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Ed esistevano personaggi addirittura più selvaggi di Varamyr. Esseri provenienti dalle regioni più settentrionali della foresta Stregata, dalle valli nascoste degli Artigli del Gelo, e perfino da luoghi ancora più strani e impervi, come gli uomini della Costa Congelata, che si spostavano su carri fatti d’ossa di tricheco trainati da mute di cani selvatici; i terribili clan del fiume di ghiaccio, che si diceva banchettassero con carne umana; gli abitanti delle caverne, con le facce dipinte di verde, di blu, di viola. Con i suoi stessi occhi Jon aveva visto gli uomini dal Piede di corno avanzare incolonnati a piedi nudi: piedi le cui piante erano più dure di cuoio trattato. Non aveva visto né elfi né folletti, ma per quanto poteva saperne, forse proprio in quel momento Tormund ne stava mangiando uno ingozzandosi per cena.

La maggior parte dei bruti che componevano l’esercito di Mance Rayder avevano vissuto la loro intera esistenza senza avere mai nemmeno dato un’occhiata alla Barriera, valutò Jon, e ben pochi di loro erano in grado di pronunciare anche solo poche parole nella lingua comune dei Sette Regni. Ma questo non aveva importanza. Mance sapeva parlare l’antico linguaggio, sapeva addirittura cantare nell’antico linguaggio, e strimpellava il suo liuto riempiendo le notti di musica inquietante e selvaggia.

Mance aveva passato interi anni mettendo assieme la sua grande e composita armata. Aveva scelto a una a una quelle strane matrone capoclan o i suoi fidi maknar, conquistando un villaggio con parole suadenti, seducendone un altro con una canzone, prendendone un altro ancora con il filo della spada. Aveva portato la pace tra Harma Testa di cane e il lord delle Ossa, tra i Piedi di corno e i Corridori della notte, tra gli uomini tricheco della Costa Congelata e i clan cannibali delle grandi caverne di ghiaccio. Aveva fuso a colpi di martello cento daghe diverse in un’unica, titanica lancia puntata dritta al cuore stesso dei Sette Regni. Non aveva né corona né scettro, non aveva tuniche di seta o di velluto, ma per Jon era chiaro come la luce del giorno che Mance Rayder era un re ben al di là della semplice parola.

Jon si era unito ai bruti su ordine di Qhorin il Monco. “Cavalca con loro, mangia con loro, combatti con loro” gli aveva detto il leggendario ranger la notte prima di morire “e osserva.” Ma pur con tutto il suo osservare, Jon Snow aveva imparato ben poco. Il Monco aveva sospettato che i bruti si fossero spinti nelle aspre desolazioni degli Artigli del Gelo alla ricerca di una qualche arma, un qualche potere, una qualche stregoneria con cui spezzare la Barriera… Ma se anche avevano trovato questa arcana entità, nessuno se n’era vantato apertamente con Jon, né gliel’aveva mostrata. Così come Mance Rayder non gli aveva confidato nessuno dei suoi piani e delle sue strategie. Dopo la notte del loro incontro, Jon aveva visto il re oltre la Barriera pochissime volte, e sempre da lontano.

“Lo ucciderò se ci sarò costretto.” Una prospettiva che non dava a Jon alcuna gioia. Non ci sarebbe stato nulla di onorevole in quell’uccisione, la quale avrebbe anche significato la sua morte. Al tempo stesso non poteva permettere che i bruti facessero breccia nella Barriera, che minacciassero Grande Inverno e tutto il Nord, la Terra delle tombe e le Rills, Porto Bianco e la Costa Pietrosa, perfino l’Incollatura. Per ottomila anni gli uomini della Casa Stark erano vissuti ed erano morti per proteggere la loro gente contro simili barbari, simili devastatori e… nato bastardo o no, il loro stesso sangue scorreva nelle sue vene.

“Bran e Rickon sono ancora a Grande Inverno. E maestro Luwin, ser Rodrik, la vecchia Nan, Farlen il mastro dei cani, Mikken alla sua forgia, Gage il cuoco ai suoi forni… tutti quelli che conosco da sempre, tutti quelli a cui voglio bene.” Se il prezzo da pagare per salvarli dall’insidia di Rattleshirt, di Harma Testa di cane e del maknar di Thenn era uccidere l’uomo che lui, almeno in parte, ammirava e rispettava, allora era questo che stava scritto nel fato di Jon Snow.

