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«Questo è il primo anno che i rami producono frutti,» spiegò Sonny.

«Li hai potati in modo che anche i rami dessero frutti,» commentò Delanna.

Sonny annuì. «In quella scuola esclusiva, oltre a programmare un computer, insegnano anche come coltivare gli alberi di palle di cannone?» Aveva scartocciato un panino e adesso ne staccò un morso.

«Le lettere di mamma. Ha detto che ha discusso per due anni prima che tu ci provassi.» Quell’imbecille del ragazzo dei Tanner non saprebbe riconoscere un esperimento la cui riuscita è assicurata neppure se gli desse un morso sul naso.

Sonny deglutì sonoramente e annuì. «Tua madre non sempre aveva ragione, ma ammetto che aveva ragione sul potare i rami più piccoli e incoraggiare la crescita di quelli più spessi. E ammetto che all’inizio lo feci solo per… be’, per accontentarla. Adesso produciamo il cinquanta per cento in più rispetto agli altri coltivatori.»

«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo?» chiese Delanna.

Sonny staccò un altro morso dal panino, borbottò qualcosa e si avvicinò alla coperta da picnic per trovare qualcosa da bere. Versò un po’ di succo di scimmia per entrambi e le passò l’altra metà del panino.

«Non vuoi dirmelo?»

«Dirti cosa?» chiese Sonny.

«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo.»

Sonny scosse la testa.

«Perché no?»

«Mangia piuttosto.» Morse il panino. «Raccontami qualcos’altro sulla tua scuola. Cosa facevate quando le feste finivano e i preti non avevano ancora aperto i cancelli?»

«Tante cose,» rispose Delanna. «Se qualcuna di noi aveva dei gettoni, andavamo a uno dei chioschi, aperti tutta la notte, che vendevano dolci, oppure passeggiavamo per le strade.» Mentre Sonny mangiava, Delanna gli raccontò delle strade di Gay Paree, vivacemente illuminate, e del suo cielo affollato di velivoli.

Sonny finì di mangiare la crostata e si appoggiò al tronco dell’albero. «E camminavate tutta la notte?»

«Qualche volta. Se era estate, ci sedevamo sotto gli alberi nel parco e parlavamo fino a quando non ci addormentavamo.»

«Non avevate paura di dormire troppo?»

«Ci svegliava immancabilmente il rumore del traffico del mattino, proprio come tu, qui, puoi contare sugli uccelli. I canti degli uccelli sono più melodiosi del ronzio delle turbine e i K-cotteri erano assolutamente assordanti. La scuola non distava più di mezzo miglio dal punto in cui uscivano dal tunnel.»

Delanna lo guardò. Aveva chiuso gli occhi e pensò che forse lo aveva fatto addormentare, ma non appena smise di parlare, Sonny la esortò, «Raccontami dei K-cotteri.»

Delanna gli spiegò come quei veicoli viaggiassero, silenziosamente e velocemente, in tunnel a bassa pressione che traforavano il suolo di Gay Paree e come dagli ingressi di quei tunnel provenissero sempre rombi sonori e profondi. Gli raccontò dove andassero i K-cotteri e come era possibile salire a bordo di uno di essi anche se si era sprovvisti di gettone; mentre parlava, lo osservò, quasi sperando che si fosse addormentato. Sembrava esausto, e perché non avrebbe dovuto esserlo? Lavorava giorno e notte. Se continuava a parlare, forse avrebbe potuto riposare pochi minuti.

Ma Sonny si mise a sedere di colpo e disse, «Scusami, ma fa così caldo! Hai avuto i rapporti sul tempo da Salazar’s Gap e da Teapot?»

Delanna prese dal cestino gli appunti e glieli mostrò. «Tempo secco e caldo in tutti i lanzye,» affermò.

Sonny annuì con aria distratta mentre li studiava. Si alzò, scrutò con attenzione il cielo azzurro. Non c’era nulla da vedere, se non un uccello solitario che volava a bassa quota. Le restituì i rapporti. «Grazie per avermi portato il pranzo,» affermò. «Non preoccuparti di preparare la cena. Tornerò molto tardi,» poi si avviò verso la scavatrice.

«Potrei portarti qui la cena,» gli propose Delanna, ma Sonny era già andato via. Prima che avesse finito di rimettere tutto a posto nel cestino, sentì la scavatrice tornare in vita con un ruggito e Sonny si rimise al lavoro.

