«Una locanda?» Alla sola idea del cibo caldo, Arya sentì lo stomaco che rumoreggiava. Ma non si fidava di questo Tom. Non era affatto vero che tutti quelli che ti parlano in modo amichevole sono tuoi amici. «Ed è vicina, hai detto?»
«Due miglia a monte» precisò Tom. «Una lega, al massimo.»
L’espressione di Gendry era incerta quanto quella di Arya. «E chi sarebbero questi amici?» chiese, guardingo.
«Amici» disse Lem. «Non ditemi che avete dimenticato che cosa sono gli amici.»
«Sharna è il nome della locandiera» aggiunse Tom. «Ha la lingua tagliente e l’occhio duro, questo sì, ma è di buon cuore. E vuole bene alle ragazzine.»
«Non sono una ragazzina» protestò Arya con rabbia. «Chi altri c’è? Hai parlato di amici.»
«Il marito di Sharna e un ragazzo orfano che hanno preso con loro. Non ti faranno del male. C’è la birra, se pensi di avere l’età per berla. Pane fresco e forse anche un po’ di carne.» Tom lanciò un’occhiata alla baracca. «Più quello che avete rubato dall’orto del vecchio Pete.»
«Non abbiamo rubato niente» disse Arya.
«Quindi saresti la figlia del vecchio Pete? O la sorella? O la moglie? Non raccontarmi altre bugie, Pulcino. L’ho seppellito io stesso, il vecchio Pete, proprio sotto quel salice dietro cui ti nascondevi, e tu non gli assomigli per niente.» Tom Sertecorde trasse dall’arpa un’altra nota triste. «Ne abbiamo sepolti fin troppi di bravi uomini nell’anno che è trascorso, ma non abbiamo alcun desiderio di seppellire anche voi, lo giuro sulla mia arpa. Arciere, falle vedere.»
La mano dell’ardere si mosse, più rapida di quanto Arya sarebbe mai riuscita a credere. La freccia le sibilò a meno di un palmo dall’orecchio, andando a conficcarsi molto in profondità nel tronco del salice alle sue spalle con un tonfo secco. In un battito di ciglia, l’arciere aveva incoccato la seconda freccia e messo l’arco nuovamente in tensione. Arya credeva di aver capito che cosa Syrio Forel intendesse con “rapida come un serpente e liscia come seta dell’estate”. Ma adesso sapeva di non aver capito niente. Dietro di lei, simile a un’ape, il fusto della freccia continuava a vibrare.
«Hai sbagliato» azzardò Arya.
«Se lo credi veramente, sei ancora più sciocca» rispose Anguy. «Vanno dove io voglio che vadano.»
«Poco ma sicuro» commentò Lem Mantello di limone.
C’erano almeno dodici passi di distanza tra l’arciere e la punta della spada di Arya. “Nessuna possibilità.” Quanto avrebbe voluto avere anche lei un arco come quello e l’abilità di usarlo. Con aria tetra, abbassò la pesante spada lunga, fino a quando la punta non fu a contatto del terreno.
«Verremo a vedere questa locanda» cedette Arya, cercando di nascondere con parole dure il dubbio che provava. «Voi camminate davanti e noi vi stiamo dietro, in modo da vedere quello che fate.»
Tom Settecorde fece un profondo inchino. «Davanti, dietro, non fa nessuna differenza. Coraggio, figlioli, facciamo strada noi. Anguy, meglio che tu recuperi quelle frecce. Qui non ci serviranno.»
Arya rinfoderò la spada e attraversò la strada, raggiungendo gli amici a cavallo, e tenendosi a distanza dei tre estranei. «Frittella, raccogli quei cavoli» gli disse saltando in sella. «E anche le carote.»
Per una volta tanto, lui evitò di discutere.
Si misero in marcia come Arya aveva voluto: i ragazzi condussero i cavalli a un’andatura lenta lungo la strada scavata dai solchi, tenendosi una dozzina di passi dietro i tre che andavano a piedi. Ma non passò molto tempo prima che si ritrovassero gli uni a ridosso degli altri. Tom Settecorde camminava adagio, continuando a strimpellare la sua arpa.
«Conoscete qualche canzone?» chiese loro. «Non so che cosa darei per avere qualcuno che canti con me, dico sul serio. Lem è totalmente stonato, e il nostro ragazzo dall’arco lungo conosce solo ballate delle Terre Basse, ognuna da cento strofe.»
