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«Non riesco a vedere Drogon.» Ser Jorah Mormont arrivò al fianco di Daenerys sul castello di prora. «Che si sia perduto di nuovo?»

«Siamo noi a esserci perduti, cavaliere» rispose Daenerys. «A Drogon quest’umida immobilità non piace affatto, non più di quanto piaccia a me.»

Più temerario degli altri due, il drago nero era stato il primo a provare le ali sull’acqua, il primo a svolazzare da una nave all’altra, il primo a smarrirsi all’interno di una nube… E anche il primo a uccidere. Nel momento stesso in cui i pesci volanti apparivano al di sopra della superficie, si ritrovavano avvolti da un fiotto di fiamme, sollevati e quindi inghiottiti.

«Quanto crescerà?» chiese Dany curiosa. «Lo sai?»

«Nei Sette Regni esistono leggende che parlano di draghi talmente colossali da essere in grado di strappare le piovre giganti dal fondo degli oceani.»

Dany rise. «Questo proprio mi piacerebbe vederlo.»

«Si tratta solo di leggende, khaleesi» rispose il cavaliere esiliato. «Altre parlano di draghi vecchi e saggi che hanno vissuto fino a mille anni.»

«Per cui, quanto vive un drago?» Lo sguardo di Daenerys seguì Viserion che planava basso sulla nave, le ali che battevano lentamente, agitando le vele afflosciate.

«L’arco naturale di vita di un drago è di molte volte superiore a quello di un uomo.» Ser Jorah scrollò le spalle. «O almeno questo è quanto dicono le antiche canzoni… Ma i draghi che i Sette Regni hanno conosciuto meglio di tutti sono stati quelli della Casa Targaryen. Erano draghi generati e addestrati per andare in guerra, e in guerra morirono. Non è facile uccidere un drago, ma non è neppure impossibile.»

L’anziano scudiere detto Barbabianca, in piedi presso la polena, una mano asciutta chiusa attorno al suo lungo bastone da pellegrino, si girò verso di loro. «Balerion il Terrore Nero» disse. «Aveva duecento anni quando morì, durante il regno di Jaehaerys il Conciliatore. Era talmente grosso da poter inghiottire un uri tutto intero. I draghi non cessano mai di crescere, maestà, basta che abbiano cibo e libertà.»

Il suo nome era Arstan, ma Belwas il Forte lo aveva soprannominato Barbabianca per i peli candidi che gli coprivano buona parte del volto. E adesso tutti lo chiamavano così. Era più alto di ser Jorah, per quanto non altrettanto muscoloso. Aveva occhi azzurro pallido, e la sua lunga barba era bianca come la neve e soffice come la seta.

«La libertà?» ripeté Dany, incuriosita. «Che cosa vuoi dire?»

«Ad Approdo del Re, i tuoi antenati eressero un immenso castello a cupola per ospitare i loro draghi. La “Fossa del drago” è chiamata. È ancora là, sulla cima dell’alta collina di Aegon, per quanto adesso sia caduta in rovina. Era là che vivevano i draghi della dinastìa, durante l’epoca reale. Una struttura immensa, dotata di porte di ferro talmente larghe da consentire il passaggio di trenta cavalieri affiancati. Eppure, perfino con simili dimensioni, nessuno dei draghi di quell’era riuscì mai a raggiungere la grandezza dei suoi predecessori. I maestri dicono che fu a causa delle mura che li circondavano, e della grande cupola sopra le loro teste.»

«Se le mura potessero farci rimanere piccoli, tutti quelli del volgo sarebbero nani e tutti i re sarebbero giganti» disse ser Jorah. «Mentre io ho visto uomini giganteschi nati nelle stalle, ed esseri minuscoli che invece abitano nei castelli.»

«Gli uomini sono uomini» ribatté Arstan Barbabianca. «I draghi sono draghi.»

Ser Jorah emise un grugnito sarcastico. «Molto profondo.» Il cavaliere esiliato non nutriva il benché minimo affetto nei confronti del vecchio, e fin dall’inizio non aveva perduto occasione per manifestarlo. «E in ogni caso, tu che ne sai di draghi?»

«Poco, è vero. Ma ho servito ad Approdo del Re per un certo tempo, quando re Aerys sedeva sul Trono di Spade. E ho camminato al cospetto dei teschi di drago incastonati nelle pareti della sua sala del trono.»

