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«E lui… la farà?» domandò Sansa. «Farà quella richiesta?»

Lady Olenna corrugò la fronte. «Non vedo alcuna ragione di lasciargli la scelta. Naturalmente, non dovrà avere idea alcuna del nostro vero intendimento.»

«Annusò essenze profumate, nell’aria dell’estate.»

«Il nostro…» Sansa aggrottò le sopracciglia «vero intendimento, mia signora?»

«Annusò e ruggì e lo sentì il dolce profumo del miele, nell’aria della sera.»

«Che tu possa andare in sposa trovandoti al sicuro, bambina» disse l’anziana donna, mentre Blocco di burro continuava a ululare quella vecchia canzone. «Sposa a mio nipote.»

“La moglie di ser Loras, oh…” Sansa si sentì mancare il fiato. Ricordò nuovamente ser Loras Tyrell nella sua scintillante armatura color zaffiro, intento a lanciarle la rosa rossa. E poi rivide Loras vestito di seta bianca, così puro, innocente, bellissimo. Le fossette agli angoli della bocca ogni volta che lui sorrideva. La dolcezza della sua risata, il calore della sua mano. Nemmeno riusciva a immaginare come sarebbe stato sollevargli la tunica, e accarezzare la pelle liscia nuda. Alzarsi sulle punte dei piedi e baciarlo, far scivolare le dita tra i suoi folti riccioli castani, annegando nei suoi splendidi, profondi occhi scuri.

«Oh, io sono una fanciulla, sono pura e bella! Mai danzerò con un orso peloso! Un orso, un orso! Mai danzerò con un orso mostruoso!»

«Pensi che ti piacerebbe, Sansa?» chiese Margaery. «Non ho mai avuto una sorella, solamente fratelli. Oh, ti prego, di’ di sì. Ti prego, di’ che acconsentirai a sposare mio fratello.»

«Sì. Acconsento.» Le parole vennero fuori rapide come una cascata. «Lo vorrei più di ogni altra cosa. Sposare ser Loras, amarlo…»

«Loras?» C’era una vena d’irritazione nel tono di lady Olenna. «Non essere sciocca, bambina. I cavalieri della Guardia reale non possono sposarsi. Non ti hanno insegnato niente a Grande Inverno? Era di mio nipote Willas che stavamo parlando. È un po’ vecchio per te, questo è vero, ma è anche un caro, caro ragazzo. Per niente sciocco, e in più è l’erede di Alto Giardino.»

Sansa si sentì colta da vertigine. Un momento prima, la sua testa era piena di sogni d’amore con lo splendido Loras. E in un attimo le erano stati portati via tutti. “Willas? Chi è Willas…?”

«Io…» disse stolidamente. “La corazza di una lady è la cortesia. Non devi offenderle. Attenta a ciò che dici.” «Io non conosco ser Willas. Non ne ho mai avuto il piacere, mia signora. È anche lui… Un grande cavaliere come i suoi fratelli?»

«La sollevò alta nell’aria della sera, l’orso, l’orso, la fiera!»

«Non lo è» rispose Margaery. «Non ha mai prestato il giuramento.»

«Di’ la verità alla piccola.» La fronte della regina di Spine era ancora aggrottata. «Il povero figliolo è uno storpio, ecco la verità.»

«È rimasto ferito quando era uno scudiero, affrontando il suo primo torneo» confessò Margaery. «Il suo cavallo è caduto e gli ha schiacciato una gamba.»

«Quel serpente velenoso d’un dorniano ne ha la colpa, quell’Oberyn Martell. Lui e anche il suo maestro.»

«Un cavaliere armato, avevo chiamato. Ma tu sei un orso, un orso, tutto marrone e nero, tutto coperto di pelo…»

«Willas ha una gamba cattiva, ma ha anche un grande cuore» riprese Margaery. «Quando ero bambina, mi leggeva storie e mi disegnava immagini delle stelle. Finirai per amarlo tanto quanto lo amo io, Sansa.»

«Scalciò e urlò la fanciulla dagli occhi belli, ma lui le leccò il miele dai capelli! Dai capelli! L’orso le leccò il miele dai capelli!»

«Quando potrò incontrarlo?» chiese Sansa, esitando.

«Presto» promise Margaery. «Quando verrai ad Alto Giardino, dopo che Joffrey e io saremo sposati. Mia nonna ti accompagnerà.»

«Ti accompagnerò io, piccola» disse la vecchia, dando altri colpetti sulla mano di Sansa, un sorriso sul volto grinzoso. «Certo che ti accompagnerò.»

