«Li amo moltissimo,» affermò Delanna, rivolgendogli un’occhiata.
«Ne sono felice,» rispose Sonny, guardando la strada, ormai difficile da distinguere.
Superarono con una serie di violenti sobbalzi numerose pozze di fango incredibilmente larghe, terrorizzando di nuovo le oche e inondando l’abitacolo di petali di fiore, ma Sonny non accese i fari. Si limitò a protendersi in avanti sul volante.
«Non voglio sprecare le batterie,» spiegò quando caddero in una buca profonda quanto una di quelle che avevano aggirato nelle Pianure di sale. «Abbiamo ancora un po’ di strada da fare. Prova a dormire un po’.»
Delanna non riusciva a immaginare come fosse possibile dormire con tutti quegli scossoni, però si appoggiò contro lo schienale del sedile e chiuse gli occhi; senza dubbio si addormentò davvero perché, a un certo punto, sentì Sonny dire, «Svegliati.»
Delanna aprì gli occhi. Sonny la stava guardando e lei si accorse di essersi rannicchiata contro di lui mentre dormiva. La sua testa riposava sulla spalla di Sonny. Non aveva lasciato cadere il suo mazzo di fiori. Non si mosse. Il solaris era colmo del profumo dei fior-di-rosa e di una luminosità argentea: doveva essere sorta la luna.
«Svegliati,» le disse di nuovo Sonny e Delanna gli sorrise.
Sonny la fissò con aria seria. «Delanna…» esordì e, a differenza di quando era stato Jay a pronunciare quel nome, lei non ebbe alcuna voglia di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per impedirgli di proseguire. Invece, le braccia colme di fiori illuminati dalla luna, attese che lui finisse quello che stava per dire.
«Delanna,» ripeté Sonny, poi le scosse gentilmente la spalla. «Siamo arrivati.»
Delanna si rizzò a sedere. Il solaris era fermo sotto una fila di alberi di palle di cannone, che, nell’oscurità, avevano assunto un aspetto quasi minaccioso. La strada si era ridotta di nuovo a un sentiero e accanto a esso, in un intrico di piante, sorgevano un paio di baracche dai tetti spioventi. Alle loro spalle, ancora più in profondità nel sottobosco, c’era un capanno, chiaramente costruito in fretta e furia. Forse serviva per conservare l’equipaggiamento agricolo, oppure era una distilleria abbandonata.
«Dove siamo?» chiese Delanna ammiccando. «Perché ti sei fermato? Le batterie si sono esaurite?»
«No,» rispose Sonny. «Siamo arrivati.» Aprì la portiera e scese dal solaris. «Benvenuta a Milleflores.»
CAPITOLO DODICESIMO
Delanna uscì dal solaris, stringendo ancora tra le braccia il mazzo di fior-di-rosa. «Non ricordo che avesse questo aspetto,» commentò, socchiudendo gli occhi per osservare meglio le baracche.
«Quelle sono nuove,» le spiegò Sonny mentre spostava l’equipaggiamento da campeggio per arrivare alla sacca da viaggio di Delanna. «Be’, o almeno lo erano quando hai lasciato Keramos. Usammo un tipo di ceramica estremamente luminosa sotto la luce del sole, ma molto opaca alla luce della luna. Ce ne rimase a sufficienza per rivestire anche la casa di tua madre.» Con un gesto vago indicò le fitte ombre del sottobosco. «Prendi Cleo, io ti mostrerò la strada. Ormai il giardino ha cancellato quasi completamente il sentiero.»
In una delle baracche si accese una luce e Delanna vide le sagome di due ragazzi mentre correvano davanti alle finestre. La porta si aprì con un tonfo. «Sonny, sei tu?» urlò uno di loro dal portico davanti alla porta. «Io e Wilkes stavamo dormendo.»
«Sì, proprio,» borbottò Sonny. «Probabilmente sono arrivati fin qui di corsa dallo stagno dopo avere visto il riflesso dei raggi lunari sul solaris quando siamo scesi lungo la collina. Sanno che non mi piace che vadano a pesca senza di me o B.T.» Stava scuotendo la testa, ma non sembrava troppo arrabbiato. «Sono io!» gridò ai ragazzi. Poggiò la sacca sul solaris e chiuse il tettuccio. «Visto che siete svegli, venite a mettere queste oche nel recinto, così potrete salutare anche Delanna.»
Mentre il ragazzo più alto si avviò verso di loro con la stessa andatura strascicata che Delanna aveva visto usare a entrambi i suoi fratelli maggiori, quello più piccolo corse a rotta di collo verso di loro, si gettò contro Sonny fingendo di volerlo placcare, ma poi lo abbracciò con grande affetto.
