«Te l’ho già detto,» intervenne Cadiz.
Delanna la ignorò. «Quanto è lontano Milleflores, Jay?»
«Dipende da quale strada faremo.»
«Quanto è lontano all’incirca?»
«Te l’ho già…» fece Cadiz.
«Mmm,» esclamò lentamente Jay, come se stesse immaginando il viaggio nella sua testa, «se non troviamo troppi crepacci o valanghe e non dobbiamo aggirare nessun temporale, cinquemila miglia.»
CAPITOLO QUINTO
«Cinquemila miglia!»
«E io che ti avevo detto?» replicò in tono divertito Cadiz. «Ehi, hai un colorito verdastro. Non pensi che sarà un viaggio molto divertente?»
«Quanto tempo ci vorrà?» chiese Delanna con voce fioca.
«Dipende,» rispose Cadiz. «Tre settimane e mezzo. Quattro. Cinque. Due mesi.»
«Scusatemi, signore,» le interruppe Jay. «Questo treno trasporta un bel po’ del mio carico e mi piacerebbe scaricarlo di persona. A bordo ci sono delle cose preziose.» Fece l’occhiolino a Delanna. «Avrò bisogno del tuo aiuto con le oche. Senza dubbio Sonny starà già occupandosi della cassa che ha ritirato da Sakavva.»
«E io andrò ad aiutare Sonny,» affermò Cadiz, uscendo nel corridoio con la sua andatura provocante.
«Stai davvero morendo di curiosità visto che non sai cosa c’è in quella cassa, vero?» chiese Jay, seguendo Cadiz.
Cadiz girò l’angolo e l’assordante fischio del treno inghiottì la sua risposta.
Cinquemila miglia.
Delanna si abbandonò sul sedile, fissando fuori dal finestrino, tentando di non piangere. La piattaforma era polverosa, ma alle spalle c’era un sentiero di mattoni pulito che avrebbe avuto un aspetto invitante, se non fosse stato fiancheggiato da arbusti alti e sottili i cui tronchi erano quasi piegati su se stessi, forzati dalla massicce palle rosse dei frutti che crescevano sulle punte dei rami scheletrici. Alcuni degli alberelli dall’aria triste si chinavano su un muretto di mattoni che delimitava un cortile davanti a un insieme di edifici le cui facciate erano coperte dalle inevitabili mattonelle di ceramica, tutte in qualche sfumatura di verde: verde muschio, verde oliva, acquamarina, verde malachite, verde bottiglia, verde mela e smeraldo; tutti gli edifici avevano un tetto color rosso fuoco e Delanna pensò che somigliavano a tante olive farcite ritte su un’estremità.
Alcuni uomini erano usciti dagli edifici e stavano percorrendo il sentiero di mattoni verso il treno; tutti indossavano una camicia a fiori in tinte vivaci. Un dito che batteva sul finestrino fece sussultare Delanna. Era Jay Madog, che indicò prima lei e poi il rimorchio di oche che aveva appena fatto fermare. Le oche stavano emettendo starnazzi eccitati.
«Non sono la guardiana delle oche di Sonny,» commentò Delanna in tono rabbioso, ma Jay si era già girato, gridando e salutando qualcuno all’estremità opposta della piattaforma. In ogni caso, non sarebbe riuscita a sentirla attraverso il finestrino. Le oche continuarono a starnazzare freneticamente, molte di loro stavano beccando qualcosa all’angolo della gabbia. «Per me possono pure continuare a starnazzare,» affermò Delanna, rivolta al vuoto. «Non me ne importa un fico secco se il baccano farà impazzire tutti. Anzi, spero che lo faccia. Spero…» Vide lampeggiare un arcobaleno, poi notò un luccicare perlaceo di unghie su una sbarra della gabbia delle oche. «Cleo!» Ecco perché Jay aveva voluto che si prendesse cura delle oche! Aveva nascosto Cleo nella gabbia con loro. Improvvisamente Delanna si rese conto che gli uomini sul sentiero di mattoni erano quasi arrivati alla banchina della stazione.
Afferrò con un unico movimento la sacca, la busta con la scatola del pranzo e i vestiti, poi si precipitò oltre la porta dello scompartimento. Corse lungo il corridoio… e inciampò mentre scendeva lungo la scaletta verso la banchina; i tacchi alti le impedirono di riprendere l’equilibrio prima di cadere a gambe levate nella polvere. Le oche starnazzarono, spaventate dal tonfo. Un uomo, che avrebbe potuto essere il fratello di Frank Fuller, stava correndo verso di lei. Delanna si alzò, ignorando il dolore alla caviglia e gridò, «Sto bene! Davvero, sto bene!» poi zoppicò verso la gabbia delle oche, sventolando pantaloni, camicia, maglione e sacca verso l’uomo. Doveva avere un aspetto minaccioso perché l’aspirante soccorritore si fermò con un piede sulla banchina. «Sto bene,» ripeté Delanna, stringendo al petto la sacca e i vestiti.
