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— Grazie — disse Lindgren, a bassa voce.

— Tuttavia non posso fare a meno di essere un po’ sorpreso — confessò Telander. — Reymont non mi sembra proprio il tipo che io, al posto tuo, avrei scelto. Credi che la vostra relazione durerà?

— Spero di sì. Egli dice che lo vuole. — La ragazza cercò di superare la propria confusione contrattaccando a sua volta in tono scherzoso: — E di te che cosa mi dici? Hai già preso qualche impegno?

— No. Lasciamo tempo al tempo, certo. Agli inizi sarò troppo occupato. E alla mia età queste questioni non sono poi tanto urgenti. — Telander rise, poi tornò a farsi serio. — A proposito, non abbiamo certo tempo da perdere. Per favore, comincia l’ispezione e…

Il mezzo di trasporto raggiunse l’astronave nello spazio e si accostò ad essa. Dalla Leonora Christine si distaccarono pesanti ancore che assicurarono alle sue più ampie curve il piccolo scafo gremito di gente. I robot dell’astronave — attive unità sensorizzate e computerizzate — dirigevano le manovre finali dell’operazione e portarono le condutture d’aria a unirsi in un bacio preciso al millimetro. In seguito ben altro sarebbe stato richiesto loro. Dopo che entrambe le camere furono svuotate dell’aria, e i valori esterni furono annullati, fu introdotto un tubo di plastica per effettuare la prova di tenuta d’aria. I locali furono nuovamente pressurizzati e si verificò che non esistessero eventuali falle. Compiuto tale controllo, furono aperte le valvole interne.

Reymont si tolse la cintura di sicurezza. Fluttuando fuori dal suo sedile, lanciò un’occhiata lungo la sezione passeggeri. Anche il chimico americano, Norbert Williams, si stava slacciando la cintura.

— La tenga — ordinò Reymont in inglese. Sebbene tutti conoscessero lo svedese, alcuni non lo parlavano alla perfezione e, per gli scienziati, inglese e russo rimanevano le principali lingue internazionali. — Restate tutti ai vostri posti. Come vi ho detto all’imbarco, vi scorterò uno alla volta fino alle vostre cabine.

— Non si preoccupi per me — rispose Williams. — Me la so cavare bene in mancanza di peso. — Era un uomo grassoccio, dal viso rotondo, i capelli pepe e sale, con una spiccata predilezione per gli abiti dai colori chiassosi e per un parlare roboante.

— Tutti siete stati addestrati in questo senso — replicò Reymont. — Ma non è lo stesso dell’essersi abituati ad avere i riflessi giusti grazie all’esperienza.

— Perciò possiamo fluttuare un po’ maldestramente. E con questo?

— Con questo è possibile che si verifichi qualche incidente. Non è probabile, d’accordo, ma possibile. Il mio dovere consiste proprio nell’aiutare a prevenire simili possibilità. La mia idea è di accompagnarvi uno alla volta alle vostre cuccette, dove rimarrete fino a nuovo ordine.

Williams si fece rosso in faccia. — Stia a sentire, Reymont…

Gli occhi del poliziotto, che erano grigi, si appuntarono su di lui. — Questo è un preciso ordine — esclamò Reymont, scandendo accuratamente ogni parola. — Ne ho l’autorità. Non vorrà che si cominci questo viaggio con una violazione.

Williams tornò a mettersi la cintura di sicurezza. Le sue mosse erano inutilmente energiche, le labbra strette fino a diventare bianche. Sulla fronte gli apparvero alcune gocce di sudore, che si dispersero nel corridoio; la luce al fluoro che era sopra le loro teste le fece scintillare.

Reymont parlò con il pilota attraverso il telefono interno. Quell’uomo non sarebbe salito a bordo dell’astronave, ma sarebbe ripartito non appena avesse sbarcato tutto il suo carico umano. — Le dispiace se apriamo gii scuri dei finestrini? Vorrei dare ai nostri amici qualcosa da guardare mentre aspettano.

— Faccia pure — disse la voce. — Non è previsto alcun tipo di rischio. E… per un po’ non rivedranno la Terra, non è così?

Reymont riferì il permesso ottenuto. Molte mani si precipitarono a girare le manovelle sul lato della navicella rivolto verso lo spazio, tirando indietro gli scuri che coprivano gli oblò, fatti di una sostanza simile al vetro. Intanto Reymont si dedicava al suo lavoro di accompagnatore.