«Noi cantiamo canzoni vere, nelle Terre Basse» disse pacatamente Anguy.
«Cantare è stupido» dichiarò Arya. «Cantare fa rumore. Vi abbiamo sentito arrivare da molto lontano. Potevamo uccidervi.»
Dal sorriso di Tom, era chiaro che a questo lui non credeva. «Ci sono cose peggiori del morire con un canto sulle labbra.»
«Se da queste parti c’erano lupi, lo avremmo saputo» aggiunse Lem. «E anche leoni. Queste sono le nostre foreste.»
«Invece non lo avete mai saputo che noi eravamo qui» disse Gendry.
«Non esserne così sicuro, ragazzo» ribatté Tom. «Certe volte, si sa più di quanto si dice.»
Frittella si agitò sulla sella. «Io conosco la canzone sull’orso» disse. «Una parte, almeno.»
Tom fece scivolare le dita lungo le corde dell’arpa. «E allora sentiamola, ragazzino delle frittelle.» Gettò la testa all’indietro e si mise a cantare. «Un orso, c’era. Un orso, un orso! Tutto Marrone e nero, tutto coperto di pelo…»
Frittella si mise a cantare anche lui con foga, saltellando perfino sulla sella nel seguire il ritmo. Arya lo guardò, stupefatta. Non solo aveva una bella voce ma cantava anche bene. “Non è mai stato capace di fare niente per bene, eccetto il fornaio” disse a se stessa.
Poco oltre, un fiumiciattolo si gettava nel Tridente. Mentre lo guadavano, il canto fece uscire un’anatra dai cespugli acquatici. Anguy si fermò, imbracciò l’arco, incoccò una freccia e lanciò. Colpito in pieno, il volatile cadde nel basso fondale vicino alla riva. Lem si tolse il mantello giallo ed entrò nell’acqua fino alle ginocchia per recuperarlo, mugugnando proteste a ogni passo.
«Pensi che Sharna abbia dei limoni giù in quella sua specie di cantina?» chiese Anguy a Tom, mentre guardavano Lem sempre più fradicio, sempre più incavolato. «Una ragazza dorniana mi ha cucinato un’anatra al limone, una volta» aggiunse in tono malinconico.
Sull’altra sponda del fiumiciattolo, Tom e Frittella ripresero a cantare. Lem aveva appeso l’anatra al cinturone, sotto il mantello giallo. Per una qualche ragione, cantare fece sembrare il cammino decisamente più breve. Poco tempo dopo, la locanda apparve di fronte a loro, ergendosi sulla riva proprio dove il Tridente faceva un’ampia ansa. Mentre si avvicinavano, Arya studiò la struttura con sospetto. Non sembrava un covo di fuorilegge, questo fu costretta ad ammetterlo. Pareva un posto amichevole, addirittura casalingo, con il piano superiore di legno chiaro, il tetto di ardesia e il fumo che dal camino saliva nel cielo arricciandosi pigramente. Il blocco principale era circondato da stalle e altri edifici di servizio. Sul retro, c’era un pergolato, qualche albero di mele e un piccolo giardino. La locanda aveva perfino il proprio molo che si protendeva nel fiume e…
«Gendry» chiamò Arya in tono basso, carico d’urgenza. «Hanno una barca. Potremmo servirci di quella per coprire la strada che ancora ci separa da Delta delle Acque. Sarebbe più rapido che non farla a cavallo, penso.»
Lui ebbe un’espressione dubbiosa. «Ma tu ci sei mai stata su una barca a vela?»
«Alzi la vela» rispose lei «e il vento la spinge.»
«E se il vento soffia dalla parte sbagliata?»
«Allora si va a remi.»
«Controcorrente?» Gendry corrugò la fronte. «Non è troppo lento? Metti che la barca si rovescia e noi finiamo in acqua. E poi non è la nostra barca. È della locanda.»
“Potremmo prenderla.” Arya si morse il labbro, senza rispondere. Smontarono di fronte alle stalle. Non c’erano altri cavalli all’interno, ma in molti dei compartimenti Arya notò sterco fresco. «Uno di noi dovrebbe restare a sorvegliare i cavalli» disse in tono diffidente.
Tom la udì. «Non ce n’è bisogno, Pulcino. Vieni dentro a mangiare. Sono al sicuro, i tuoi cavalli.»
«Rimango io» dichiarò Gendry, ignorando il cantastorie. «Venite a darmi il cambio dopo che avete mangiato qualcosa.»