«Cleo, torna indietro!» chiamò Delanna, anche se parlare allo scarabeo era utile quanto parlare alle oche.
Diede un’occhiata al solaris di Madog, ma non c’era nessuno in vista e Cleo stava già scomparendo tra i cespugli.
Delanna iniziò a correre: un grosso errore in quel calore soffocante. Quando raggiunse la macchia di cespugli, ansimava pesantemente e la camicia prestatale da Cadiz era fradicia di sudore.
Vista da vicino, la macchia di arbusti aveva un aspetto ancora più lugubre: i rami privi di foglie degli arbusti secchi si intrecciavano in un intrico impenetrabile, sotto il quale Delanna fu costretta a chinarsi.
Si accovacciò, scrutando nell’ombra, poi chiamò lo scarabeo, che era strisciato fino al centro esatto della macchia e poi si era fermato. Evidentemente il suo spirito d’avventura, acquisito tanto di recente, era già scomparso e l’animaletto si era raggomitolato a palla per la paura.
«Vieni qui, Cleo,» chiamò Delanna. «Ti piacerebbe bere un po’ d’acqua? Dai, vieni qui.»
Dalle scaglie di Cleo non provenne neppure un fremito.
«Dico sul serio, Cleo,» proseguì Delanna in tono severo. «Vieni qui. Non costringermi a venirti a prendere.»
Ma era chiaro che sarebbe stata costretta a fare esattamente questo. Si alzò e camminò lungo il bordo della macchia di arbusti, tentando di trovare il modo di superare l’intrico dei rami, poi si voltò a guardare la carovana. Le gambe di Sonny non spuntavano più da sotto il solaris. Doveva averlo aggiustato, oppure aveva raggiunto tutti gli altri, ancora impegnati a osservare i fulmini che sembravano non avvicinarsi mai. Lampeggiavano ancora all’orizzonte, troppo lontani per biforcarsi.
Delanna si mise in ginocchio. Cleo non si era mossa. Allora la ragazza si sporse verso la macchia di arbusti, sperando che Cadiz avesse detto la verità e che non ospitasse pericolose forme di vita locali. Per fortuna poteva vedere il terreno. Il sottobosco era completamente assente, tranne un paio di rami nodosi, seccatisi per il calore. Ma forse si trattava di un paio di serpenti abilmente mimetizzati da rami.
«Cleo, vieni fuori di lì in questo istante,» ordinò Delanna in tono severo. «Non costringermi a venire a prenderti,» minacciò, poi si decise a entrare.
Lo spazio tra i rami era sufficiente solo per strisciare sullo stomaco. Evidentemente all’esterno doveva soffiare una leggera brezza, anche se Delanna non l’aveva percepita, perché, sotto i cespugli, la temperatura era più alta di almeno dieci gradi. Se Cleo si era infilata lì dentro pensando che avrebbe fatto più fresco, aveva commesso un grave errore. Ecco perché probabilmente era così immobile: aveva avuto un colpo di calore o qualcosa del genere.
Lo spazio sotto i cespugli divenne ancora più basso e così Delanna fu costretta a proseguire con il volto praticamente nella polvere e poi si ritrovò a pochi centimetri da Cleo.
Si alzò e si guardò intorno. Dall’esterno, aveva avuto l’impressione che Cleo si trovasse in uno spazio aperto in cui cresceva una specie di erba seccata dal sole e dunque si era aspettata di sbucare in una radura; invece si ritrovò in un boschetto di alberi alti, che somigliavano a delle palme, con tronchi spessi e squamosi e pochi rami biancastri che crescevano molto in alto.
Quegli alberi gettavano ben poca ombra e all’interno dello spazio delimitato dalla macchia sembrava di essere in un forno. Tra gli alberi il suolo era spoglio, con occasionali chiazze di erba bluastra. A poca distanza da Cleo, l’erba era carbonizzata, come se in quel punto qualcuno avesse accesso un fuoco da campo, anche se Delanna non riusciva assolutamente a immaginare a chi sarebbe venuto in mente di accendere un fuoco, visto quel caldo infernale: l’aria era ancora più soffocante di quanto fosse stato sotto i cespugli. Forse l’erba aveva preso fuoco per il calore, che senza dubbio sembrava abbastanza intenso da provocare fenomeni di combustione spontanea.
