Sansa sgusciò fuori dalla sua stretta e fece un passo indietro. «No, invece. Non lo farò. Qualcosa potrebbe andare male. Quando ero io a volere scappare, tu ti sei rifiutato di andare. E adesso, non ho più bisogno di fuggire.»
Dontos la fissò con aria stolida. «Ma tutto è stato approntato, tesoro. La nave che ti riporterà a casa, la barca che ti farà arrivare fino alla nave… tutto questo ha fatto il tuo Florian per la sua dolce Jonquil.»
«Sono spiacente per tutti gli inconvenienti che ti ho causato» rispose Sansa. «Ma ora non ho più bisogno né di barche né di navi.»
«Ma servono a metterti al sicuro.»
«Sarò al sicuro ad Alto Giardino. Willas mi terrà al sicuro.»
«Ma lui non ti conosce nemmeno» insistette Dontos. «E non ti amerà. Jonquil, Jonquil, aprì i tuoi dolci occhi: a questi Tyrell non importa nulla di te. È la tua dote che intendono sposare.»
«La mia dote?» Per un momento, Sansa si sentì spersa.
«Tesoro, ma non capisci?» le disse il cavaliere caduto in disgrazia. «Tu sei l’erede di Grande Inverno.»
Dontos l’afferrò di nuovo, la implorò di nuovo di non convolare a quelle nozze. Sansa si liberò da lui, abbandonandolo barcollante sotto l’albero del cuore.
Dopo quella volta, non aveva più visitato il parco degli dèi. Ma nemmeno aveva dimenticato le parole di ser Dontos. “L’erede di Grande Inverno” rimuginava mentre giaceva a letto, nel buio. “È la tua dote che intendono sposare”. Mai avrebbe pensato di avere una dote dinastica, ma con Bran e Rickon morti… “Non ha importanza. C’è sempre Robb. Lui è ormai un uomo fatto. Presto si sposerà e avrà un figlio. E comunque, Willas Tyrell avrà Alto Giardino, perché mai dovrebbe volere anche Grande Inverno?”
La testa affondata nel cuscino, ripeteva il nome di lui: “Willas, Willas, Willas” così, per abituarsi al suono che faceva. Non era troppo diverso da Loras, si diceva. E come sarebbe stato con quella gamba offesa? In ogni modo lui sarebbe divenuto lord di Alto Giardino e lei sarebbe stata sua moglie. Si immaginava seduta insieme a Willas in un grande parco, con cuccioli sulle ginocchia, oppure che ascoltavano le note del liuto di un cantastorie scivolando lungo il Mander a bordo di una lenta barca a remi. “Se gli darò dei figli, lui arriverà ad amarmi.” Eddard, Brandon e Rickon, ecco come li avrebbe chiamati. Li avrebbe educati perché crescessero valorosi come ser Loras. “E impareranno anche a odiare i Lannister.” Nei sogni di Sansa, i volti dei suoi figli erano gli stessi dei fratelli che aveva perduto. A volte, appariva anche una bambina con il viso di Arya.
Solo che non riusciva in nessun modo a immaginare l’aspetto di Willas. Qualsiasi volto lei dipingesse nella propria mente, in un attimo si tramutava nel viso di ser Loras: giovane, aggraziato e bellissimo. “Non devi pensare a Willas in quel modo” disse a se stessa “altrimenti potrebbe accorgersi della delusione nel tuo sguardo quando v’incontrerete. E a quel punto, sapendo che è suo fratello che ami realmente, come potrà sposarti?” Willas Tyrell aveva il doppio dei suoi anni, Sansa non faceva altro che ripeterselo, ed era anche storpio, forse addirittura grassoccio e con la faccia rossa come suo padre. In ogni caso, attraente o no, era forse l’unica opportunità che lei avrebbe mai avuto.
