Reymont l’attirò di nuovo vicino a sé.
— Hai mai letto Moby Dick? — sussurrò la donna. — È la nostra storia. Noi abbiamo inseguito la balena bianca. Fino alla fine del tempo. E ora… quella domanda. Che cos’è l’uomo perché debba sopravvivere al suo Dio?
Reymont l’allontanò da sé, con gentilezza, e osservò il videoscopio. Guardando in avanti vide, per un attimo, passare una galassia. Doveva essere distante solo diecimila parsec, perché la vide stagliarsi grande e chiara contro l’oscurità. La sua forma era caotica. Qualunque struttura avesse avuto una volta, ora era disintegrata. C’era una vaga e opaca luminescenza rossa, che diventava più scura ai bordi fino a raggiungere la tonalità del sangue raggrumato.
Poi scomparve dalla vista. L’astronave ne attraversò un’altra, che la sconvolse come un tornado, ma di questa niente era visibile.
Reymont si trascinò di nuovo sul ponte di comando. I denti scintillavano nel suo viso. — No! — disse.
CAPITOLO VENTESIMO
Dal podio l’uomo e la donna fissarono i loro compagni riuniti.
I presenti erano seduti, assicurati con le cinture alle sedie le cui gambe erano fissate al pavimento della palestra da robuste morse. Qualunque altra cosa avrebbe potuto rivelarsi pericolosa. Non che l’imponderabilità prevalesse: nell’ultima settimana le condizioni di gravità avevano subito cambiamenti così repentini, che coloro che sapevano non avrebbero potuto rimandare oltre una spiegazione, anche se l’avessero voluto.
Bisognava far conoscere a tutti il tau che gli atomi interstellari avevano adesso rispetto alla Leonora Christine e la compressione delle misure di lunghezza, sempre riferite all’astronave, a causa di questo tau; e il raggio dello stesso cosmo in via di diminuzione; gli stratoreattori dell’astronave la spingevano a una gravità i cui valori, ancora frazionari, tendevano però a uno, attraverso i più esterni abissi dello spazio compreso tra i clan. E sempre più spesso si verificavano scatti di accelerazione più alta man mano che l’astronave passava attraverso qualche galassia. Erano troppo veloci perché i campi interni potessero compensarli. Sembravano schiaffi prodotti da onde; e, ogni volta, il rumore che si diffondeva nello scafo era più acuto e sibilante.
Quattro dozzine di corpi scagliati uno contro l’altro potevano significare ossa rotte o peggio. Ma due persone, allenate e all’erta, riuscivano a reggersi in piedi con l’aiuto di un corrimano. Ed era necessario che facessero così: in quest’ora, la gente doveva vedere davanti a sé un uomo e una donna dall’atteggiamento indomito.
Ingrid Lindgren terminò la sua esposizione dei fatti: — … questo è quanto sta accadendo. Non riusciremo a fermarci prima della morte dell’universo.
Il silenzio che aveva accompagnato tutto il suo discorso parve farsi più pesante. Alcune donne si misero a piangere, alcuni uomini aprirono la bocca in una muta imprecazione o preghiera, ma nessun rumore fu più forte di un sussurro. In prima fila, il capitano Telander chinò la testa e si coprì il volto con le mani. L’astronave vibrò sotto i colpi di un’altra bufera. Il suono si spense, singhiozzante, mugolante, sibilante.
Le dita di Lindgren si aggrapparono per un attimo a quelle di Reymont. — Il commissario ha qualcosa da dirvi — esclamò poi.
Reymont si fece avanti. I suoi occhi, incavati e striati di sangue, sembravano fissare quelli dei presenti con tale ferocia che neppure Chi Yuen osò fare un gesto. L’uomo indossava una tunica grigia come la pelle di un lupo e, oltre al suo distintivo, portava al fianco la pistola automatica, massimo emblema della sua autorità. Cominciò a parlare, con calma ma senza neanche una traccia della compassione che il primo ufficiale aveva fatto trasparire:
— So che pensate che questa è la fine. Abbiamo tentato, abbiamo fallito, ed ora dovremmo permettervi di mettervi in pace con voi stessi e con il vostro dio. Bene, non dico che non dovrete farlo. Non ho alcuna idea precisa di che cosa sarà di noi. Non credo che nessuno possa più prevedere il futuro. La natura sta diventando troppo aliena per noi. Onestamente, concordo con voi nel dire che le nostre probabilità di salvezza sembrano poche.