«Ora torniamo alle pomarance,» mormorò Delanna e iniziò la camminata di ritorno verso casa, ma quando arrivò era troppo accaldata per mettersi subito a lavorare.

Invece si sedette a leggere i diari della madre. Una volta tanto, sua madre non si lamentava di Sonny, ma del tempo. «Ieri sono arrivate le piogge, con due settimane di anticipo e senza alcun preavviso. Che clima assurdo! Un giorno ci sono cinquanta gradi e non si muove neppure una foglia, quello successivo inizia a soffiare un vento fortissimo e cadono chicchi di grandine grandi come uova d’oca! Abbiamo perso metà del raccolto delle pomarance. Avevo detto al ragazzo dei Tanner che avrebbe dovuto portarle dentro la scorsa settimana. La grandine ha rotto la maggior parte delle piastrelle sulla facciata della casa. E non so dove troveremo il denaro per sostituirle, visto che bisogna pagare la retta di Delanna e che ha bisogno di vestiti nuovi per partecipare al ballo di autunno.»

Delanna chiuse di scatto il diario e lo poggiò sul baule in cui erano conservati quei vestiti nuovi. Si tolse i pantaloncini, indossò i pantaloni da fatica e andò in cucina. Il minimo che potesse fare era assicurarsi che il raccolto delle pomarance fosse al sicuro in casa prima dell’arrivo delle piogge, specialmente se era probabile che giungessero senza alcun preavviso, come aveva scritto la madre.

Lavò e affettò pomarance per tutto il resto del pomeriggio, fece una doccia quando iniziò a infilarle nei sacchetti, preparò la cena, nonostante quello che le aveva detto Sonny, poi si dedicò di nuovo alle pomarance. Lavorò fino a sera, si fece di nuovo una doccia e andò a sedersi sotto il portico, aspettando Sonny e chiedendosi quando l’aria si sarebbe decisa a rinfrescarsi.

Non lo fece, neppure quando Delanna si arrese e andò a letto e, il mattino seguente, faceva ancora più caldo. Sonny aveva lasciato un altro biglietto. «Mi sono portato dietro il pranzo.» Non diceva in quale frutteto era andato a lavorare o quando sarebbe tornato. O quando era entrato. Delanna pensava che fosse entrato in casa all’alba, avesse scritto il biglietto e fosse uscito subito dopo.

Faceva un caldo torrido, anche se il cielo era lievemente velato. Troppo caldo per le scimmie incendiane, che erano sparite tutte. Quando Delanna uscì a raccogliere altre pomarance, Cleo vagava nel cortile, cercandole.

«Hai perso le tue compagne di giochi?» le chiese Delanna. «Penso che faccia troppo caldo per giocare.»

Faceva troppo caldo perfino per mettersi a spettegolare via radio. Mrs. Siddons si inserì, riferì il rapporto sul tempo e interruppe la comunicazione senza fare neppure un commento su Jay. O sul bagno che Delanna aveva fatto nel sale. «Qui ci sono trentasei gradi e non si muove un filo d’aria,» riferì. «Chiudo.» Delanna annotò la notizia, insieme con gli altri rapporti, con dita rese appiccicose dal sudore. Ventinove pollici e cielo velato a Ultima Thule. Trentatré gradi e cielo terso al lanzye Silvan Springs di Yamomoto. Trentadue gradi e cielo velato a Deepcut. Delanna lavò e mise nei sacchi il resto delle pomarance e andò ad appenderle in soffitta, in cui si soffocava nonostante il ventilatore. «Sessanta gradi a Milleflores,» borbottò e andò fuori per sedersi sotto il portico.

Il velo di nuvole era scomparso, non c’era un filo d’aria. Anche Cleo era sparita: probabilmente aveva cercato rifugio sotto uno dei cespugli o era andata alla sorgente. Delanna pensò di fare un bagno, ma solo la prospettiva dell’acqua tiepida bastava a farle sentire caldo. Invece fece una doccia, lasciando i capelli bagnati e uscì di nuovo sul portico.

Cleo era ancora via. Delanna andò a controllare il recinto delle oche. Lo scarabeo non era lì, ma le oche sembravano affrante e troppo accaldate perfino per starnazzare. Le lasciò uscire in cortile e riempì d’acqua il truogolo, cosa che di solito faceva accorrere immediatamente Cleo; quando non si fece vedere, Delanna decise che avrebbe fatto meglio ad andarla a cercare.