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Ma non certo per leggere consigli su cosa fare con le pomarance mature, oppure per scoprire quali lavori avesse svolto la madre, perché le era bastato leggere solo poche annotazioni per rendersi conto che la madre non alzava neppure un dito per aiutare Sonny e i suoi fratelli.

Era stata malata: le annotazioni, specialmente nell’ultimo diario, erano piene di riferimenti a medicine e a giorni «cattivi,» ma, perfino da quanto c’era scritto nei primi diari, era chiaro che sua madre non aveva dato una mano a fare il raccolto o a curare il giardino oppure a tenere pulita la casa. Non c’era da meravigliarsi che Delanna avesse messo in imbarazzo Harry quando gli aveva chiesto quali fossero i lavori della madre: non ne aveva svolto nessuno.

Tutto quello che aveva fatto era lamentarsi di Keramos, del tempo, della mancanza di comodità civili, e soprattutto di Sonny.

«Ho chiesto al ragazzo dei Tanner perché non ha ancora conservato le verdure,» aveva scritto e «Ho detto di nuovo al ragazzo dei Tanner di aggiustare il tetto,» oppure «Ho preteso di sapere come mai la doccia non è stata ancora finita.»

Si riferiva sempre a Sonny come al «ragazzo dei Tanner,» non lo chiamava mai per nome, come se fosse un estraneo oppure un servo; pigro era l’epiteto più gentile che gli affibbiava. «È uno zoticone stupido e sudicio,» scriveva. «Grazie a Dio sono riuscita ad allontanare Delanna da lui e da questo posto!» Sonny era “disgustosamente rozzo” e “ignorante,” un “bruto scontroso”.

Sarei scontrosa anch’io, pensò Delanna, se qualcuno mi desse continuamente della stupida e mi comandasse come se fosse una regina. E questo non era neppure il peggio. «Ho detto al ragazzo dei Tanner che sto per mandare a Delanna il ricavato dell’ambrosia. Ovviamente ha detto che aveva bisogno lui di quel denaro, visto che voleva assumere qualcuno per pulire il frutteto meridionale. E adesso afferma che il solaris ha bisogno di un nuovo sistema di trasmissione, ma io so che è solo una scusa. Lui rimpiange ogni centesimo che invio a Delanna, ma intendo far sì che lei abbia il meglio di qualsiasi cosa. Può pulirsi i suoi boschi da solo.»

Ma Delanna sapeva che il solaris aveva davvero bisogno di un nuovo sistema di trasmissione, perché parti di esso si stavano staccando, incastrandosi nelle marce. Si chiese quale percentuale dei profitti del lanzye sua madre le avesse inviato. Era per questo che Milleflores era ridotto in quelle condizioni, mentre il lanzye dei Flaherty era tanto prospero?

Sollevò lo sguardo verso la luce che proveniva dalla finestra della camera da letto. Stava avvicinandosi mezzogiorno e Sonny e i ragazzi stavano lavorando nel frutteto sul retro della casa. Delanna si era offerta di portare loro il pranzo. «Oggi niente panini alla verdura,» aveva detto a Sonny.

Ripose i diari nel baule, pensando a tutto il denaro che aveva speso per comprare vestiti e gioielli, poi andò a prendere il sacco con il cibo e la brocca d’acqua.

Tre scimmie incendiarie erano in attesa accanto alla porta quando Delanna uscì all’esterno. «Adesso Cleo non può giocare,» spiegò, agitando la mano libera verso di loro. «Sciò.»

Due delle scimmie incendiarie iniziarono ad arretrare. La terza, un esemplare basso e tarchiato che Delanna non aveva mai visto prima, iniziò a gesticolare con eccitazione, indicando i suoi capelli.

«Adesso non ho tempo per questi giochetti,» la avvertì Delanna, poggiando la brocca e il sacchetto tra le ginocchia mentre si legava una sciarpa sui capelli. «Devo portare a Sonny il pranzo. Va’ a casa. Dico sul serio. Sciò!»

Batté insieme le mani, producendo un suono secco. La scimmia tarchiata arretrò per lasciarla passare; sulla sua faccia era comparsa quella che, probabilmente, era un’espressione di timore. Le altre due attesero fino a quando Delanna non fu uscita in cortile e poi si rimisero in attesa accanto alla porta. Quella tarchiata si sedette sullo scalino. Be’, almeno non la stavano seguendo.