Una volta, in un sogno, aveva immaginato di essere ancora lei a sposare Joffrey, non Margaery, ma nella loro prima notte di nozze, lui si era tramutato nel boia, ser Ilyn Payne. Sansa si era svegliata tremando. Non voleva che Margaery soffrisse come aveva sofferto lei, ma continuava a essere terrorizzata dall’idea che i Tyrell potessero cambiare idea e annullare il matrimonio. “L’ho avvertita, l’ho fatto, le ho detto la verità su Joffrey.” Forse però Margaery non le aveva creduto. Con lei, Joffrey si era sempre comportato come il più perfetto dei cavalieri, proprio come un tempo aveva fatto anche con Sansa. “Margaery si renderà conto della sua vera natura fin troppo presto. Dopo le nozze, se non addirittura prima.” Sansa decise di accendere una candela alla Madre nel più alto dei cieli la prossima volta che fosse andata al tempio dei Sette Dèi, pregandola di proteggere Margaery dalla crudeltà di Joffrey. E forse avrebbe acceso anche un’altra candela, al Guerriero, per ser Loras.
Per la cerimonia nel Grande Tempio di Baelor, avrebbe indossato il nuovo abito, Sansa lo stabilì mentre la sarta le prendeva le ultime misure. “Dev’essere per questo che Cersei me lo sta facendo fare, in modo che io non appaia miseranda alle nozze di Joff.” In effetti, per il banchetto successivo avrebbe dovuto indossare un abito diverso, ma immaginò che uno di quelli vecchi potesse andare bene. Non voleva rischiare di sporcare lo splendido vestito nuovo con macchie di vino o di cibo. “E poi devo portarlo con me ad Alto Giardino.” Voleva apparire splendida per Willas. “Anche se Dontos dovesse avere ragione, anche se è Grande Inverno che Willas vuole veramente, forse finirà comunque per amarmi per come sono.” Sansa si abbracciò stretta stretta, domandandosi quanto tempo ci sarebbe voluto perché l’abito fosse pronto. Non vedeva l’ora d’indossarlo.
ARYA
La pioggia cadde. La pioggia cessò. Ma il cielo continuava aessere più grigio che azzurro, e tutti i corsi d’acqua erano ingrossati. La mattina del terzo giorno, Arya si rese conto che il muschio adesso cresceva soprattutto sul lato sbagliato dei tronchi.
«Stiamo andando dalla parte opposta» disse a Gendry, mentre superavano un olmo ricoperto di muschio. «Stiamo andando verso sud. Vedi in che modo il muschio cresce su quel tronco?»
Lui allontanò dagli occhi i folti capelli neri. «Stiamo seguendo la strada, tutto lì. Qui la strada va a sud.»
“Ma è da stamani all’alba che andiamo a sud” voleva dirgli. “E ieri lo stesso, quando ci muovevamo lungo quel torrente.” Il giorno prima però lei non aveva fatto molta attenzione ai tronchi, per cui non poteva esserne certa.
«Penso che ci siamo perduti» disse a voce bassa. «Non avremmo dovuto allontanarci dal fiume. Tutto quello che dovevamo fare era seguirlo.»
«Il fiume si piega e fa giri strani» disse Gendry. «Questa è solo una scorciatoia, ci scommetto. Una qualche via segreta da fuorilegge. Sono anni che Lem e Tom e tutti quegli altri vivono da queste parti.»
Il che era vero. Arya si morse il labbro. «Ma il muschio…»
«Tra poco il muschio comincerà a crescerci anche nelle orecchie, se continua a piovere a questo modo» fece Gendry.
«Solo nell’orecchio nord» ribatté Arya con ostinazione. Non c’era mai modo di convincere il Toro di niente. Eppure, adesso che Frittella li aveva abbandonati, era lui l’unico vero amico che le restava.
«Sharna dice che ha bisogno di me per fare il pane» disse Frittella. Era il giorno in cui si sarebbero messi in marcia. «E comunque sono stufo di piogge e di vesciche sul sedere e di avere sempre paura. C’è birra, qua, e c’è coniglio da mangiare, e il pane sarà più buono se lo faccio io. Lo sentirai quando torni indietro. Perché torni indietro, non è vero? Quando la guerra è finita?» A quel punto, Frittella si ricordò di chi lei era realmente. «Mia signora» aggiunse, arrossendo.
Arya non sapeva se la guerra avrebbe mai avuto una fine, ma annuì comunque. «Mi dispiace di averti picchiato, quella volta» disse. Frittella era stupido e vigliacco, ma era stato con lei per tutta la strada da Approdo del Re, e lei si era abituata ad averlo attorno. «Ti ho spezzato il naso.»