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«Questo lo vedremo,» replicò Delanna. «Mi rifiuto di credere che io possa essere costretta a un matrimonio e a rimanere su questo pianeta per un anno, se voglio ereditare la terra lasciatami da mia madre.»

«Fa’ pure,» replicò Maggie. Si sporse in avanti e si versò un’altra tazza di ambrosia. «Tua madre ti ha riempita di un bel po’ di veleno su Keramos, vero? Ti ha scritto parlandone solo in modo negativo?»

«Ovviamente non è stata abbastanza negativa,» ribatté Delanna, «visto che voi costringete le persone a sposarsi e rubate gli scarabei altrui.»

Questa replica mise a tacere Maggie, che si limitò a rimanere seduta, bevendo brandy di ambrosia, fino a quando Buck non tornò in compagnia di Lydia Stenberg, che indossava un vestito e delle scarpe con i tacchi alti, ma sembrava avere quindici anni.

«La mia tariffa di consultazione è di cinquanta crediti all’ora,» annunciò immediatamente. «Quante ore può permettersi di pagare?»

Nessuna, pensò Delanna, contando mentalmente i suoi centoventicinque crediti, ma rispose, «Due ore. Solo che non dovrebbe metterci tanto. Tutta questa faccenda non è che un grosso errore.»

«Due ore,» ripeté l’avvocato, sedendosi davanti al computer di Maggie. «E allora raccontami di questo errore, Maggie.»

Maggie la accontentò. Lydia Stenberg la interruppe molte volte per rivolgerle domande apparentemente pertinenti e iniziò a fare scorrere il testamento e a prendere appunti su una finestra sullo schermo addirittura prima che Maggie fosse arrivata a metà della sua spiegazione.

Richiamò i precedenti e gli statuti del pianeta, esaminò l’intero file e inserì ogni tipo di comandi, tamburellando impazientemente con le dita sulla tastiera mentre aspettava la risposta. Delanna iniziò a nutrire una vaga speranza.

Il computer iniziò a trillare mentre Lydia Stenberg aspettava che qualcosa apparisse sullo schermo, poi spense immediatamente il computer e si girò verso Delanna. «Mi dispiace,» affermò, raccogliendo le copie cartacee sparse sul tavolo e sistemandole in una pila ordinata.

«Cosa intende dire con ‘Mi dispiace?’» chiese Delanna.

«Intendo dire che è impossibile impugnare il testamento di suo padre. Avrei potuto dirglielo dopo cinque minuti, ma visto che lei ha pagato per due ore…» Scrollò le spalle. «Fanno centoventiquattro crediti.»

Delanna contò i crediti due volte. «Mi aveva detto cinquanta crediti all’ora.»

«Più l’IVA e le spese,» rispose Lydia Stenberg in tono pratico. Tese la mano. «Farà appello alla Corte Itinerante?»

«Sì,» rispose Delanna.

«Be’, sta sprecando il suo tempo e il suo denaro. La Corte Itinerante non farà altro che dichiarare valido questo testamento.» Tese la mano ancora di più.

Delanna vi poggiò il denaro, pensando, Ecco, adesso sono bloccata su questo pianeta senza soldi e senza alcun diritto legale.

«La tua tariffa è stata appena ridotta a quarantotto crediti all’ora,» annunciò Maggie, sfilando tre banconote dalla mano di Lydia Stenberg. «Defalca le spese dalla somma che avrei potuto farti pagare per il tempo che hai passato al mio computer.» Restituì le banconote a Delanna. «Ti serviranno per pagare il biglietto del treno.»

Lydia Stenberg sembrò irritata, ma mise il resto dei crediti nella valigetta, la chiuse di scatto e andò via.

Maggie chiuse la porta dietro di lei. «Vuoi che ti vada a prendere l’ubriacone? Manca ancora mezz’ora alla partenza del treno.»

«Per lasciare che mi dica la stessa cosa e che mi faccia spendere anche l’ultimo credito? No, grazie.»