«Viserys mi parlava di quei teschi» disse Daenerys. «L’Usurpatore li ha fatti rimuovere e li ha nascosti. Non riusciva a sopportare che loro lo guardassero dall’alto, seduto su quel trono che aveva rubato.» Fece cenno a Barbabianca di accostarsi. «Hai mai incontrato il mio reale genitore?» Re Aerys II Targaryen, detto il re Folle, era morto prima che lei nascesse.

«Ho avuto quell’onore, maestà.»

«Hai trovato che fosse buono e gentile?»

«Sua maestà Aerys era…» Barbabianca fece del suo meglio per celare i propri sentimenti ma, dalla sua espressione, questi furono evidenti. «…Spesso piacevole.»

«Spesso?» Dany sorrise. «Non sempre?»

«Poteva essere estremamente duro verso coloro che reputava suoi nemici.»

«L’uomo saggio evita di farsi nemico un re» disse Dany. «Hai conosciuto anche mio fratello Rhaegar?»

«Si diceva che nessun uomo potesse realmente conoscere il principe Rhaegar. Ho avuto il privilegio di vederlo ai tornei, e spesso l’ho udito suonare l’arpa dalle corde d’argento.»

«Alla festa del raccolto, assieme a mille altri» grugnì ser Jorah. «La prossima che sfornerai sarà che sei stato suo scudiero.»

«Non ho una simile pretesa, cavaliere. Myles Motoon era lo scudiero del principe Rhaegar, e Richard Lonmouth lo divenne dopo di lui. Una volta che si guadagnarono i loro speroni, fu il principe in persona a investirli cavalieri, e loro rimasero suoi fedeli compagni. Anche il giovane lord Connington era caro al principe, ma il suo più vecchio amico era Arthur Dayne.»

«La Spada dell’alba!» disse Daenerys, deliziata. «Viserys era solito parlarmi della sua incredibile lama bianca. Diceva che ser Arthur era l’unico cavaliere del reame a essere pari a nostro fratello.»

Barbabianca chinò il capo. «Non spetta a me mettere in dubbio le parole del principe Viserys.»

«Re Viserys» lo corresse Dany. «Era un re, anche se non ha mai regnato. Viserys, terzo del suo nome. Ma che cosa intendi, Arstan?» La risposta del vecchio scudiero non era quella che lei si era aspettata. «Una volta, ser Jorah definì Rhaegar l’ultimo dei draghi. Dev’essere stato un guerriero senza pari per venire definito a quel modo, non è forse così?»

«Maestà» disse Barbabianca. «Il principe della Roccia del Drago era uno splendido guerriero, ma…»

«Va’ avanti» lo esortò Dany. «Puoi parlare liberamente.»

«Come tu comandi.» Il vecchio, la fronte aggrottata, si appoggiò al suo bastone di legno di quercia. «Un guerriero senza pari… Si tratta di splendide parole, maestà, ma non sono le parole a vincere le battaglie.»

«Sono le spade a vincere le battaglie» intervenne duramente ser Jorah. «E il principe Rhaegar sapeva bene come usarne una.»

«Lo sapeva, ser, è vero, ma… Ho assistito a mille tornei, e ho visto molte più guerre di quante avrei voluto. E quanto forte, quanto veloce, quanto esperto un cavaliere possa essere, ce n’è sempre almeno un altro capace di batterlo. L’uomo che trionfa in un torneo, altrettanto facilmente può cadere nel torneo successivo. A decretare la sconfitta può essere un punto scivoloso nell’erba, o quello che si è mangiato per cena la sera prima. Così come un giro di vento può diventare la chiave per la vittoria.» Barbabianca rivolse uno strano sguardo a ser Jorah. «O anche il pegno di una signora legato attorno al braccio.»

L’espressione di Mormont s’incupì. «Attento a quello che dici, vecchio.»

Arstan aveva visto ser Jorah combattere a Lannisport, Dany questo lo sapeva, nel torneo che Mormont aveva vinto con il pegno di una dama, un fazzoletto di seta, legato al braccio. Aveva vinto anche il cuore della dama in questione, lady Lynesse della Casa Hightower, di nobili natali e bellissima, che poi era diventata la sua seconda moglie. Solo che in seguito lei lo aveva rovinato, abbandonandolo e non lasciandogli altro che ricordi dolorosi.