Delanna si guardò intorno, sperando di trovare una via d’uscita più rapida rispetto a quella d’entrata, ma la macchia di arbusti circondava completamente il boschetto e, dall’interno, i cespugli sembravano ancora più impenetrabili. Erano tanto alti e fitti che Delanna non riusciva più a vedere la carovana; inoltre sembravano tagliare fuori anche i rumori. Nel tuono assordante di quel silenzio afoso Delanna non riuscì a sentire neppure gli starnazzi delle oche.
«Usciamo subito da questo posto, brutta cattivona!» esclamò Delanna per rompere quel silenzio, poi prese Cleo tra le braccia. Lo scarabeo tese immediatamente le zampe anteriori e le unghie e si aggrappò disperatamente alla camicia di Delanna.
«Eri spaventata?» le chiese Delanna, facendo una smorfia quando sentì le unghie di Cleo serrarle la spalla. Tentò di spostarle.
Lo scarabeo stava tentando di salirle sulla spalla.
«È tutto a posto,» lo rassicurò Delanna. «Ci sono io qui.» Diede una pacca sulle scaglie di Cleo per confortarla. «Dai, dobbiamo andare a separare quelle oche prima che soffochino.»
Stringendo lo scarabeo contro il petto, si piegò per scivolare di nuovo sotto la macchia di arbusti, quando Cleo si lanciò verso la sua testa e si aggrappò con le unghie ai capelli.
«Cleo! Ma che fai?» Delanna si girò, tentando di arrivare alla zampa anteriore dello scarabeo.
Tre creature, adesso immobili, avevano formato un semicerchio intorno a lei ed erano tanto protese in avanti da essere solo leggermente più alte di Delanna. «Aaaah!» strillò la ragazza e fece un passo indietro.
«Scimmie incendiarie,» bisbigliò, anche se quelle creature non avevano certo l’aspetto di scimmie. Non erano coperte di pelliccia rossa, ma Delanna capì immediatamente cosa fossero osservando i tratti, vagamente antropoidi, delle loro facce ovali. Erano dello stesso colore dei rami morti della macchia di arbusti e ovviamente erano dei rettili: la pelle sui loro ampi petti e sulle zampe posteriori era spessa e scagliosa e le mani terminavano in artigli sottili come quelli delle lucertole.
Cleo lasciò andare i capelli di Delanna e improvvisamente si tuffò prima sulla spalla e poi tra le braccia della ragazza, circondando con le zampe anteriori il collo di Delanna, che si strinse lo scarabeo al petto e fece un altro cauto passo indietro.
E finì tra le braccia di un’altra scimmia incendiaria. Si allontanò di scatto e gridò: un urlo agghiacciante che avrebbe dovuto fare accorrere l’intera carovana, ma che venne assorbito dall’aria stagnante. Fu come se fosse stato inghiottito dalla macchia di arbusti.
Altre tre scimmie emersero da dietro gli alberi simili a palme e avanzarono, mentre i loro occhi, di un colore giallo-arancione, la fissavano senza mai ammiccare. La scimmia più grande reggeva un bastone nella mano dotata di artigli. Delanna si guardò freneticamente intorno, in cerca di un’arma, ma tra l’erba secca non trovò nulla, neppure una foglia. La creatura con il bastone lo avvicinò alla bocca e vi soffiò sopra, mentre la gola si gonfiava come quella di una rana; il bastone iniziò a brillare di un rosso smorto.
«Non sapevo che questo fosse il vostro accampamento,» si scusò Delanna, dirigendosi verso la macchia di arbusti. «Sono venuta solo a prendere il mio scarabeo.» Si girò e gridò, «Se qualcuno può sentirmi, sono tra gli arbusti! Aiuto! Sonny! Qualcuno mi aiuti! Aiuto!»
Il suono rimbalzò sugli arbusti e, come per magia, un’altra scimmia incendiaria comparve dagli arbusti e si unì al cerchio. La scimmia con il bastone che ardeva si batté la testa con la mano libera e fece un altro passo avanti.
«Non avvicinarti di più, dico sul serio,» la avvertì Delanna, tendendo un braccio per respingerla e tenendo stretta Cleo con l’altro. «Dico sul serio!»
Udì un fruscio tra i rami alle proprie spalle e si allontanò dalla macchia, timorosa di distogliere lo sguardo dalla scimmie.
Quella che era appena comparsa avanzò verso di lei.