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La pioggia era quasi peggio della grandine: scendeva in cortine gelide e assordanti che pungevano come aghi e rendeva il terreno coperto di chicchi di grandine tanto scivoloso che era quasi impossibile camminarci sopra. Era anche accecante; Delanna dovette cercare a tentoni la strada per girare oltre l’angolo della casa e arrivare alle greppie.

Sonny, con la camicia completamente zuppa e i capelli bagnati che gli cadevano sugli occhi, era già lì e stava tentando di trovare i sacchi. Delanna li tirò fuori da sotto una delle greppie, che, più o meno, li aveva protetti dalla pioggia: erano bagnati, ma non fradici. Li infilò sotto la giacca e si avviò verso il recinto delle oche insieme a Sonny.

Adesso pioveva davvero a dirotto e le gocce d’acqua battevano sui tetti coperti di tegole con un fragore tanto forte da coprire perfino gli starnazzi delle oche. Il cortile era diventato un lago pieno di chicchi di grandine bianchi e Sonny e Delanna furono costretti a camminare lungo i suoi bordi per arrivare al recinto delle oche.

Il tetto del pollaio era ancora al suo posto, ma il cancello di legno era aperto e sbatteva con violenza sotto l’impatto della pioggia. Oh, no, pensò Delanna, le oche sono uscite, poi si guardò freneticamente intorno, ma non vide alcuna traccia dei pennuti in questione.

Sonny la afferrò per un braccio. «Sono qui dentro!» le gridò all’orecchio per superare il frastuono della pioggia e la spinse davanti a lui nel capanno dal soffitto basso. «Vedi?» Indicò uno degli angoli posteriori.

Le oche erano strette una all’altra — no, ammassate — nell’angolo indicatole da Sonny, come se avessero pensato che il cancello che sbatteva fosse una creatura vivente, decisa a ghermirle. Starnazzavano terrorizzate ogni volta che il cancello si spalanca e si ritiravano sempre di più nell’angolo.

Sonny chiuse il cancello e lo tenne fermo in modo che non sbattesse, ma le oche non gli prestarono alcuna attenzione e non guardarono neppure Delanna, che si avvicinò a loro mormorando, «È tutto a posto, è tutto a posto.» Ma, in preda a panico folle, le oche continuarono a starnazzare e si strinsero istericamente alle pareti del pollaio.

«Devono essere state spaventate dal rumore delle grandine!» gridò Delanna.

«Ma come hanno fatto a sentirlo in mezzo a tutto questo baccano?» le gridò di rimando Sonny.

Delanna gli passò tutti i sacchi tranne uno, che tenne aperto, avanzando lentamente verso le oche, che starnazzarono e arretrarono ancora di più.

Sonny le afferrò di nuovo un braccio. «Penso di avere scoperto quale sia il problema!» gridò e indicò l’angolo opposto, dove stavano le pentole di cibo e l’unità di riscaldamento a energia solare.

Aggrappata disperatamente all’unità, e apparentemente terrorizzata quasi quanto le oche, c’era una scimmia incendiaria. Ma è Ragazzone! pensò Delanna, anche se la scimmia era tanto rannicchiata su se stessa che era difficile esserne sicuri. La pelle della creatura sembrava pallida e chiazzata.

«Pensavo che avessi detto che tutte le scimmie incendiarie erano nella sorgente termale!» gridò Delanna a Sonny.

«Ragazzone deve essere tornato indietro per qualche motivo.»

Cleo, pensò Delanna. La scimmia era tornata per prendere il suo giocattolo preferito ed era stata sorpresa dal temporale: un fenomeno atmosferico potenzialmente mortale per una creatura a sangue freddo come una scimmia incendiaria.

«Dobbiamo tentare di portarlo alla sorgente?» chiese Delanna in tono dubbioso.

Sonny scosse la testa. «È troppo lontana. Non ce la farebbe mai. Il colore biancastro della pelle significa che sta già congelando. Che ne dici del capanno?»

«Ma lì dentro non c’è nessuna unità di riscaldamento,» gli ricordò Delanna. E Ragazzone non poteva neppure rimanere nel pollaio: le oche sarebbero morte di paura. «Allora sarà meglio portarlo in casa,» propose Delanna e provò molta sorpresa, e uno strano senso di calore, quando Sonny le rivolse un’occhiata di profondo apprezzamento.

