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— Come può biasimare se stesso? Quale scelta gli resta se non lasciare che i robot ci spingano sempre più avanti?

— Si preoccupa. — Lindgren sospirò. — Inoltre, quest’ultima disputa: nelle sue condizioni, è stato più di quanto potesse sopportare. Non è prostrato dal punto di vista nervoso, capisci; non del tutto, almeno. Ma non è più capace di affrontare la gente.

— È saggio fare una cerimonia? — si chiese Chi-Yuen.

— Non so — rispose Lindgren con voce esausta. — Semplicemente, non so. Ora che — non lo annunceremo, ma non possiamo impedire che la gente calcoli e parli — ora che siamo quasi oltre la boa del quinto o sesto miliardo di anni… — Rialzò la testa, lasciando ricadere la mano sul tavolo. — Celebrare qualcosa di strettamente terrestre come il ferragosto, ora che dobbiamo cominciare a pensare alla Terra come scomparsa…

Afferrò entrambi i braccioli della sedia. Per un attimo gli occhi azzurri sembrarono folli e ciechi. Poi il corpo contratto si rilassò, muscolo dopo muscolo; la donna si distese nel sedile finché il perno girevole si inclinò con un cigolio; infine disse con voce piatta: — Il commissario mi ha persuaso a proseguire i nostri soliti rituali. Per sfida. Per riunire i passeggeri, dopo l’ultima disputa. Per un rinnovato impegno religioso, soprattutto verso quel bambino non nato. La Nuova Terra: noi la strapperemo dalla stretta di Dio. Sempre che Dio significhi ancora qualcosa, almeno emotivamente. Forse potrei lasciare da parte la religione. Carl non mi ha dato alcuna indicazione particolare. Soltanto un’idea generale. Io dovrei essere il miglior portavoce. Io. Questo può dirti molto sulle nostre condizioni, non credi?

Batté le palpebre, tornando in sé. — Scusa — disse. — Non avrei dovuto riversare su di te i miei problemi.

— Sono i problemi di tutti, primo ufficiale — replicò Chi-Yuen.

— Ti prego. Chiamami Ingrid. Comunque, grazie. Se non te l’ho mai detto prima, lascia che te lo dica ora: in questo tuo silenzioso modo di essere, sei una persona-chiave a bordo. Un’oasi di serenità… Be’ — Lindgren unì le dita, — che cosa posso fare per te?

Lo sguardo di Chi-Yuen si posò rapidamente sul tavolo. — Si tratta di Charles.

Le punte delle unghie di Lindgren divennero improvvisamente bianche.

— Ha bisogno di aiuto — continuò Chi-Yuen.

— Ha i suoi agenti — osservò Lindgren con voce priva di inflessioni.

— Chi li fa andare se non lui? Chi sostiene tutti noi? Anche tu, Ingrid, anche tu dipendi da lui.

— Certo. — Lindgren incrociò le dita e le torse. — Devi capire… forse non te l’ha mai detto esplicitamente, non più di quanto abbia fatto con me e io con lui; ma è ovvio… tra lui e me non è rimasto alcun rancore. L’abbiamo cancellato, lavorando insieme. Gli auguro ogni bene.

— Allora, puoi dargli un po’ d’aiuto?

Lo sguardo di Lindgren si fece più acuto. — Che cosa vuoi dire?

— È stanco. Più stanco di quanto tu possa immaginare, Ingrid. E più solo.

— È la sua natura.

— Forse. Però, non è mai stato nella sua natura essere quelle cose inumane che è stato costretto a impersonare: un fuoco, una frusta, un’arma, un motore. Sono riuscita a conoscerlo un po’. Ultimamente l’ho osservato mentre dorme, le poche volte che gli è possibile. Le sue difese sono logorate. Talvolta lo sento parlare, in sogno, quando non è semplicemente in preda agli incubi.

Lindgren serrò le mani sul vuoto. — Che cosa possiamo fare per lui?

— Ridargli una parte della sua forza. Tu puoi farlo. — Chi-Yuen alzò gli occhi. — Vedi, ti ama.

Lindgren si alzò, si mise a camminare nel ristretto spazio dietro alla scrivania, percuotendo con una mano chiusa a pugno il palmo dell’altra. — Io mi sono assunta alcuni obblighi — disse infine. Quelle parole parvero torcere l’esofago.

