«Har!» gridò Tormund, prima che Jon potesse rispondere. «Il corvo è innamorato. Vuole sposarsene una!»
«Di gigantesse?» fece Ryk Lungapicca con una risata.
«No, di mammut!» tuonò Tormund. «Har!»
Ygritte si affiancò a Jon mentre lui rallentava il proprio destriero al passo. Era più bassa di lui di tutta la testa, ma dichiarava di avere tre anni di più. In ogni caso, a dispetto dell’età, quella ragazza mostrava una tempra fuori del comune. Quando l’avevano catturata sul passo Skirling, Stonesnake l’aveva definita una moglie di lancia. Ygritte non era sposata, e la sua arma da combattimento non era una lancia ma un corto arco ricurvo di corno e legno d’albero-diga, ma l’espressione “moglie di lancia” le si attagliava alla perfezione. A Jon faceva venire in mente la sua sorellina Arya, anche se Arya era più giovane e probabilmente più magra. Ma con tutte le pelli e le pellicce che indossava, era difficile dire quanta carne Ygritte avesse realmente attaccata alle ossa.
«La conosci L’ultimo dei giganti?» Senza aspettare una risposta, Ygritte continuò: «Ci vuole una voce più profonda della mia per cantarla bene». Poi intonò: «Ooooh, sono l’ultimo dei giganti, il mio popolo non è più su questo mondo».
Tormund Veleno dei giganti udì le parole e sogghignò. «L’ultimo dei grandi giganti delle montagne, che alla mia nascita dominavano tutto il mondo» ruggì nella neve che continuava a cadere.
Ryk Lungapicca si unì al coro: «Ooooh, il piccolo popolo ha rubato le mie foreste, mi ha rubato le colline e i fiumi d’argento».
«E hanno costruito una grande muraglia attraverso le mie valli, e pescato tutti i pesci dai torrenti.» Ygritte e Tormund risposero a turno, facendo la voce profonda da gigante.
Toregg e Dormund, figli di Tormund, si aggiunsero con i loro toni bassi, poi la figlia Munda e anche tutti gli altri. Altri ancora batterono con le picche contro gli scudi rivestiti di cuoio, mantenendo un ritmo approssimativo. E poi l’intera banda da guerra stava cantando, continuando a cavalcare.
In sale di pietra bruciano i loro grandi fuochi,
in sale di pietra forgiano le loro acuminate lance.
Mentre solo io cammino nelle montagne,
con la sola compagnia delle mie lacrime.
Con i cani mi danno la caccia nella luce del giorno,
con le torce mi danno la caccia nel buio della notte.
Perché questi uomini sono piccoli e mai potranno ergersi,
mentre i giganti ancora camminano nella luce.
Ooooh, io sono l’ultimo dei giganti.
Perciò imparate bene le parole del mio canto.
Perché quando io sarò andato, anche il canto svanirà,
e a lungo, molto a lungo il silenzio durerà.
Quando la canzone si concluse, lacrime brillavano sul viso di Ygritte.
«Perché piangi?» le chiese Jon, «È soltanto una canzone. Ci sono giganti a centinaia, li ho appena visti.»
«Oh, centinaia» rispose lei, piena di rabbia. «Non sai niente, Jon Snow. Non… JON!»
Un improvviso battito d’ali. Jon si voltò e i suoi occhi si riempirono di penne grigie e blu. Artigli micidiali affondarono nella sua faccia. Dolore, dolore rosso, accecante gli riempì il cranio di colpo; simile a chiodi conficcati dritti nelle ossa. Vide il becco a rostro, ma non ebbe il tempo di sollevare la mano, né di afferrare un’arma. Jon si abbassò sulla sella, un piede gli sfuggì dalla staffa, il suo destriero sussultò di terrore. E lui perse l’equilibrio. L’aquila continuò a dilaniargli la faccia, gli artigli squarciavano, il becco calava, le ali sbattevano tra grida stridule e feroci. Il mondo andò alla rovescia in un caos di piume e carne di cavallo e sangue. Zolle di terreno si alzarono e lo colpirono in pieno.