«Poi lei sospirò e berciò e scalciò su nell’aria della sera! Mio orso, cantò. Mio orso, così splendido e forte. E andarono via, di villaggio in villaggio, la fanciulla dal profumo di miele e l’orso vestito da paggio.»

Blocco di burro concluse l’ultima strofa con un ruggito, piroettò nell’aria e atterrò su entrambi i piedi, con un tonfo che fece tremare le coppe di vino sul tavolo. Le donne Tyrell risero e applaudirono.

«Credevo che non l’avrebbe finita più con quella stupida canzone» disse la regina di Spine. «Ah, guarda, ecco che arriva il mio formaggio.»

JON

Il mondo era grigia tenebra. Odorava di pino, di muschio e di gelo. Nebbia livida si alzava dalla terra nera, le figure a cavallo arrancavano nel labirinto di rocce ostili e di alberi contorti. Stavano discendendo verso i fuochi, splendenti come gioielli, oltre il fiume che scorreva nella valle sotto di loro. C’erano più fuochi di quanti Jon Snow fosse in grado di contare. Fuochi a centinaia, a migliaia. Un secondo fiume di luci pulsanti che si estendeva lungo le rive del bianco, gelido Fiumelatte.

Discesero dal crinale senza vessilli né trombe, la quiete spezzata solo dal fruscio lontano del fiume, dal ritmo degli zoccoli e dai suoni dell’armatura di ossa di Rattleshirt. Da qualche parte in alto, un’aquila planava su grandi ali grigio blu. In basso avanzavano uomini, cani, cavalli e un meta-lupo albino.

Una pietra si staccò e rimbalzando sul pendio, disturbando il passo di uno dei cavalli. Jon vide la testa di Spettro girarsi di scatto verso il suono improvviso. Per l’intera giornata, il meta-lupo bianco aveva seguito i cavalieri tenendosi a distanza, come sempre. Ma quando la luna si era levata oltre le cime dei pini-soldato, si era avvicinato, occhi rossi che mandavano lampi. E, come sempre, i cani di Rattleshirt lo avevano accolto con un coro di ringhi, latrati e folli ululati. Spettro non aveva prestato loro alcuna attenzione. Sei giorni prima, con i bruti accampati per la notte, il più grosso dei mastini lo aveva attaccato alle spalle. Spettro si era girato e aveva spiccato un balzo, contrattaccando, lasciando l’aggressore con una coscia insanguinata. Dopo di che, il resto del branco si era tenuto a prudente distanza.

Il destriero di Jon Snow nitrì, ma una carezza e una parola pacata riuscirono a calmarlo. Jon avrebbe voluto che anche le sue, di paure, potessero venire calmate con quella stessa facilità. Continuava a vestire interamente di nero, il nero dei Guardiani della notte, ma aveva nemici che cavalcavano sia davanti sia dietro di lui. “I bruti. E io adesso sto con loro.” Ygritte portava il mantello che era appartenuto a Qhorin il Monco. Lenyl si era impossessato della sua maglia di ferro. Ragwyle, la grossa “moglie di lancia”, aveva preso i suoi guanti e uno degli arcieri i suoi stivali. L’elmo di Qhorin era stato vinto da un uomo piccolo e brutto chiamato Ryk Lungapicca, ma non gli calzava bene sulla testa, per cui lo aveva ceduto a Ygritte. E Rattleshirt adesso portava nella sacca le ossa di Qhorin, assieme al cranio mozzato e insanguinato di Ebben, il confratello che era uscito di pattuglia assieme a Jon sul passo Skirling. “Morti, tutti morti… tranne me. E per il mondo, anch’io sono morto.”

Ygritte veniva immediatamente alle sue spalle. Davanti a lui c’era Ryk Lungapicca. Il lord delle Ossa aveva assegnato a entrambi il compito di sorvegliare Jon. «Se il corvo vola via» li aveva avvertiti mentre si mettevano in marcia «faccio bollire anche le vostre, di ossa.» E aveva sorriso dietro i denti storti del gigantesco teschio che gli faceva da elmo.

«Vuoi fargli tu la guardia?» Ygritte aveva sghignazzato. «Se non vuoi, lasciaci in pace e gliela facciamo noi.»

“Questa gente è veramente il popolo libero” si era reso conto Jon. Rattleshirt sarà anche stato l’uomo che li guidava, ma nessuno degli altri esitava a rispondergli per le rime.