«E se il capitano Groleo dovessi rifiutarsi di cambiare rotta? E Arstan e Belwas il Forte… Loro che faranno?»
Ser Jorah si alzò. «Forse è giunto il momento che tu lo scopra.»
«Sì» decise Daenerys «lo farò!» Gettò le coperte da parte e saltò in piedi abbandonando la cuccetta. «Andrò dal capitano immediatamente. Gli dirò di fare rotta per Astapor.»
Si chinò sul suo baule, spalancò il coperchio e afferrò il primo indumento che le capitò sotto mano: un paio di calzoni di seta cruda.
«Passami la mia cintura a medaglioni» comandò a ser Jorah, tirandosi su i pantaloni fino alle anche. «E il mio gilè…» continuò mentre si voltava.
Ser Jorah la circondò con un abbraccio.
«Oh…»
Daenerys non ebbe il tempo di dire altro. Il cavaliere l’attirò a sé e premette la sua bocca sulle labbra morbide di lei. Ser Jorah odorava di sudore, di salmastro e di cuoio. Le borchie di ferro della sua tunica affondarono nei seni nudi della regina mentre lui la stringeva a sé. Con una mano la trattenne per le spalle, facendo scendere l’altra lungo la curva della schiena. Daenerys schiuse le labbra, accogliendo la lingua ardente di lui. “La sua barba punge” pensò “ma la sua bocca è dolce.” I dothraki non portavano la barba, soltanto lunghi baffi. E, prima di quel momento, era stato khal Drogo l’unico uomo ad averla baciata. “Ser Jorah non dovrebbe far questo. Sono la sua regina, non la sua donna.”
Fu un bacio lungo. Ma quanto lungo, Dany non avrebbe saputo dirlo. Quando ser Jorah la lasciò andare, la regina fece un rapido passo indietro.
«Tu… Tu non avresti dovuto…»
«…Sì, non avrei dovuto aspettare tanto a lungo» completò ser Jorah al suo posto. «Avrei dovuto baciarti a Qarth, a Vaes Tolorro. Avrei dovuto baciarti nella desolazione rossa, ogni notte e ogni giorno. Tu sei fatta per essere baciata, spesso e bene.» Aveva gli occhi fissi sui seni di lei.
Dany se li coprì con le mani, prima che i capezzoli la tradissero. «Non… Non è stato appropriato. Io sono la tua regina.»
«La mia regina» rispose ser Jorah. «E anche la più coraggiosa, la più dolce e la più bella donna che io abbia mai visto. Daenerys…»
«Maestà!»
«Maestà» concesse lui. «“Il drago ha tre teste”, ricordi? Ti sei chiesta che cosa significa, fin da quando lo hai sentito dagli stregoni del palazzo di Polvere. Ebbene, ecco il significato: Balerion, Meraxes e Vhagar, cavalcati da Aegon, Rhaenys e Visenya. Il drago con tre teste della Casa Targaryen… Tre draghi, e tre cavalieri di draghi.»
«Sì» disse Dany. «Ma i miei fratelli sono morti.»
«Rhaenys e Visenya non erano solo le sorelle di Aegon, erano anche le mogli. Tu non hai fratelli, ma puoi avere dei mariti. E io ti dico: in verità, Daenerys, non esiste nessun uomo al mondo che potrà esserti più devoto di me.»
BRAN
La cordigliera s’innalzava dalla terra all’improvviso, una lunga piega di pietra e di roccia a forma di artiglio. Sulle pendici, alle quote inferiori, crescevano pini, biancospini e frassini. Ma più in alto il terreno era spoglio, il crinale una linea netta contro il cielo pieno di nubi.
Lui avvertiva dentro di sé il richiamo dell’alta pietra. Cominciò a salire. Sulle prime con lentezza. Poi sempre più rapido, sempre più in alto, con le gambe poderose che divoravano il pendio. Mentre correva, uccelli eruppero dai rami sopra di lui, in una confusione di ali protese verso il cielo. Poteva udire il vento sussurrare tra le foglie, gli scoiattoli comunicare gli uni con gli altri. Poteva addirittura sentire il suono di una pigna che rotolava sul terriccio nella foresta. Tutto attorno a lui, gli odori erano come un canto, un coro che pareva permeare il buon mondo verde.