Giaceva a faccia in giù, con in bocca il sapore del fango e del sangue. Furono le prime cose di cui si rese conto. Ygritte era in ginocchio accanto a lui, chinata a fargli scudo, daga d’osso in pugno. Jon poteva ancora udire il battito delle ali, ma l’aquila non era più in vista. Metà del suo mondo era immerso nell’oscurità.
«Il mio occhio…» disse, con un panico improvviso, portandosi la mano alla faccia.
«È solamente sangue, Jon Snow. L’occhio l’ha mancato, ma ha strappato via un po’ di pelle.»
Jon sentiva la faccia che pulsava. Tormund torreggiava su di loro, furibondo. Lo vide con l’occhio destro, mentre cercava di ripulirsi dal sangue il sinistro. Poi ci fu un rumore di zoccoli e altre grida. E il suono di vecchie ossa secche che sbattevano le une contro le altre.
«Sacco d’ossa» ruggì Tormund. «Richiamalo, quel tuo corvo dell’inferno!»
«Eccolo lì, il corvo dell’inferno!» Rattleshirt indicò Jon. «Che sanguina nel fango come un cane senza fede!» L’aquila planò verso il basso, andando ad appollaiarsi sul teschio spezzato di gigante che gli faceva da elmo. «Sono qua per lui.»
«Allora vieni a prenderlo» rimandò Tormund. «Ma meglio che ci vieni con la spada in pugno, perché è qui che ci trovi la mia. Magari faccio bollire le tue, di ossa. E mi faccio una pisciata nel tuo teschio. Har!»
«Nel momento che ti faccio un buco e lascio scappare fuori l’arla, diventi più piccolo di quella ragazzina lì.» Il lord delle Ossa non era impressionato. «Fatti da parte, se no a Mance glielo racconto.»
«Che cosa?» Ygritte si alzò. «È Mance che lo vuole?»
«Ho detto così, o no? Rimettilo su quei suoi piedi neri.»
La fronte corrugata, Tormund abbassò lo sguardo su Jon. «Meglio che vai, se è Mance che ti vuole.»
Ygritte lo aiutò ad alzarsi. «Sanguina come un cinghiale macellato. Guarda che cosa gli ha fatto Orell alla sua bella faccia.»
“È capace di odiare, un uccello?” Orell era il bruto che Jon aveva ucciso sul passo Skirling, ma qualche parte dell’uomo si era trasferita nell’aquila. Gli occhi dorati del rapace lo stavano osservando, pieni di gelida malevolenza.
«Verrò» disse. Il sangue continuava a colargli nell’occhio sinistro, la guancia era un incubo di sofferenza. La tastò e gli rimasero chiazze rosse sul guanto nero. «Lasciate che riprenda il mio cavallo.»
Ma non era tanto il cavallo che voleva: era Spettro. Eppure il meta-lupo albino non si vedeva da nessuna parte. “Potrebbe essere a intere leghe da qui, intento a squarciare la gola a un alce.” E forse era meglio così.
Quando Jon gli si accostò, il suo cavallo si ritrasse, chiaramente spaventato dal sangue che gli copriva la faccia. Jon lo calmò con poche, quiete parole e riuscì ad avvicinarsi abbastanza da afferrare le redini. Nel tornare in sella, sentì la testa che vorticava. “Devo farmi medicare” pensò. “Ma non adesso. Che il re oltre la Barriera veda che cosa mi ha fatto la sua aquila.” Aprì e richiuse la mano destra, quella ustionata, quella della spada. Prima di fare voltare il destriero e di dirigersi verso il punto in cui il lord delle Ossa e la sua banda lo stavano aspettando, staccò Lungo artiglio dalla sella e la sistemò di traverso sulla schiena.
Anche Ygritte lo stava aspettando, in sella al proprio cavallo, con in volto un’espressione di fiera determinazione. «Ci vengo pure io.»
«Vattene, invece» le ossa appese al pettorale di Rattleshirt picchiarono leggermente le une con le altre. «Sono stato mandato qua per il corvo voltagabbana e per nessun altro.»