«Questo è Harry,» lo presentò Sonny, mentre stringeva ancora il bambino che si divincolava e che aveva già spostato la propria attenzione da Sonny a Delanna. Le stava sorridendo.
«Salve,» lo salutò Delanna. Harry era tutto un sogghigno, aveva i capelli arruffati inargentati dalla luce della luna e gli occhi troppo luminosi per essersi appena svegliato. Delanna pensò che dovesse avere sui sette anni.
«E questo è Wilkes,» disse Harry, indicando il fratello.
Wilkes era magro, molto alto e dimostrava circa undici o dodici anni. I suoi capelli erano arruffati come quelli del fratello minore, ma più scuri. Tese la mano con aria seria a Delanna, che la strinse.
«Harry, ma hai fatto almeno una doccia da quando sono andato via?» chiese Sonny, arricciando il naso mentre metteva giù il bambino.
«Certo che l’ho fatta: mi ci ha costretto B.T.,» replicò Harry in tono indignato.
«E così non hai fatto la doccia da quando B.T. è andato via, eh?»
Harry ignorò Sonny e si girò verso Delanna. «Sei stata davvero in un’astronave?» le chiese Harry. «Fa molto freddo lassù nel buio? Non mi piacerebbe se non spuntasse mai il giorno. Ho scattato una fotografia della Gripsholm. È la prima nave ad avere fatto scendere una navetta su Keramos. Vuoi vederla?»
Harry aveva preso Delanna per mano e lei si sarebbe fatta guidare via, tanto era affascinata da quel piccolo chiacchierone, ma Sonny afferrò Harry per la manica della camicia.
«Va’ ad aiutare Wilkes con le oche, Harry. Domani mattina potrai mostrare la fotografia a Delanna.»
«Ma Sonny…» iniziò a protestare Harry, però Wilkes aveva sostituito il fratello maggiore nello stringergli la camicia e adesso stava trascinando Harry verso il rimorchio. «Buonanotte, Delanna,» le augurò Harry in tono rassegnato. Lottò per liberarsi della presa del fratello per qualche istante, poi si immobilizzò di botto, ma Wilkes continuò a stringere la manica e, senza fermarsi, lo trascinò fino al rimorchio. Gli starnazzi allarmati delle oche coprirono la risatina maliziosa di Harry.
«Da questa parte, Delanna,» la invitò Sonny. Aveva messo la sacca sotto un braccio e Cleo sotto l’altro e stava camminando attraverso un oscuro intrico di erbacce. Delanna lo seguì da vicino, a stento capace di vedere il sentiero che stava seguendo attraverso il sottobosco. Piante sconosciute dalle foglie nere le sfiorarono le braccia e le gambe, alcuni rami si ruppero sotto i suoi piedi. Uscirono su un sentiero di ghiaia sgombro di erbacce e poi arrivarono a un portico di pietra davanti la casa.
Delanna non ricordava che davanti alla casa della madre ci fosse stato un portico di pietra. «Ma io ricordo un portico di legno,» si stupì, «e pensavo che ci fossero delle pergole.»
«Questa è un’aggiunta recente,» le spiegò Sonny. «Le pergole sono sull’altro lato, quello da cui si può ammirare il panorama.» Salì i due scalini di pietra con un solo passo, poi passò Cleo a Delanna in modo da potere aprire la porta della casa. «Devo accendere la luce,» annunciò, entrando prima di lei. «Anche l’interno non ti sembrerà più lo stesso, perché, quando vivevamo con tua madre, abbiamo aggiunto una vera cucina alla casa, dunque adesso è più grande di prima.»
Non sembra più grande, pensò Delanna quando la luce si accese, ma solo strana. Anche se la cucina in cui era entrata non le era familiare, riconobbe il tavolo di legno con le gambe che terminavano in zampe di leone. Ormai era quasi bianco per tutti gli anni in cui era stato pulito con la candeggina, e il suo ripiano portava le cicatrici provocate da infinite pile di verdure che erano state pulite o tagliate a dadini sulle sue assi semplici ma robuste. Al di là del tavolo, gli scaffali di ceramica azzurra scheggiata che occupavano la parete più lunga della casa, andando dal pavimento al soffitto, erano gli stessi che Delanna ricordava di avere visto sopra il camino; riconobbe anche le grandi pentole e le padelle della madre e perfino il motivo floreale che decorava i piatti. La parete in cui si apriva il grande camino era stata sfondata e adesso Delanna poteva vedere quella che, in precedenza, era stata l’unica stanza della casa. Quella che era stata la zona cucina quando la casa aveva avuto un’unica camera adesso era stata arredata con qualche sedia e un tappeto e formava un piccolo salotto di fronte al camino; il letto e il baule della madre erano lungo la parete opposta, accanto alla porta. Senza dubbio il portico che Delanna ricordava si trovava oltre quella parete.