Eppure, pregava gli antichi dèi di suo padre perché quel tetro compito gli venisse risparmiato. L’esercito continuava a muoversi, ma con lentezza, carico com’era delle greggi, dei bambini e di tutti i malefici tesori dei bruti. Le nevi avevano rallentato la loro avanzata ancora di più. Il grosso della colonna si era ormai lasciato le alture alle spalle, calando goccia a goccia lungo la sponda occidentale del Fiumelatte, lento come miele in una gelida mattina d’inverno, e ora si apprestava a seguire il corso del fiume verso il cuore della foresta Stregata.

E, da qualche parte avanti a loro, molto vicino, il Pugno dei Primi Uomini torreggiava al di sopra degli alberi. Il Pugno dei Primi Uomini: dove trecento confratelli in nero, armati e a cavallo, erano in attesa, in agguato. Oltre al Monco, il Vecchio orso aveva mandato anche altri esploratori in avanscoperta. Di sicuro, Jarman Buckwell o Thoren Smallwood dovevano aver fatto ritorno al Pugno, informando il lord comandante di che cosa stava venendo giù dagli Artigli del Gelo.

“Mormont non fuggirà” pensò Jon. “È troppo vecchio e ha troppo osato. Verrà all’attacco, e all’inferno la disparità numerica.” Un giorno, presto, lui avrebbe udito il suono dei corni da guerra, avrebbe visto una colonna di guerrieri arrivare loro addosso, mantelli neri al vento e freddo acciaio in pugno. Trecento uomini non potevano certo credere di riuscire a ucciderne cento volte di più, era chiaro, ma Jon non riteneva che sarebbe stato necessario farlo. “Basterà che Mormont riesca a ucciderne uno: Mance Rayder. Svanito lui, tutto il resto andrà in pezzi.”

Il re oltre la Barriera stava facendo tutto quello che poteva, ma i bruti rimanevano inesorabilmente, inevitabilmente privi di qualsiasi disciplina. Il che li rendeva vulnerabili. In questo punto o in quell’altro del colossale serpente lungo intere leghe che costituiva la loro linea di marcia c’erano guerrieri duri e puri quanto i migliori uomini della Confraternita. Solo che almeno un terzo di loro era ammassato a un’estremità della colonna: nell’avanguardia di Harma Testa di cane o nella selvaggia retroguardia, con i giganti, gli uri e le catapulte sputafuoco. Un altro terzo cavalcava con Mance, al centro della colonna, di guardia ai carri, alle slitte e ai carretti che trasportavano il grosso delle provviste e della logistica dell’esercito, tutto quello che rimaneva dell’ultimo raccolto dell’estate. Gli altri, suddivisi in piccole bande al comando di soggetti quali Rattleshirt, Jarl, Tormund Veleno dei giganti e il Piagnone, fungevano da esploratori, razziatori e fruste. Galoppavano senza sosta su e giù per la colonna, costringendola ad avanzare in modo più o meno ordinato.

Ma l’aspetto più significativo era che solamente un bruto su cento poteva disporre di un cavallo. “Il Vecchio orso li squarcerà come un coltello nel budino.” E quando questo fosse accaduto, Mance sarebbe stato costretto a lanciarsi all’inseguimento insieme al blocco centrale del suo schieramento, per vincere la minaccia dei Guardiani della notte. Se Mance Rayder fosse caduto nel combattimento, allora la Barriera sarebbe stata al sicuro per altri cento anni, valutò Jon. “Se invece no…”

Contrasse le dita bruciate della mano attorno all’elsa della spada. Portava Lungo artiglio legata alla sella con corregge. Il pomello dell’elsa, scolpito in pietra a forma di testa di lupo, e l’impugnatura di morbido cuoio erano molto facili da raggiungere.

Nevicava fitto quando, parecchie ore più tardi, si ricongiunsero con la banda di Tormund. Lungo la strada, Spettro si era staccato dal gruppo, svanendo nella foresta dietro la traccia di una qualche preda. Una volta che si fossero accampati per la notte, il meta-lupo sarebbe tornato, o al più tardi all’alba successiva. Non importava quanto lontano si spingesse, Spettro tornava sempre… e lo stesso valeva, così sembrava, per Ygritte.

«Quindi» gridò la ragazza nel momento in cui lo vide «ci credi adesso, Jon Snow? Li hai visti i giganti e i mammut?»