La donna l’abbracciò. — Certo che lo è, sciocco. — La sua risposta fu soffocata dall’abbraccio dell’uomo ed era meno ferma del solito. Ma quando Chi-Yuen prese Reymont per un braccio e si avviarono verso la loro cabina, ella stava sorridendo.
— Sai — aggiunse dopo un po’, — mi chiedo se la maggiore sorpresa che ci aspetta nei prossimi mesi non sia constatare con quanta ostinazione la vita normale continuerà ad avere il sopravvento.
CAPITOLO VENTUNESIMO
La figlia di Margarita nacque nella notte. Nessun sole era più visibile. L’astronave ondeggiava in mezzo a bufere e tuoni. Quando avvenne la nascita, il padre stava guidando una squadra di lavoro e affaticando i propri muscoli nel tentativo di rafforzare ulteriormente la struttura dell’astronave. Il primo vagito della bambina fece da contrappunto al rumore dei mondi che ricadevano su loro stessi.
Dopo, per un certo tempo, le cose si calmarono. Gli scienziati avevano portato a termine osservazioni e calcoli finché avevano capito qualcosa di quelle strane forze che galoppavano negli anni-luce. Riprogrammati, i robot portarono l’astronave a navigare con i venti e i vortici più spesso che attraverso di essi.
Non tutti erano dell’umore adatto a celebrare l’avvenimento con una festa, ma lo erano coloro che Johann Freiwald e Jane Sadler avevano invitato. Per mezzo di luci velate, la donna aveva ricavato in un angolo della palestra una stanza piccola e calda, mettendo in vivido rilievo gli ornamenti da vigilia d’Ognissanti che ella vi aveva attaccato.
— È giusto comportarsi così? — chiese Reymont quando vi arrivò con Chi-Yuen.
— Non siamo molto lontani dal 31 ottobre — replicò Sadler. — Perché non abbinare le due feste? Quanto a me, penso che il festone di lanterne aggiunga un tocco di colore che certo può servirci.
— Potrebbero suscitare troppi ricordi. Non della Terra, forse — penso che ormai questo sia un problema superato — ma di, ehm…
— Sì, mi è passato per la mente. Una nave popolata di streghe, diavoli, vampiri, spiritelli maligni, babau e spettri, che si fanno strada urlando nel cielo verso il Sabba. E con ciò, non lo siamo, forse? — Sadler ridacchiò e si rannicchiò contro Freiwald. Egli rise e l’abbracciò. — Mi sento proprio come se stessi facendo loro marameo.
Gli altri furono d’accordo. Bevvero più di quanto fossero abituati a fare e alla fine erano tutti un po’ scalmanati. Fecero salire Boris Fedoroff sul podio come se fosse in trono, con una ghirlanda intorno al collo, un’altra in testa e due ragazze per esaudire ogni suo desiderio. Molte altre persone erano ritte in circolo, tenendosi per le braccia, cantando a squarciagola una canzone che era già antica quando l’astronave aveva lasciato la Terra.
Michael O’Donnell, che stava arrivando in quel momento dopo aver finito il suo periodo di guardia — in quei giorni, controllori umani, e non soltanto robot, tenevano d’occhio le parti dell’astronave più vitali ed esposte alle tensioni — si aprì la strada tra la folla. — Ehi, Boris! — gridò. Il fracasso prodotto dagli altri soffocò la sua voce.
O’Donnell riuscì a salire sul podio. — Salve, Boris! Congratulazioni!
— Grazie — rispose Fedoroff con voce rimbombante. — È stato tutto merito di Margarita. È riuscita a far funzionare un cantiere navale, no?
— Che nome darete alla bambina? — chiese ancora O’Donnell.
— Non abbiamo ancora deciso — rispose Fedoroff. Sventolò una bottiglia. — Posso dirti, però, che non sarà Eva.
— Embla? — suggerì Ingrid Lindgren. — La prima donna secondo i poemi mitologici scandinavi, gli Edda.
— Neanche — disse Fedoroff.
— E neanche Leonora Christine — continuò l’ingegnere. — La bimba non dovrà essere un dannato simbolo. Dovrà essere soltanto se stessa.
I cantanti cominciarono a ballare in circolo.
Chidambaram e Foxe-Jameson sembravano rimpiccioliti rispetto alle enormi masse degli strumenti di osservazione; e impotenti in mezzo a quegli apparecchi di misurazione, all’apparato di controllo e alle intermittenti luci di indicazione; e rumorosi e goffi nel silenzio appena ronzante che pervadeva il ponte. Si alzarono non appena apparve il capitano Telander.
— Mi avete chiesto di venire? — disse con voce incolore. I suoi lineamenti sciupati si contrassero. — Quali notizie ci sono? Abbiamo avuto una certa calma in quest’ultimo mese…
— Non durerà. — Foxe-Jameson parlò con voce in cui si poteva discernere una certa esultanza. — Elof è andato di persona a prendere Ingrid. Non abbiamo potuto fare lo stesso per lei, signore. L’immagine è ancora molto sbiadita, potremmo perderla di vista se non la tenessimo d’occhio continuamente. Lei dovrà essere il primo a sapere. — Ritornò alla sua sedia dietro a una consolle elettronica. Su uno schermo davanti a lui si vedeva soltanto un’oscurità completa.
Telander si trascinò vicino a lui. — Che cosa avete trovato?
Chidambaram lo prese per il gomito e indicò lo schermo: — Là. Vede?
Al limite della percezione brillava la più fioca e la più minuscola delle scintille.
— Molto distante da qui, naturalmente — disse Foxe-Jameson rompendo il silenzio. — Noi preferiamo tenercene rispettosamente lontani.
— Che cos’è? — chiese il capitano con voce tremante.
— Il germe del monoblocco — rispose Chidambaram. — Il nuovo inizio.
Telander rimase fermo, in piedi, per un certo tempo, prima di cadere in ginocchio. Le lacrime gli rigavano silenziosamente il volto. — Padre, Ti ringrazio — disse.
Poi, alzandosi: — E ringrazio voi, signori. Qualunque cosa accada in seguito… siamo arrivati fin qui, abbiamo fatto tutto questo. Penso di poter di nuovo tirare avanti… dopo ciò che mi avete appena mostrato.
Quando finalmente se ne andò per tornare al ponte di comando, camminava con l’incedere di un comandante.