— Lo so…

— Non posso distruggere un uomo, specialmente uno di cui abbiamo estremo bisogno. E non posso… tornare al libertinaggio. Devo essere un ufficiale, in tutto ciò che faccio. Questo vale anche per Carl. — Con voce rauca, aggiunse: — Rifiuterebbe!

Anche Chi-Yuen si alzò in piedi. — Non potresti dedicargli questa notte? — chiese.

— Cosa? Cosa? No. È impossibile, te l’ho detto. Oh, ne avrei il tempo, ma è comunque impossibile. È meglio che tu vada.

— Vieni con me. — Chi-Yuen prese Lindgren per mano. — Che cosa vuoi che ci sia di scandaloso nel fatto che vieni a fare visita a noi due nella nostra cabina?

L’alta donna la seguì con passo esitante. Salirono per le scale pulsanti fino al livello dei passeggeri. Chi-Yuen aprì la porta della sua cabina, fece entrare Lindgren e richiuse la porta alle sue spalle. Rimasero ferme in piedi, sole in mezzo agli ornamenti e ai ricordi di un paese che era morto molti giga-anni prima, e si guardarono l’un l’altra. Lindgren respirava pesantemente, rapidamente. Un rossore si sostituiva al pallore di prima sul suo volto, sul collo e sul petto.

— Dovrebbe essere qui tra poco — disse Chi-Yuen. — Non sa nulla. È il mio regalo per lui. Una notte, almeno: per dirgli e dimostrargli come non hai mai cessato di amarlo.

I letti erano separati. Ora Chi-Yuen abbassò la paratia di divisione. Non cercò nemmeno di trattenere le lacrime.

Lindgren la tenne vicina a sé per un attimo, la baciò, poi l’aiutò a chiudere definitivamente la paratia mobile. Infine Lindgren attese.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

— Per favore — l’aveva implorato Jane Sadler, — vieni ad aiutarlo.

— Tu non ne sei capace? — chiese Reymont.

La donna scosse la testa. — Ho cercato. E credo di aver peggiorato le cose. Date le sue attuali condizioni, ed essendo io una donna. — Arrossì. — Hai capito?

— Be’, non sono uno psicologo — replicò Reymont. — Comunque, vedrò cosa posso fare.

Lasciò il pergolato dove la donna l’aveva trovato a riposarsi un po’. Gli alberi nani, le piante rampicanti curve verso il basso, il muschio e i fiori in boccio rendevano quel posto una specie di rifugio balsamico, almeno per lui; infatti aveva notato che erano relativamente pochi coloro che vi si recavano ancora. Tali cose forse suscitavano in loro troppi ricordi?

Non si erano fatti piani per la celebrazione dell’equinozio d’autunno che stava per arrivare, secondo il calendario dell’astronave: né di alcuna altra festa, sempre per la stessa ragione. La festa di ferragosto era stata ignorata in modo scoraggiante.

Nella palestra si stava svolgendo una partita di palla a volo, da un angolo all’altro, a gravità zero. Ma erano gli astronauti a giocare, con ostinazione piuttosto che con allegria. La maggior parte dei passeggeri venivano ormai in palestra soltanto per gli esercizi obbligatori. Non mostravano più neanche un grande interesse per il cibo: e non si poteva dire che Carducci mettesse molto entusiasmo nella preparazione dei pasti. Uno o due passanti rivolsero a Reymont uno svogliato cenno di saluto.

Un po’ oltre, nel corridoio, una porta si apriva su un negozio per articoli da hobby. Un torchio ronzava e una fiamma ossidrica mandava bagliori azzurri, sotto le mani di Kato M’Botu e Yeshu Ben-Zvi. A quanto sembrava, stavano facendo qualcosa nell’ambito del progetto ecologico Fedoroff-Pereira, riesumato di recente, ma non avevano trovato spazio nei locali regolari dei piani inferiori.

Era una iniziativa valida finché continuava, ma non aveva grandi sbocchi davanti a sé. Bisognava essere perfettamente sicuri di ciò che si stava facendo prima di revisionare i sistemi su cui si basava la vita. Per ora, e probabilmente per molti anni a venire, le cose erano allo stadio di ricerca. L’impresa poteva impegnare soltanto la piena attenzione di alcuni specialisti, finché non fosse cominciata la vera e propria costruzione.