Delanna girò intorno alla casa, cercando lo scarabeo. «Cleo!» iniziò a gridare e poi si interruppe. Non voleva che le scimmie incendiarie la sentissero e venissero a cercare la loro compagna di giochi… o la loro palla, visto che Delanna non avrebbe saputo stabilire con certezza cosa rappresentasse per loro Cleo.

Qualsiasi cosa rappresentasse per le scimmie, Cleo era accanto al recinto delle oche: era salita fino a metà altezza della rete metallica e aveva sporto una delle zampette pelose oltre la barriera, tentando di raggiungere la scatola in cui le oche deponevano le uova. Le oche, in particolare quella che sedeva sul nido, posto in angolo riparato del recinto, stavano sibilando furiosamente.

«Vieni, Cleo,» la invitò Delanna. «Andiamo a fare una passeggiata.»

Lo scarabeo si girò, guardò Delanna, poi si girò di nuovo verso il nido.

«Mi farai fare tardi per il pranzo,» si lamentò Delanna, poggiando di nuovo a terra il sacchetto e la brocca. «Dai, andiamo!» Staccò Cleo dalla rete — fu costretta a staccare l’ultima zampa un’unghia dopo l’altra — poi la depose davanti al sacco.

«Dai, andiamo,» ripeté, raccogliendo di nuovo il sacco. «Andiamo a fare una bella passeggiata nel frutteto.»

Cleo la seguì con riluttanza, rivolgendo sguardi colmi di desiderio in direzione della oche, che stavano starnazzando rumorosamente, come a voler dire, «Addio e non farti più rivedere!»

«Così si comportano le brave ragazze,» commentò Delanna. «Ci saranno un mucchio di uccelli. Potresti perfino trovare un bel nido abbandonato con un uovo che potrai covare tu.» Così la smetterai di fare venire l’infarto alle oche, pensò.

Il sentiero che conduceva al frutteto sul retro della casa in realtà era una semplice pista di piante schiacciate che passava attraverso una piccola macchia di candele di scimmia e oltre la radura, in cui Delanna ricordava che sgorgava la sorgente termale.

Fece per due volte il giro della radura, tentando di trovare la sorgente, ma il suolo era coperto da uno spesso strato di foglie secche.

Delanna si chiese se la sorgente si fosse seccata. Ma anche se era ancora lì, si stava facendo davvero tardi. Avrebbe cercato la sorgente dopo avere portato a Sonny il suo pranzo.

«Andiamo, Cleo,» disse e poi si guardò intorno. Lo scarabeo non si vedeva da nessuna parte. «Cleo!» gridò, scrutando tra gli alberi.

Si udì un orribile gracchio, poi un uccello svolazzò fuori dal sottobosco dirigendosi direttamente verso Delanna e spiccò improvvisamente il volo, spalancando le ali con un balenio di arcobaleno. Cleo emerse dal sottobosco, zampettando velocemente verso la sua padrona. Vi fu un altro rauco gracchio, seguito dal rumore di un frenetico battere di ali, simile a quello di un’oca, poi un secondo uccello uscì dal sottobosco allargando le ali in un improvviso arcobaleno di piume rosse, color indaco e verde brillante. Cleo si raggomitolò a palla, il che fu una fortuna perché il mandarino reale si tuffò direttamente verso la sua testa, la sfiorò e volò via dalla radura in tutto il suo splendore.

«Lì dentro c’è un nido di mandarini reali? Non dovresti dare fastidio ai loro nidi,» la rimproverò Delanna, «anche se li fanno a livello del suolo. Sono una specie in via di estinzione.»

Cleo sporse un occhio da dentro il guscio.

«E poi è probabile che te ne facciano pentire amaramente. Adesso, andiamo.»

Cleo la seguì docilmente per il resto del cammino, senza rivolgere agli alberi neppure un’occhiata. Sonny e i ragazzi erano sul lato opposto del frutteto, impegnati a scavare profondi canali ai piedi degli alberi di palle di cannone. Il suolo sembrava duro come la pietra e tutti e tre erano chiaramente esausti. Il sudore colava lungo il corpo di Sonny mentre affondava con forza la pala nel terreno duro come granito e ogni tanto si fermava per strofinarsi il collo e le spalle, come se gli dolessero.