Fece per afferrare lo scarabeo. Cleo si raggomitolò ancora più fuori portata. «Lo so, lo so, tesoro. Non avere paura. Quei cattivoni sono andati via.» Riuscì a impadronirsi di una zampa piegata. «Devi fare un altro viaggio nel cappello.» Delanna iniziò ad arretrare, stringendo la giuntura in modo che Cleo non potesse estendere una zampa per graffiarla. «Che te ne pare? Un bel viaggetto nel cappello di Cadiz. Sta molto meglio su di te che su di lei.» Delanna, sempre stringendo la zampa di Cleo, uscì con una certa difficoltà da sotto il letto.
Sonny era lì e la guardava.
Delanna si rialzò immediatamente, stringendo lo scarabeo e ricevendo un graffio come ricompensa dei suoi sforzi. «Cosa ci fai qui?» gli domandò.
«Sono venuto a prendere il tuo scarabeo. Devo metterlo con le oche.» Tese un sacco di grano come quello da cui Cleo era fuggita il giorno precedente. «Tu rimani qui. Tornerò e poi ti accompagnerò a fare colazione.»
«Tu non mi porterai da nessuna parte,» replicò Delanna in tono rabbioso. «So prendermi cura di me stessa.»
«Non su Keramos. Non sai quanto determinati possano essere i ragazzi.»
Lei arretrò in modo che Sonny non potesse impadronirsi di Cleo. «Immagino che questo faccia parte del ‘trattamento completo,’ insieme all’avere un branco di ubriachi che fanno baccano all’esterno per tutta la notte.»
«Temo di sì,» replicò Sonny. Rivolse a Cleo un suono chiocciante, come se fosse una delle sue oche. «Vieni nel sacco.» Cleo iniziò a estendere le zampe. «So che viaggiare in un sacco non è elegante, ma, non appena avremo messo un po’ di miglia tra noi e Doc Lyle, potrai uscire.» Lo scarabeo estese una zampa, sfoderò le unghie e afferrò l’apertura del sacco.
«Dai, entra,» la esortò Sonny, ancora chiocciando. «Va’ nel sacco. È meglio che sotto il letto.»
Delanna lo osservò, stupita. Da quando lo aveva conosciuto, non aveva pronunciato tante parole come in quel momento. Cleo entrò nel sacco aperto e prontamente si raggomitolò di nuovo a palla.
Sonny chiuse il sacco con un tratto di corda dalla sua tasca. «Torno subito,» annunciò. «Oppure vieni con me a caricare le oche, il che sarebbe ancora meglio.»
«Te l’ho detto,» replicò Delanna, «non ho intenzione di andare da nessuna parte con te.»
«Fa’ come credi,» ribatté Sonny, poi si mise il sacco in spalla. «Sono ancora lì fuori, sai. Chancy e i suoi cantori mi hanno visto entrare qui. Se adesso esco da solo, non rispondo di quello che potrebbero combinare.»
«Vengo con te,» cambiò idea Delanna. Infilò le scarpe con i tacchi alti, allacciò i cinturini delle caviglie e si affrettò a seguirlo.
Sonny l’aveva attesa appena oltre la soglia. Quando uscì, la prese per mano.
«Ah, ah!» esclamò una profonda voce di basso, e un giovanotto che portava un tamburo a braccialetto uscì da dietro il muretto di mattoni. Due altri uomini, che reggevano strumenti di fabbricazione casalinga, lo seguirono. «Voi due avete finalmente fatto pace?»
«Sì,» confermò Sonny. Il giovane con la voce di basso iniziò ad accordare il tamburo. «Andiamo, tesoro,» disse Sonny, stringendo la mano di Delanna e conducendola fuori dal cortile quasi di corsa.
Le lasciò andare la mano non appena furono usciti dal cortile e si passò il sacco di grano sull’altra spalla. «Avevo paura che ricominciassero,» spiegò in tono di scusa.
«Anch’io,» ammise Delanna. «Non penso che sarei riuscita a sopportare un altro ritornello di «Noi di Keramos tre gentiluomini siam.»
Sonny sogghignò e si avviò lungo il sentiero fiancheggiato da arbusti. I massicci frutti rossi sembravano ancora più pesanti del giorno precedente. Proprio come mi sento io, pensò Delanna. Arrivarono alla banchina dove il treno si era fermato il giorno prima. Su di essa, le ruote anteriori poggiate sul orlo, in modo che i loro pannelli fossero angolati rispetto al sole, c’erano dozzine di solaris. Dietro c’erano numerosi rimorchi coperti di teloni; alcuni erano già agganciati ai solaris, altri venivano ancora caricati e sistemati al loro posto.
