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Delanna annuì con aria felice. «E darò perfino loro da mangiare per tutto il viaggio,» si offrì. «Capisci, mi occuperò io di dare loro il grano.» E, disse a se stessa, nasconderò Cleo ogni volta che sarà necessario, senza che nessuno, specialmente Sonny, lo venga a sapere.

Jay Madog batté una mano sulla spalla dell’uomo, segnalandogli di avviarsi.

Cadiz stava studiando gli abiti di Delanna. «Credo che quella camicia abbia fatto tornare un po’ di colore sulle tue guance,» commentò, calcandosi di nuovo in testa il cappello sformato e abbassandone l’orlo per proteggere gli occhi dai raggi del sole, adesso lunghi e obliqui. «Però quei pantaloni ti fanno i fianchi larghi.»

«Andiamo,» la interruppe Jay. «Andiamo a prendere una stanza d’albergo. Ho fame e, se conosco Chancy, servirà la cena non appena il sole sarà calato oltre l’orizzonte.»

Tese le braccia per guidare tutti lungo il sentiero. Per la prima volta, Delanna si rese conto che una dozzina di altre persone si erano unite a loro sulla banchina: erano passeggeri scesi dal treno. Delanna rimase indietro fino a quando la maggior parte di loro non ebbe imboccato il sentiero di mattoni tra gli alberi sovraccarichi di frutti.

«Non ho avuto occasione di ringraziarti in modo appropriato,» si scusò quando Jay la guardò con aspettativa.

«E adesso per quale motivo stai ringraziando Jay?» chiese Cadiz che li precedeva di almeno dieci metri. Deve avere l’udito di un gatto, pensò Delanna. «Ah, certo, per la camicia. Probabilmente sarebbe felice di avere indietro i pantaloni, vero, Jay?»

Delanna ignorò i commenti salaci di Cadiz. «Ti sono davvero grata,» disse rivolta a Jay e si sollevò sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.

«Allora, venite sì o no?» chiese Sonny, comparendo da sotto i rami curvi dell’albero più vicino.

«Andiamo,» affermò Jay. «Se consegnarti un sacchetto da parte di Maggie ti rende abbastanza grata da baciarmi, non vedo l’ora di scoprire quello che succederà quando ti consegnerò il tuo baule.»

Percorsero il sentiero fino alla locanda ed entrarono nell’edificio con la sfumatura verde più intensa. Si ritrovarono in un atrio con un luccicante pavimento di ceramica e una grande scrivania. Dietro di essa, un unico impiegato digitò qualcosa su un terminale vega negli intervalli tra le occhiate che rivolgeva ai nuovi arrivati mentre premevano i loro pollici sull’identificatore, dalla cui fessura caddero targhette numerate, che fungevano da chiavi, ancora sfrigolanti, visto che un raggio laser aveva inciso su di esse i duplicati delle impronte digitali di ciascuno. L’impiegato lesse con una certa difficoltà il numero della stanza sulle targhette ancora calde, le gettò agli ospiti e li indirizzò attraverso il cortile verso le loro stanze.

Grazie a Dio siamo in un posto civile almeno a metà, pensò Delanna. Sperò che le chiavi significassero vere stanze, con bagni e saune; in ogni caso significavano la presenza di porte dotate di serratura, che le avrebbero permesso di tenere Sonny fuori della stanza.

«Cadiz,» disse l’impiegato quando la ragazza premette il pollice sull’identificatore. «Non ti aspettavamo, ma penso che riusciremo a infilarti da qualche parte.»

Una targhetta uscì dalla fessura. Cadiz la afferrò prima ancora che l’impiegato potesse impedirglielo. «Cinquantatré,» lesse. «Conosco la strada, Chancy.»

Chancy annuì bonariamente e poi sollevò lo sguardo. «Sonny e Mrs. Tanner,» esclamò con un largo sorriso. «La suite matrimoniale, presumo?»

«Vogliamo camere separate,» replicò Delanna in tono gelido.

«Ah, Ah,» rise Chancy. «Questa è buona. Stanze separate per lo sposo e la sposa. Avevo già sentito dire per radio che ha un bel caratterino. Bene, poggi anche lei il pollice sull’identificatore, Mrs. Tanner, così le farò un’altra targhetta.»

Delanna si girò verso Sonny. «Questo non è divertente.»

«È stata una giornata molto lunga per la signora,» commentò Sonny. «Vorrei che avesse una camera separata, in modo che possa godere di un po’ di riposo.»