«Ma non credo neppure che siano zero. E con questo non intendo affermare che possiamo sopravvivere in un universo morto. C’è una cosa ovvia da tentare. Rallentare finché il nostro ritmo temporale non risulti molto diverso da quello esterno, pur continuando a muoverci abbastanza in fretta da poter raccogliere l’idrogeno e tramutarlo in carburante. Poi trascorrere gli anni che ci restano a bordo di questa astronave, senza mai guardare nell’oscurità che ci circonda, senza mai pensare al destino che aspetta il bambino che sta per nascere.
«Forse ciò è possibile dal punto di vista fisico, se la termodinamica di uno spazio sull’orlo del collasso non ci giocherà brutti scherzi. Però non credo che sia possibile dal punto di vista psicologico. La vostra espressione mi conferma che siete d’accordo con me. È vero?
— Allora che cosa possiamo fare?
— Penso che abbiamo un dovere da compiere — verso la razza che ci ha procreati, verso i bambini che noi stessi potremmo ancora generare — il dovere di continuare a tentare, fino alla fine.
«Per la maggior parte di voi, vorrà dire soltanto continuare a vivere, continuare a rimanere sani di mente. Sono consapevole che questa impresa potrebbe rivelarsi la più ardua che un essere umano abbia mai affrontato. Invece l’equipaggio e gli scienziati specializzati in particolari campi dovrebbero occuparsi di guidare l’astronave e di prepararla a ciò che l’aspetta. Sarà un compito difficile.
«Perciò mettetevi l’animo in pace. Una pace interiore. È il solo tipo di pace che sia mai esistito. La guerra esterna continua. Propongo di intraprendere questa guerra senza nessun pensiero di resa.
Improvvisamente le sue parole rimbombarono alte nella sala: — Propongo di andare nel nuovo ciclo dell’universo.
L’attenzione di tutti era stata brutalmente risvegliata. Al di sopra dello stupore collettivo e di alcune grida inarticolate, si poterono udire alcune proteste: — … No! È una pazzia! — … — Assurdo! — … — Impossibile! — … — È una cosa blasfema! — Reymont estrasse la pistola dalla fondina e sparò. Il colpo li stravolse a tal punto da farli tacere di botto.
Il poliziotto sogghignò. — Un colpo a salve — disse. — Meglio del martelletto del giudice. Naturalmente, ho discusso prima questa ipotesi con gli ufficiali e con gli esperti astronomici. Gli ufficiali, almeno, sono d’accordo che valga la pena correre un simile rischio, anche soltanto considerando il fatto che non abbiamo molto da perdere. Ma, altrettanto naturalmente, voglio il consenso generale. Discutiamo in modo regolare. Capitano Telander, vuol presiedere lei la seduta?
— No — rispose il capitano con voce debole. — Ci pensi lei. Per favore.
— Va bene. Critiche… ah, forse il nostro fisico più anziano potrebbe cominciare.
Ben-Zvi dichiarò con voce indignata: — L’universo impiega tra uno e duecento miliardi di anni a completare la sua espansione. Il suo collasso non avverrà in un tempo minore. Crede seriamente che potremmo avere valori tali di tau da permetterci di sopravvivere a questo ciclo?
— Credo seriamente che potremmo tentare — rispose Reymont. L’astronave tremò e risuonò. — Proprio adesso, in questo ammasso in cui la materia diventa più spessa, la nostra accelerazione aumenta. Lo spazio stesso viene costretto in una curva sempre meno ampia. Prima non potevamo circumnavigare l’universo, perché non durava tanto a lungo, nella forma in cui lo conoscevamo. Ma ora potremmo fare ripetutamente il giro dell’universo in contrazione. Questa è almeno l’opinione del professor Chidambaram. Vorresti spiegare tu, Mohandas?