Sonny fece strada attraverso quel labirinto verso la gabbia delle oche. Non appena lui e Delanna apparvero alla loro vista, le oche iniziarono a starnazzare con eccitazione.
«Fai questo effetto su tutti?» chiese Cadiz. Stava arrivando dalla direzione della piattaforma, portando un sacco a pelo. «Non ho mai sentito un baccano come quello della notte scorsa. Sono dovuta andare a dormire con gli animali per riuscire a dormire almeno un po’.» Guardò le oche, che si erano affollate nell’angolo della gabbia più vicino a Delanna e stavano sporgendo i colli oltre le sbarre. «In effetti, le oche cantano molto meglio degli amici di Chancy.» Cadiz rivolse un’occhiata significativa al sacco di Sonny. «Stiamo nascondendo le prove, eh?»
«Sì,» rispose Sonny con aria imperturbabile. Si tolse il sacco di spalla e lo poggiò nell’angolo più lontano della gabbia. Delanna si aspettava che Cleo iniziasse immediatamente a progettare la propria fuga, ma dall’interno del sacco non provenne alcun movimento. Povera Cleo, pensò Delanna. Probabilmente è profondamente addormentata su quegli scomodi chicchi di grano.
Delanna poteva capirla: lei stessa sognava di addormentarsi sul tavolo, davanti alla colazione, mentre aspettava che Sonny e Cadiz finissero di agganciare i rimorchi, ma quando finalmente arrivarono in sala da pranzo, non c’era neppure un tavolo. Accanto alla porta, Chancy era impegnato a versare quello che sembrava caffè e a distribuire sacchetti di carta.
«Sapevo che voi due avreste fatto pace, se avessimo continuato a cantare,» commentò, dando a Delanna un panino alle verdure. «Non c’è nulla di meglio di una bella canzone per fare sentire romantica una persona. Non è così, Sonny?»
Sonny bevve un sorso di caffè,» poggiò la tazza e si infilò il panino in tasca. «Devo andare a controllare il mìo carico,» annunciò, poi andò via.
Chancy si accigliò. «Voi due non avrete litigato di nuovo, vero?» chiese a Delanna.
«No,» rispose lei, guardandosi nervosamente intorno, in cerca di cantori in agguato. Bevve un sorso del liquido marrone, sperando che riuscisse a svegliarla. Senza dubbio non era caffè, ma era troppo dolce per essere ambrosia: aveva il sapore di un succo di pera caldo.
«Di solito io e i ragazzi cantiamo un paio di canzoni alle coppie in luna di miele, sa è come cantare loro la ninna nanna per farli addormentare, ma quando abbiamo visto suo marito che usciva per andare a dormire nel solaris, ho detto, ‘Non possiamo permetterlo. Ragazzi, dobbiamo continuare a cantare fino a quando non lo farà entrare di nuovo’.»
Meraviglioso: se Delanna avesse permesso a Sonny di rimanere qualche minuto, i cantori se ne sarebbero andati, lasciandola in pace. «Noi siamo sposati, e su Keramos esistono certe tradizioni,» le aveva detto Sonny. Improvvisamente Delanna comprese che Sonny aveva tentato di avvertirla sui cantori e che non aveva avuto alcuna intenzione di reclamare i propri diritti coniugali. Be’, se aveva tentato di dirglielo, perché non glielo aveva detto e basta, invece di vagare per la stanza armeggiando con le finestre? Ma forse aveva intenzione di uscire dalla finestra in modo che i ragazzi di Chancy non si accorgessero che era andato via, pensò dispiaciuta, e dovette ammettere di non avergli concesso molte possibilità di dirle alcunché. Be’, però lui avrebbe potuto metterci più impegno.
«Quale canzone le è piaciuta di più?» si stava informando Chancy.
Erano state tutte egualmente tremende. «È difficile dirlo,» mormorò Delanna, sorseggiando il succo di pera.
«La mia preferita è ‘Buon Re Venceslao,’» le rivelò Chancy ed eruppe in uno straziante acuto tenorile. «Venite ad ascoltare, o buona gente / quest’allegra canzone / Oggi si son sposati / Io sono andato al loro…»
«La carovana sta partendo senza di te,» intervenne Cadiz, entrando frettolosamente con il cappello sformato e la sacca di Delanna, che non era mai stata così contenta di vedere qualcuno in tutta la sua vita.