La ghiaia gli schizzò via da sotto le zampe mentre lui superava le ultime iarde, raggiungendo la vetta. Il sole, gigantesco e rosso, galleggiava al di sopra dei pini.
Molto più in basso, alle pendici del bosco, qualcosa si mosse tra gli alberi Fu solo un lampo di grigio, appena una fugace visione che un attimo dopo era scomparsa. Ma fu sufficiente per fargli tendere le orecchie. Da qualche parte, là sotto, scivolò accanto a un torrente una seconda forma in movimento. Lupi, lui sapeva che erano loro. I suoi cugini più piccoli, a caccia di una preda. Ora il principe dominatore riusciva a vederne parecchi. Ombre che scivolavano su zampe grigie. Un branco.
Anche lui aveva avuto un branco, molto tempo prima. Cinque erano stati, più un sesto che si teneva in disparte. Dentro di lui, nel profondo, c’era la memoria di quei suoni che gli uomini usavano per distinguerli uno dall’altro. Ma lui non aveva bisogno di nomi per riconoscere i suoi fratelli e le sue sorelle. Ricordava l’odore di ciascuno di loro. Tutti quanti avevano lo stesso odore, l’odore del branco, ma ognuno era diverso.
Suo fratello, quello pieno di rabbia, quello con gli ardenti occhi verdi, era vicino. Erano molte cacce che il principe non lo vedeva, ma poteva comunque percepirlo. Eppure, ogni volta che il sole tornava a tramontare, suo fratello andava sempre più lontano. E di tutti, lui era stato l’ultimo. Gli altri si erano dispersi chissà dove, simili a foglie secche soffiate lontano dal vento.
A volte riusciva a sentirli, però, come se fossero ancora con lui, nascosti da un masso o da una macchia di alberi. Non ne percepiva l’odore, né l’ululato durante la notte, ma sentiva ancora la loro presenza dietro di sé… Di tutti, tranne della sorella che avevano perduto. Nel ricordarla, la sua coda si abbatteva. “In quattro, adesso, non più in cinque. Quattro e un altro ancora, quello bianco che non ha voce.”
Queste foreste appartenevano a loro: i pendii coperti di neve e le colline disseminate di rocce, i grandi pini verdi e le foglie dorate delle querce, i fruscianti corsi d’acqua e i laghi azzurri, circondati dalle bianche dita del gelo. Sua sorella però aveva abbandonato le terre selvagge. Era andata a camminare nei luoghi dell’uomo, dove i cacciatori erano in agguato. E una volta all’interno di quei luoghi, era difficile ritrovare la strada per uscirne. Il principe dei lupi ricordava tutto questo.
Il vento cambiò all’improvviso.
Cervo e paura e sangue. L’odore della preda risvegliò dentro di lui la fame. Il principe annusò l’aria, si voltò e si lanciò di nuovo in corsa, raggiungendo il crinale con le mandibole semiaperte. Il versante opposto delle alture era più ripido di quello che aveva scalato. Senza esitare, lui volò sopra i sassi, le radici, le foglie putrescenti. Calò per la discesa e tra gli alberi, divorando il terreno in lunghe falcate. L’odore della preda continuò a trascinarlo in avanti, ancora più veloce.
Quando arrivò, la preda era a terra, morente, circondata da otto dei suoi grigi cugini più piccoli. I capi del branco avevano già cominciato a nutrirsi, prima il maschio e poi la femmina, facendo a turno nello strappare brani di carne dal ventre rosso della preda. Pazientemente, gli altri aspettavano, tutti tranne l’ultimo nella gerarchia, il quale passeggiava guardingo in cerchio, la coda bassa, ad alcuni passi dagli altri. Sarebbe stato l’ultimo a mangiare, cibandosi di quello che i suoi fratelli gli avrebbero lasciato.
Il principe era sottovento. Loro non lo percepirono fino a quando non spiccò un salto fermandosi su un tronco caduto, a sei passi dalla carcassa. L’ultimo lupo lo vide per primo, emise un penoso guaito e si ritirò. Sentendo quel verso, i suoi fratelli del branco reagirono, snudando i denti e ringhiando, tutti tranne il maschio capo e la femmina.