«Be’, ovviamente sarei lieto di accontentarti,» rispose Chancy, apparentemente esterrefatto. «Ma la suite matrimoniale è l’unica stanza rimasta. E qualsiasi litigio voi sposini abbiate avuto…»

Delanna poggiò il pollice sull’identificatore e prese la targhetta che uscì dalla fessura, insieme a quella di Sonny, che si era raffreddata nel cestino. «Tu puoi dormire con le oche,» informò Sonny mentre lo piantava in asso.

«Ehi, aspetta un minuto,» iniziò a dire Sonny.

«O magari Cadiz ti ospiterà in camera sua,» aggiunse Delanna in tono allegro.

Cadiz, con le sue orecchie da gatta — non si era ancora diretta verso la sua stanza — si girò e sogghignò.

«Dormirò nel solaris,» mormorò Sonny.

A Delanna non importava dove avrebbe dormito Sonny o chiunque altro, fino a quando lei avrebbe potuto godersi un lungo bagno caldo e un letto tutto per sé. Attraversò il cortile, sorpresa di scoprire che era pieno di piante graziose, di un verde vivo, non di ceramica dai colori chiassosi. Trovò la porta con il numero che corrispondeva a quello inciso sulle targhette che aveva in mano, premette l’identificatore e là porta si aprì. La suite matrimoniale aveva un letto a forma di cuore con lenzuola bianche di raso e cuscini orlati di pizzo. Nella stanza non c’erano altri mobili. Le finestre che davano sul cortile erano coperte da pesanti tende che erano state premurosamente chiuse. Per la coppia in luna di miele, pensò Delanna con irritazione. Sbatté la porta, tirò Cleo fuori dalla tasca e affondò sul letto.

«Noi non abbiamo bisogno di nulla tranne che di un letto, vero, Cleo?» chiese allo scarabeo raggomitolato a palla. Cleo non sporse neppure il muso. Giocare con le oche doveva averla stancata e, ovviamente, si era sentita abbastanza al sicuro da addormentarsi nella tasca di Delanna, che pensò che le sarebbe piaciuto sentirsi altrettanto al sicuro. Ma non credeva che si sarebbe mai sentita al sicuro su Keramos, con le sue folli leggi e i suoi abitanti ancora più folli. Tirò al centro del letto uno dei cuscini orlati di pizzo e vi depose Cleo. Lo scarabeo allungò pigramente un’unghia, la immerse nei ricami di pizzo e la lasciò lì.

L’altoparlante sul letto emise un crepitio e Delanna poté udire la voce di Chancy che annunciava, «La cena è servita in sala da pranzo.» L’altoparlante venne spento e poi riacceso. «Venite a prenderla.»

Per un istante Delanna fissò con invidia lo scarabeo addormentato, ma sapeva che se si fosse stesa, sia pure per un minuto, non si sarebbe svegliata fino al mattino seguente e lo stomaco vuoto avrebbe brontolato per tutta la notte. Non aveva mangiato nulla da quando era scesa sulla navetta. Sospirando, andò nel bagno, che era dotato di una vasca, ma non della sauna, si spruzzò dell’acqua sul volto da un lavandino di ceramica a forma di cuore e si asciugò con un asciugamani ornato con cuoricini e angioletti. Si passò la spazzola tra i capelli; avrebbe dovuto lavarli per dare loro un bell’aspetto, ma non le importava. Non c’era nessuno per cui volesse apparire bella, tranne, forse, Jay Madog. Dopo tutto, almeno lui si era preoccupato abbastanza per lei da salvare Cleo, che era più di quanto si potesse dire di Sonny Tanner. Ma probabilmente Sonny non aveva nessun pensiero, dunque figuriamoci se poteva venirgli in mente di rubare Cleo dalla gabbia di Doc Lyle!

Delanna prese un po’ di schiuma modellante dalla sacca e la strofinò sui capelli, poi li spazzolò di nuovo. Adesso i suoi luminosi riccioli rossi le scendevano lungo le guance con un bell’effetto. Soddisfatta, Delanna si raddrizzò la camicia a fiori e l’abbottonò, lasciandola cadere sui pantaloni. Aveva quasi dimenticato che, sotto, portava ancora la gonna; sicuramente non sarebbe riuscita a capirlo osservando la forma dei pantaloni. Infilando una mano sotto la cintura, Delanna tirò la gonna fino a quando non fu arrotolata intorno alla vita, poi aprì la cucitura per toglierla. La infilò nella sacca e si avviò verso la porta, fermandosi accanto al letto per assicurarsi che Cleo stesse ancora dormendo, cosa che stava facendo. Delanna aprì la porta e uscì all’esterno.