il primo convoglio, ma è proprio tanto bravo?
— Abbiamo visitato insieme l’Étoile de Plaisir.
— Dove?
— Un satellite adibito a stazione climatica e luogo di divertimenti.
— Humm, sì, quello famoso. E vi siete lasciati andare a fare qualche giochetto in assenza di gravità? — Lindgren annuì, senza guardare il capitano. Costui sorrise di nuovo. — Tra le altre cose, senza dubbio.
— Egli sarà il mio compagno.
— Humm… — Telander si soffregò il mento. — Per essere sincero, preferirei che stesse nella cabina che gli è già stata assegnata, nel caso si verificassero guai tra i… ehm… passeggeri. È qui proprio per questo durante il viaggio.
— Potrei trasferirmi nella sua cabina — si offrì Lindgren.
Telander scosse la testa. — No, gli ufficiali devono vivere nei quartieri a loro destinati. La ragione teorica che viene addotta, cioè la necessità di averli nelle immediate vicinanze del ponte di comando, non è la ragione reale. Ti renderai ben presto conto di quanto siano importanti i simboli, Ingrid, nei prossimi cinque anni. — Si strinse nelle spalle. — Be’, le altre cabine sono soltanto un piano sotto a quello dove si trovano le nostre. Penso che egli potrà arrivarci abbastanza in fretta qualora ce ne fosse bisogno. Ammettendo che a colui che era stato scelto come tuo compagno di stanza non importi lo scambio, penso di poterti accontentare.