Ma anche quel calore non sarebbe riuscito a riscaldarla a sufficienza da evitarle di congelare, se fossero rimasti fuori ancora un po’. «Andiamo, Ragazzone,» affermò Delanna, avvicinandosi alla scimmia. «Andiamo dove fa caldo.» Toccò la zampa della scimmia e poi ritrasse di scatto la mano, allarmata: la zampa era stata dura come pietra e fredda come ghiaccio. «Andiamo,» lo esortò, prendendogli il braccio. «Calore. Fuoco.» La scimmia si strinse ancora di più all’unità di riscaldamento, guardando Delanna con occhi sbarrati per il panico.

Sonny andò dall’altro lato della scimmia. «Andiamo, vecchio mio. Andiamo,» ripeté, poi sollevò di peso la creatura, mettendo un braccio sotto l’ascella della scimmia e l’altro intorno al petto e la portò oltre il cancello, in cortile, ma il Ragazzone si rifiutò di procedere oltre.

Delanna chiuse il cancello e andò dall’altro lato della scimmia per aiutare Sonny, ma Ragazzone agitò con violenza il braccio per tenerla lontana e roteò gli occhi per la paura.

«Non ci conosce!» gridò Sonny, lottando per evitare che fuggisse.

Delanna si tolse il cappuccio. «Guarda, Ragazzone, sono io,» disse, tendendo una ciocca di capelli rossi verso la scimmia. «Vedi. Fuoco. Calore.»

Ragazzone non tentò di afferrare i capelli, si limitò a fissarli con aria stolida, ma quando Delanna gli poggiò la mano sul gomito, non oppose più alcuna resistenza. Iniziarono ad attraversare il cortile.

Non era più una palude. Ormai era un lago, su cui galleggiavano piccole lastre di ghiaccio. Ma non c’era tempo per tentare di girargli intorno, come avevano fatto all’andata. Procedettero fino a quando l’acqua non arrivò al bordo superiore degli stivali di Sonny, e oltre. L’acqua era fredda come il ghiaccio e fece scorrere un brivido lungo la schiena di Delanna. Sonny iniziò a battere i denti.

Ragazzone non diede alcun segno di provare il morso del freddo, neppure quando, a metà strada, si udì un forte scoppio di tuono e la grandine iniziò a cadere nel lago, mischiata a gocce di pioggia pungenti come aghi. Ma la sua andatura rallentò e divenne più rigida; quando arrivarono alla casa, Sonny e Delanna stavano praticamente sorreggendolo.

Delanna lasciò Sonny a sostenere la scimmia e aprì la porta, urtando Cleo nel farlo. Lo scarabeo si precipitò fuori ed era quasi riuscito ad attraversare metà del portico quando Delanna riuscì a bloccarlo. «Oh, no, non andrai fuori!» esclamò, afferrando una delle zampe anteriori di Cleo e appoggiandosi alla porta aperta per fare passare Sonny e Ragazzone.

Sonny portò in casa la scimmia un po’ sorreggendola, un po’ trascinandola e la depose sul pavimento davanti al fuoco; Delanna spinse Cleo di nuovo in camera da letto. «Ma cosa credi di fare?» la rimproverò. «Vuoi farti uccidere? Lì fuori sta grandinando!»

Ed era davvero così, senza gocce di pioggia. Vi furono altri due tuoni e poi si udì il forte crepitio della grandine sul tetto. «Rimani qui dentro, oppure ti metto nel baule di mamma.»

Chiuse la porta e la bloccò mettendole davanti una cassa di ambrosia vuota, dicendo, senza girarsi, «Siamo tornati dentro appena in tempo. Come sta Ragazzone?»

Sonny era sparito. Delanna corse alla porta e la aprì, ma, oltre il portico, la visibilità era quasi nulla. Dall’alto piovevano chicchi di grandine grandi come ciottoli, che rimbalzavano sul terreno e sui cespugli e cadevano nelle pozze d’acqua sollevando alti spruzzi. «Sonny!» gridò. «Sonny!»

Cleo stava graffiando la porta della camera da letto e Ragazzone, accasciato davanti al fuoco, sembrava mezzo morto. Delanna esitò, mordendosi il labbro, poi abbassò il cappuccio sui capelli bagnati, uscì dalla porta…