Freiwald fluttuava senza compiere alcun gesto.
Reymont gli si avvicinò e gli strinse la spalla. — Non intendo minimizzare le tue difficoltà — disse. — È duro continuare così. Il nostro peggior nemico è la disperazione e assale ognuno di noi, di tanto in tanto.
— Questo non vale per te — esclamò Freiwald.
— Oh, sì — disse Reymont. — Anche per me. Ma io riesco a rimettermi in piedi, e così sarà anche per te. Se soltanto smetterai di sentirti inutile a causa di un’impotenza che è la conseguenza temporanea e perfettamente normale di un esaurimento psichico — cosa che Jane capisce meglio di te, ragazzo mio — be’, l’impotenza sparirà ben presto da sé. In seguito vedrai tutti gli altri tuoi problemi in prospettiva e ricomincerai di nuovo a lottare.
— Be’… — Freiwald, che si era irrigidito mentre Reymont parlava, si rilassò un po’. — Forse.
— Lo so. Chiedi al dottore, se non mi credi. Se vuoi, ti farò dare qualche psicodroga per affrettare la tua guarigione. Lo faccio perché ho davvero bisogno di te, Johann.
I muscoli sotto la mano di Reymont si allentarono ulteriormente. Il poliziotto sorrise. — Ma — continuò, — ho portato con me la sola psicodroga che credo valga in casi come questo.
— Cosa? — Freiwald sollevò la testa, non solo materialmente.
Reymont si infilò una mano sotto la tunica e ne tirò fuori una bottiglia da strizzare, da cui uscivano due cannucce gemelle. — Ecco — disse. — Il rango ha i suoi privilegi. Whisky scozzese. Un prodotto genuino, non quell’intruglio infernale che gli scandinavi spacciano per whisky. Ne prescrivo una bella dose per te, e una anche per me. E facciamoci quattro chiacchiere in tutta calma. Non riesco neanche più a ricordare quando è stata l’ultima volta in cui mi è accaduto di conversare con qualcuno.
Stavano parlando da circa un’ora e la vita stava tornando in Freiwald, allorché al telefono interno arrivò la voce di Ingrid Lindgren: — È lì il commissario?
— Uhm, sì — rispose Freiwald.
— Me l’ha detto Sadler — spiegò il primo ufficiale. — Puoi venire sul ponte di comando, Carl?
— È urgente? — chiese Reymont.
— N-non proprio, penso. Le ultime osservazioni sembrano indicare… ulteriori mutamenti nell’evoluzione dello spazio. Dovremo forse modificare i nostri piani di navigazione. Pensavo che ti potesse interessare discuterne con gli altri.
— Va bene. — Reymont si rivolse a Freiwald, stringendosi nelle spalle. — Mi dispiace.
— Anche a me. — Johann fissò la bottiglia e la porse all’altro uomo, scuotendo la testa tristemente.
— No, puoi farla fuori tu — disse Reymont. — Ma non da solo. È brutto, bere da soli. Lo dirò a Jane.
— Va bene. — Freiwald rise apertamente. — È molto gentile da parte tua.
Uscito nel corridoio, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, Reymont si guardò in giro. Non si vedeva nessuno. Allora il poliziotto sembrò curvarsi su se stesso, gli occhi chiusi, il corpo percorso da tremiti. Dopo un attimo inspirò profondamente e si avviò verso il ponte di comando.
Norbert Williams stava a sua volta imboccando le scale in direzione opposta. — Salve — lo salutò il chimico.
— Sembri più allegro di qualunque altro — osservò Reymont.
— Be’, confesso di sì. Emma ed io stavamo parlando e potremmo aver trovato un nuovo apparecchio per verificare a distanza se un pianeta ha il nostro tipo di vita. Una popolazione di tipo planctonico, capisci, dovrebbe impartire certe caratteristiche di radiazione termica alla superficie degli oceani; e, dato l’effetto Doppler, che rende queste frequenze qualcosa che possiamo adeguatamente analizzare…
— Certo, pensavamo anche questo. E potresti passar parola che, dovunque si trovi, Jane Sadler è per oggi esentata dal lavoro? Il suo amico ha qualcosa da fare con lei.
