Annuendo, Arya seguì Frittella e Lem. Aveva ancora la spada nel fodero di traverso alla schiena, e continuò a tenere la mano sull’elsa della daga che aveva rubato a Roose Bolton, giusto nel caso non le fosse piaciuto quello che avrebbero trovato all’interno.
L’insegna di legno dipinto al di sopra della porta raffigurava un qualche vecchio re inginocchiato. Dentro, si apriva la sala comune, dove una donna alta e molto brutta, dal mento squadrato, era in piedi con le mani sui fianchi e l’aria truce.
«E non startene lì impalato, ragazzino» sbottò. «O forse sei una ragazzina? Qualsiasi cosa sei, mi stai bloccando la porta. O dentro o fuori. Lem, che cosa ti ho detto del pavimento? Guarda lì: sei tutto inzaccherato.»
«Abbiamo preso un’anatra» la sollevò come un vessillo di pace.
«Anguy l’ha presa, l’anatra.» La donna brutta gliela strappò di mano. «Se è questo che intendi. E togliti quegli stivali, cosa sei, sordo o solo scemo?» Si voltò. «Marito!» chiamò a voce alta. «Vieni su, i ragazzi sono tornati. Marito!»
Un uomo che indossava un grembiule macchiato salì i gradini della cantina, imprecando tra i denti. Era parecchio più basso della moglie, aveva la faccia sformata e la pelle cascante, giallastra, butterata dalle pustole di una qualche malattia. «Sto qua, donna. Piantala di gridare. Che c’è adesso?»
«Appendi questa» e gli diede l’anatra.
«Pensavamo di mangiarcela, Sharna» fece Anguy, strisciando i piedi. «Con i limoni. Ce ne hai?»
«Limoni. E dov’è che li trovo, i limoni? Questa a te ti pare Dorne, razza di balordo lentigginoso? Perché non fai una scappata giù ai tuoi alberi di limoni e ne prendi un po’? Già che ci sei, prendi anche qualche melograno e delle olive.» Sventolò un dito indice di rimprovero. «Posso cucinarla con il mantello di Lem, se ti va, ma non prima che s’è infrollita per qualche giorno. Oggi o mangi coniglio o non mangi per niente. Arrostito allo spiedo cuoce prima, se hai fame. O magari lo faccio stufato, con ginepro e cipolle.»
Di quel coniglio, ad Arya sembrava di sentire già il sapore. «Non abbiamo conio, ma abbiamo delle carote e dei cavoli da barattare.»
«Ma davvero? E dov’è che sono?»
«Frittella, dalle i cavoli» disse Arya. Lui lo fece, ma si accostò alla donna con estrema cautela, quasi avesse di fronte Rorge o Mordente o Vargo Hoat.
La donna esaminò i vegetali con grande attenzione, ed esaminò il ragazzo che glieli aveva dati con ancora più lentezza. «Dov’è questa frittella?»
«Qui. Sono io. È il mio nome. E lei è… ah… Pulcino.»
«Non sotto il mio tetto. Do ai miei clienti e ai miei piatti nomi diversi, in modo da distinguerli. Marito!»
L’uomo era uscito, ma al richiamo tornò dentro in fretta. «L’anatra è appesa. Ora che altro c’è, donna?»
«Lava queste verdure» gli ordinò lei. «Il resto di voi: seduti mentre comincio con quei conigli. Il ragazzo vi porterà da bere.» Squadrò Arya e Frittella dall’alto del suo lungo naso. «Non è mia abitudine servire birra ai bambini, ma sidro non ce n’è più, non ci sono vacche da mungere e l’acqua del fiume ha il sapore della guerra, con tutti gli uomini morti che galleggiano nella corrente. Se vi servo una tazza di zuppa piena di mosche morte, la prendete?»
«Arry sì» disse Frittella. «Volevo dire… Pulcino.»
«E Lem anche» si inserì Anguy con un sorriso mellifluo.
«Tu a Lem non ci pensare» disse Sharna. «E birra per tutti» concluse, poi si diresse in cucina.
Anguy e Tom Settecorde si sistemarono a un tavolo presso il focolare, Lem appese il suo lungo mantello giallo a un attaccapanni. Frittella si lasciò cadere pesantemente su una panca del tavolo vicino alla porta e Arya andò a mettersi accanto a lui.