In quarta fila c’era Chi-Yuen Ai-Ling. Si era completamente girata all’interno del sistema di protezione personale in modo da essere rivolta verso l’oblò. Aveva le dita premute contro la superficie vetrosa. — Tocca a lei, per favore — disse Reymont. La donna non rispose. — Signorina Chi-Yuen. — Le batté leggermente sulla spalla. — È il suo turno.

— Oh. — Sembrava che fosse stata svegliata da un sogno. Nei suoi occhi brillavano alcune lacrime. — Mi… mi scusi. Mi ero persa…

Il veicolo spaziale collegato all’astronave stava entrando in un’altra alba. La luce si innalzava sopra l’immenso orizzonte terrestre, frammentandosi in migliaia di colori dallo scarlatto foglia d’acero al blu pavone. Per un attimo si poté vedere un’ala di splendore zodiacale, simile a un alone sopra il nascente disco di fuoco. Al di là c’erano le stelle e una luna crescente. Sotto c’era il pianeta, opaco, con i suoi oceani, le sue nuvole dove si muovevano pioggia e tuono, i continenti verdi e bruni e innevati e le città simili a scrigni pieni di gioielli. Si vedeva, si avvertiva che questo mondo era traboccante di vita.

Chi-Yuen annaspò nel tentativo di sciogliere le fibbie della cintura di sicurezza. Le sue mani sembravano troppo esili al confronto. — Mi ripugna dover smettere di guardarti — sussurrò in francese. — Riposa in pace laggiù, Jacques.

— Lei sarà libera di guardare dagli schermi dell’astronave, non appena avremo iniziato l’accelerazione — le disse Reymont nella stessa lingua.

Il fatto che egli parlasse francese fece trasalire la donna e la riportò di colpo alla consapevolezza dei suoi doveri. — Ma allora saremo già lontani — disse, però con un sorriso. Il suo umore era stato evidentemente più estatico che elegiaco.

Era piccola di statura, con un’ossatura fragile, una figuretta che sembrava quella di un ragazzo nella tunica dal colletto alto e i calzoni larghi secondo l’ultimissima moda orientale. Gli uomini però tendevano a trovarsi d’accordo nel dire che il suo era il viso più incantevole che ci fosse a bordo dell’astronave, incorniciato com’era dai capelli di un nero azzurrino lunghi fino alle spalle. Quando parlava svedese, quella sfumatura di intonazione cinese che ella dava alla cadenza rendeva la lingua nordica simile a un canto.

Reymont l’aiutò a sciogliersi la cintura e le circondò la vita con un braccio. Non si preoccupò di infilare i piedi nelle scarpe magnetiche collegate al pavimento, per avanzare così faticosamente verso l’uscita. Invece puntò un piede contro il sedile, si diede una spinta e fluttuò lungo il corridoio. Arrivato al portello si afferrò a una maniglia, si lanciò attraverso un arco, si diede una nuova spinta ed era già dentro l’astronave. In generale coloro che egli accompagnava avevano un atteggiamento rilassato; per lui era più facile trasportare i loro corpi passivi che non dover contrastare movimenti goffi compiuti nel tentativo di aiutarlo. Ma Chi-Yuen era diversa dagli altri. Sapeva come fare. I loro movimenti si trasformarono in una veloce e vorticosa danza. Dopo tutto, in qualità di planetologa Chi-Yuen doveva avere una buona dose di esperienza in condizioni di caduta libera.

Il loro volo non era però meno divertente dal momento che era giustificabile.

Il percorso che dall’ingresso portava alle cabine dei passeggeri correva attraverso piani concentrici abiditi a stive per l’immagazzinamento delle merci e che costituivano un’ulteriore schermatura e protezione per il cilindro attorno all’asse della nave dove il personale di bordo avrebbe soggiornato. Ci si poteva servire di ascensori per trasportare i carichi pesanti verso prora o verso poppa in condizioni di accelerazione. Ma probabilmente le sale che salivano a spirale in cavedi paralleli ai pozzi degli ascensori avrebbero avuto un uso maggiore. Reymont e Chi-Yuen imboccarono una di quelle scale per uscire dal ponte al centro della massa, dove si trovava tutto il macchinario elettrico e il giroscopio, e dirigersi verso la prora dov’erano situate le cabine. Privi di peso, seguirono la balaustra delle scale senza mai mettere piede su un gradino. Mentre la loro velocità aumentava, la forza di Coriolis e quella centrifuga suscitavano in loro una specie di vertigine, come una leggera ubriachezza che dia soltanto voglia di ridere. — E andiamo attorno, ancora… uiii!