La risata di Williams seguì Reymont per le scale.
Ma il ponte di comando era vuoto e silenzioso: e, nella sala principale, Lindgren era accanto agli strumenti, sola. Aveva le mani serrate strettamente attorno alle maniglie alla base del videoscopio. Quando si girò, avendo sentito entrare Reymont, egli vide che la sua faccia era quasi priva di colore.
Chiuse la porta. — Cosa c’è che non va? — disse a bassa voce.
— Non l’hai detto a nessuno?
— No, naturalmente no, se la cosa poteva essere grave. Di che cosa si tratta?
La donna cercò di parlare, ma non ce la fece.
— Devono intervenire altre persone a questo colloquio? — chiese Reymont.
Lindgren scosse la testa. Reymont si avvicinò a lei, si ancorò con una gamba a una sbarra e si assicurò con l’altro piede al ponte, poi accolse Ingrid tra le braccia. La donna si avvinghiò a lui con la stessa forza con cui l’aveva abbracciato in quell’unica notte che erano riusciti a strappare.
— No — disse Lindgren contro il suo petto. — Elof e… Auguste Boudreau… me l’hanno detto. Degli altri, lo sanno soltanto Malcolm e Mohandas. Mi hanno chiesto di dirlo… al vecchio. Loro non osano. Non sanno come fare. E neanch’io. Come dirlo a chiunque? — Le sue unghie affondarono nel petto di Reymont attraverso la tunica. — Carl, che cosa faremo?
— Va’ avanti — disse Reymont alla fine. — Dimmi, älskling.
— L’universo — l’intero universo — sta morendo.
Dalla gola di Reymont uscì soltanto un rumore rauco. Poi, egli attese.
Alla fine la donna riuscì a staccarsi da lui quel tanto da poterlo guardare negli occhi. Lindgren con voce incerta e rapida riferì.
— Siamo andati più in là di quanto pensassimo. Nello spazio e nel tempo. Più di cento miliardi di anni. Gli astronomi hanno cominciato a sospettarlo quando… non so. So soltanto ciò che mi hanno detto. Tutti si sono accorti di come le galassie che vediamo stiano diventando più pallide. Vecchie stelle che si estinguono, nuove non ancora nate. Non pensavamo che ciò potesse interessarci. Noi cercavamo soltanto un piccolo sole non troppo diverso dal Sole terrestre. Dovevano essercene rimasti molti. Le galassie hanno una vita lunga. Ma ora…
«Gli uomini non erano sicuri. Le osservazioni sono difficili da fare. Ma cominciarono a chiedersi… se per caso non avevamo sottovalutato la distanza che avevamo percorso. Hanno controllato attentamente le reazioni Doppler. In particolar modo ultimamente, quando sembrava che passassimo attraverso un numero sempre maggiore di galassie e il gas compreso tra loro pareva diventare più denso.
«Adesso scopriamo che ciò che osserviamo non poteva esser spiegato completamente da qualsiasi valore di tau che possiamo aver raggiunto. Bisogna tener presente un altro fattore. Le galassie si stanno raggruppando insieme. Il gas viene compresso. Lo spazio non si espande più. Ha raggiunto il suo limite e si sta di nuovo afflosciando su se stesso. Elof dice che questo collasso durerà, durerà fino alla fine.
— E noi? — chiese Reymont.
— Chi può dirlo? A meno che i dati dimostrino che non possiamo fermarci. Potremmo, voglio dire, ma allorché fosse giunto il momento non sarebbe rimasto nulla… tranne l’oscurità, soli estinti, zero assoluto, morte, morte. Nulla.
— Noi non lo vogliamo — replicò stupidamente Reymont.
— No. Che cosa vogliamo? — Strano che ella non stesse piangendo. — Io penso… Carl, non dovremmo dirci buonanotte? Tutti noi, vicendevolmente? Un’ultima festa, con vino e luce di candele. E dopo andarcene nelle nostre cabine. Tu ed io nella nostra. E amarci, se possibile, e augurarci la buonanotte. Abbiamo morfina per tutti. E, Carl, siamo tanto stanchi. Sarebbe così bello dormire!