Tom imbracciò l’arpa. «Una locanda solitaria in una strada nella foresta» si mise a cantare, componendo lentamente una melodia che si accompagnasse alle parole. «La moglie del locandiere era brutta come una rospa.»
«Piantala con quella roba, altrimenti non avrai nessun coniglio» lo avvertì Lem. «Lo sai com’è fatta Sharna.»
Arya si protese verso Frittella. «Tu la sai portare una barca?» gli chiese.
Prima che lui potesse rispondere, un ragazzo di quindici, forse sedici anni, dal fisico tozzo, apparve con una caraffa di birra. Frittella prese il proprio boccale con ambedue le mani, in modo quasi riverente. E dopo che ebbe bevuto la prima sorsata, sorrise come Arya non lo aveva mai visto sorridere prima di quel momento.
«Birra» sussurrò. «E coniglio da mangiare.»
«Bene, brindo a sua maestà.» Anguy l’arciere sollevò allegramente la coppa, proponendo il brindisi. «Che i Sette Dèi salvino il re!»
«Tutti e dodici i re» mugugnò Lem Mantello di limone. Bevve, quindi si ripulì la spuma dalla barba con il dorso della mano.
Il marito rientrò dalla porta principale, il grembiule pieno di verdure lavate. «Ci sono degli strani cavalli nella stalla» annunciò, come se i presenti non lo sapessero.
«Sì» Tom posò l’arpa di lato «e anche cavalli migliori dei tre che hai dato via.»
Il marito, scocciato, lasciò cadere le verdure sul tavolo. «Non li ho per niente dati via. Li ho venduti. E per un buon prezzo, e ho anche rimediato la barca a vela. In ogni caso, toccava a voialtri recuperarli.»
“Lo sapevo che erano fuorilegge” pensò Arya, continuando ad ascoltare. La sua mano scivolò sotto il tavolo, arrivando a toccare l’elsa della daga, assicurandosi che ci fosse ancora. “Se provano a rapinarci, la pagheranno cara.”
«Non sono mai arrivati dalla nostra parte» disse Lem.
«Be’, io ce li ho mandati. Sarete stati ubriachi, o addormentati.»
«Noi? Ubriachi?» Tom mandò giù una lunga sorsata di birra. «Mai.»
«Potevi riprenderli tu, quei cavalli» obiettò Lem.
«Che cosa, con solamente il ragazzo? Te l’ho già detto, la mia vecchia era andata su a Lambswold ad aiutare quella Fern con il parto. E a me mi sa che a piantare il bastardo in pancia a quella povera ragazza è stato uno di voi.» Scoccò a Tom un’occhiata ostile. «Tu, ci scommetto, con quella tua arpa, a cantare tutte quelle canzoni strappacuore solo per far uscire Fern dalle mutande.»
«Se una canzone spinge una fanciulla a scivolare fuori dagli abiti per sentire il caldo bacio del sole sulla pelle, cos’è, colpa del cantastorie, forse?» chiese Tom. «E poi, era Anguy che le piaceva. Ho sentito che gli ha chiesto: “Posso toccare il tuo arco? Ohhhh, com’è liscio e duro. Pensi che potrei dargli una tirata?”.»
«Tu, oppure Anguy, che differenza fa?» grugnì il marito. «Se io ho colpa dei cavalli, voi avete colpa di quello. Erano in tre, sapete? Un uomo solo che può fare contro tre?»
«Tre» disse Lem con rabbia. «Ma uno era una donna e un altro stava in catene, lo hai detto tu.»
Il marito fece una smorfia. «Una donna grossa, vestita come un uomo. E quello ai ceppi… Non mi piaceva l’espressione che aveva negli occhi.»
Anguy sorrise sopra l’orlo del boccale. «Quando non mi piace l’espressione negli occhi di qualcuno, pianto una freccia dentro uno dei due.»
Ad Arya tornò in mente il modo in cui il dardo le era sibilato vicinissimo all’orecchio. Rimpianse nuovamente di non aver imparato a lanciare frecce.
Il marito non si fece intimorire. «Sta’ zitto quando parlano quelli più anziani. Bevi la tua birra e fa’ attenzione alla lingua, se no la mia vecchia ti dà una ripassata con il cucchiaio di legno.»
«Quelli più anziani di me parlano sempre troppo. E non c’è bisogno che mi dici tu di bermi la mia birra.» Anguy ingollò una grossa sorsata, giusto per fargli vedere come stavano le cose.