«Bene.»
«Lei deve essere la moglie di Sonny Tanner,» affermò l’uomo.
«Eh, sì, devo proprio esserlo,» rispose Delanna in tono falsamente gioviale.
«Allora questo spiega tutto.» Si toccò il cappello, si girò e seguì gli altri uomini verso l’estremità della piattaforma.
Spiega cosa? si chiese per un attimo Delanna mentre si girava verso la gabbia delle oche. Non vide più le unghie di Cleo, ma sentì il suo ruggito. Nella gabbia volavano piume d’oca e gli animali stavano strombazzando a più non posso. «Cleo,» sussurrò Delanna mentre apriva i chiavistelli della porta in filo metallico. Pensava di trovare il piccolo scarabeo in preda al panico, invece, in un angolo della gabbia, Cleo sembrava al culmine della gioia, appollaiata sul sacco di grano da cui era ovviamente fuggita. Aveva sparso qualche chicco di grano sul pavimento della gabbia e con i suoi arti telescopici si divertiva a sottrarre i chicchi dai becchi delle oche. Gli stupidi pennuti si limitavano a cercare un altro chicco, di solito per farsi sottrarre anche quello. Tutte e sei le zampe dello scarabeo erano impegnate in quel continuo furto di grano. «Cleo, vieni qui!» ordinò Delanna. Era così sollevata di sapere che lo scarabeo era sano e salvo che non se la sentì di rimproverarlo per essersi preso gioco delle oche. Cleo ammiccò con le membrane nittitanti e zampettò sul pavimento della gabbia verso le mani di Delanna. Le oche si gettarono avidamente sul grano.
«E io che per tutto questo tempo ho pensato che tu fossi raggomitolata a palla per la paura!» commentò Delanna, rimproverando scherzosamente il piccolo scarabeo mentre lo stringeva al petto. Ma Cleo era chiaramente felice di vederla. Estese le zampe, simili a quelle dei ragni, intorno a Delanna e premette il ventre caldo contro il suo collo, sistemandosi sotto il mento della ragazza come un pendente ingioiellato… visibile a chicchessia. Delanna usò la camicia a fiori per coprire la camicetta che indossava, ma non servì a molto per nascondere Cleo. Allora indossò i pantaloni sulla gonna corta e li allacciò alla vita. «Nella tasca, tesoro,» ordinò, staccando le zampe di Cleo dal collo. Lo scarabeo si raggomitolò a palla e Delanna lo fece scivolare nella tasca, dove entrò comodamente. Delanna si infilò nell’altra tasca uno dei grossi frutti contenuti nella scatola di Maggie, assicurandosi che fosse visibile una parte della buccia giallo-verde. Cleo non era grossa come il frutto, ma Delanna pensò che le due protuberanze nelle sue tasche non avessero un aspetto particolarmente sospetto. E fece appena in tempo. Cadiz, Sonny e metà degli uomini sulla banchina era diretti di nuovo verso l’ultima carrozza, con Jay Madog che latrava ordini mentre faceva strada.
«Tirate fuori le scatole da sotto i sedili nell’ultima carrozza,» stava dicendo Jay agli uomini, «e trascinate questa cassa di oche fino al punto di raccolta.» Si girò verso Delanna. «Come sei riuscita a farle stare zitte?»
«Ho dato loro da mangiare,» rispose Delanna. Infilò la mano in tasca, chiudendola sullo scarabeo raggomitolato e sorridendo quando lo sentì iniziare a fare le fusa.
«Hanno trovato il grano, eh?» commentò Sonny, dando un’occhiata nella gabbia.
Cadiz osservò distrattamente la gabbia. «Perderanno tutte quelle piume per tutto il viaggio di ritorno?» chiese.
«Attacca il rimorchio delle oche alla fine della carovana,» ordinò Jay all’uomo che era arrivato per trainare a mano il rimorchio. «In questo modo potranno mutare tutte le piume che vogliono senza dare fastidio al resto della carovana.» Rivolse un’occhiata a Delanna. «Se per te va bene, cioè. Sembrano sul punto di diventare i tuoi animali preferiti.» Le rivolse un sogghigno.