«Ti darò un passaggio alla stazione,» si offrì Maggie, in tono piatto. Prese le tre tazze dalla tavola e uscì dall’ufficio.

Delanna si guardò intorno, cercando la sua sacca, poi si rese conto che doveva averla lasciato nel rimorchio, insieme alle oche. Sperò che Sonny si sarebbe ricordato di caricarla sul treno. Come se servisse a qualcosa: dentro c’erano soltanto un paio di pigiami, qualche indumento intimo e gli oggetti da toeletta. Più che sufficienti per una permanenza di una sola notte, pensò amaramente. Avrebbe dovuto comprare degli altri vestiti in qualche negozio della stazione, se le fosse rimasto qualche credito dopo avere pagato il biglietto del treno. Seguì Maggie nel bar.

Adesso il locale era affollato da uomini e donne, tutti giovani: indossavano camicie a fiori in tinte vivaci ed erano seduti al bancone oppure intorno ai tavoli da gioco.

«Ehi, Maggie. Chi è la tua amica?»

«Ti va di ballare, zuccherino?» chiese a Delanna un giovanotto che indossava una camicia a fiori rosa e rossi.

«Non mi sembra un granché per ballare,» commentò una donna, mettendosi davanti al ragazzo. Le sue braccia erano coperte di gesso e Delanna vide strisce di polvere bianca anche sul collo. «E poi scommetto che non sai neppure ballare, vero, dolcezza?»

Dopo avere poggiato le tre tazze sull’estremità del bancone, Maggie strinse la mano di Delanna e la trascinò attraverso la folla; un codazzo di risatine e sghignazzate le seguì oltre la porta d’ingresso.

«Minatori,» commentò Maggie in tono disgustato. Erano uscite sul portico di legno; fuori era ormai buio. «Odio i venerdì sera. Probabilmente per quando sarò tornata avranno già distrutto il locale.»

Maggie scese rapidamente gli scalini, con le scarpe con il tacco basso che producevano tonfi sordi. Ai piedi delle scale c’era Buck, che guardò con anticipazione Delanna mentre iniziava a scendere. Il suo volto si allungò in un’espressione delusa quando Delanna riuscì a scendere senza forare nessun altro scalino con il tacco. Delanna sollevò orgogliosamente il mento mentre gli passava accanto per seguire Maggie oltre l’angolo del saloon.

Percorsero un vicolo privo di qualsiasi illuminazione, così buio che Delanna pensò di essere entrata in una caverna. Il retro dell’edificio non era molto più illuminato, ma riuscì a distinguere una sagoma un po’ più chiara e pensò che fosse il solaris di Maggie. La donna allungò una mano e improvvisamente il retro del bar si illuminò, rivelando un cortile e un solaris: un piccolo veicolo con ruote e dotato di numerosi fari che correvano lungo la parte inferiore della carrozzeria e il tettuccio dell’abitacolo. Maggie tenne aperto il tettuccio per fare salire a bordo Delanna, che si sistemò su uno stretto sedile, con le ginocchia quasi incollate al mento, poi passò davanti a lei sull’altro sedile. Il solaris si attivò con una serie di ronzii quando Maggie chiuse il tettuccio. Il veicolo aveva un motore piccolo e rumoroso che necessitava di boccole nuove al punto di far vibrare l’intera carrozzeria; i programmi di dialogo tentarono tutti di fare rapporto a Maggie nello stesso momento.

«Silenzio,» ordinò l’avvocato. «So di cosa hai bisogno, ma stasera non l’avrai. Dimmi solo se il tuo cervello riesce a immaginare come arrivare alla stazione ferroviaria.»

«So come arrivare alla stazione ferroviaria.»

Era la voce quasi maschile di un computer, deliberatamente modulata per essere riconosciuta come meccanica. «Stavo iniziando a pensare che su Keramos non ci fossero programmi di dialogo fino a quando non sono entrata in questo veicolo,» commentò Delanna. «Almeno ho trovato qualcosa di familiare.» Tentò di inclinare all’indietro lo schienale del sedile, ma non ci riuscì.