«Io voglio davvero rimanere,» mormorò, poi si addormentò anche lei.
Quando si svegliò, nella stanza era buio pesto e faceva freddo. Si chiese se fosse stato il freddo a svegliarla, poi si rese conto che era stato il silenzio: il frastuono della pioggia, della grandine e del vento era cessato; l’unico rumore era il fievole crepitio della radio.
Il fuoco era quasi spento: erano rimasti solo un po’ di tizzoni rossastri e Ragazzone ormai ci dormiva praticamente dentro, il braccio avvolto strettamente intorno a Cleo. Delanna scivolò da sotto le coperte con delicatezza, in modo da non svegliare Sonny, poi si alzò. Il fuoco non emetteva abbastanza luce per permetterle di vedere dove metteva i piedi e Delanna era sicura che sarebbe inciampata nella pila di ciocchi, nel piede di Sonny o in quello di Ragazzone, oppure in tutte e tre le cose, se non avesse fatto un po’ di luce. Si avvicinò silenziosamente alla finestra e aprì i battenti.
Era quasi mattina, il cielo era di un tenue grigio lavanda, con alcuni resti di nuvole. Nel cortile c’erano un paio di pozze d’acqua che riflettevano il cielo pallido e terso e un paio di stelle luccicanti. L’aria aveva un profumo celestiale: era la fragranza dei fiori degli arbusti balla e dei fior-di-rosa; se non fosse stato per lo strato di grandine bianca sul portico e un cespuglio reddsie appiattito, che si contorceva ancora, Delanna avrebbe potuto pensare di star osservando l’alba seguita a un acquazzone primaverile.
Milleflores era bellissimo, perfino dopo un terribile temporale. Non c’era da stupirsi che Sonny lo amasse profondamente.
Anch’io lo amo, pensò, poi disse ad alta voce, «Io voglio rimanere.»
L’aria che entrava dalla finestra era fredda e, dopo un minuto, Delanna chiuse con riluttanza i battenti, lasciandoli leggermente scostati in modo che potesse vedere dove metteva i piedi e andò a riattizzare il fuoco.
Ragazzone era ancora sdraiato di fronte al focolare, la schiena vicina ai tizzoni, le braccia che stringevano Cleo. Russava sommessamente. Delanna tentò di spostarlo di lato, ma era troppo pesante. Dovette scavalcarlo per arrivare alla legna e poi rimanere a piedi nudi nella cenere per riattizzare il fuoco.
Le fiamme iniziarono a crepitare allegramente e Delanna si alzò e rimase a osservarle per qualche istante, fino a quando le dita dei piedi non iniziarono a sentire troppo caldo. La radio crepitava: lievi scariche di statica che significavano che il temporale stava ancora infuriando da qualche parte. Scavalcò di nuovo Ragazzone, andò alla radio e la spense, poi tornò al suo giaciglio improvvisato.
Sonny si era girato su un fianco e, nel farlo, aveva calciato via le coperte. Dormiva scomposto come un bambino e la testa e il petto avevano assunto un colore soffuso nella luce rossastra del fuoco. Il piede di Delanna urtò la bottiglia di ceramica di ambrosia, che cadde con un tonfo, ma Sonny non si svegliò. Era come se lui, come se tutti loro — anche Ragazzone e Cleo — fossero sotto un incantesimo, un incantesimo di calore e di silenzio alla luce incerta dell’alba, e nulla potesse svegliarli.
Delanna ricoprì le spalle di Sonny con le coperte, strisciò accanto a lui e si addormentò immediatamente.
Quando si svegliò di nuovo, il sole filtrava attraverso lo spiraglio nei battenti e in lunghi raggi obliqui tra le assicelle. Si udì un terribile frastuono martellante e Delanna, ancora assonnata, pensò che fosse iniziato di nuovo a grandinare, ma poi si rese conto che neppure una grandinata di palle di cannone avrebbe potuto provocare un baccano del genere.
Ragazzone era impegnato alternativamente a tirare la porta e a battere i pugni su di essa, nel tentativo di aprirla. Cleo lo stava aiutando, tentando di togliere il chiavistello con le unghie. Nessuno dei due stava avendo il minimo successo.
Né era probabile che lo ottenessero, poiché la sbarra era ancora al suo posto e immaginare il modo di toglierla evidentemente non faceva parte dei talenti di una scimmia incendiaria.
Dovrei farli uscire, pensò pigramente Delanna. Prima che Ragazzone dia fuoco alla porta. Ma era troppo assonnata per muoversi, stava troppo comoda.
Era rannicchiata contro Sonny, il suo braccio era sul suo corpo. Sollevò leggermente la testa per guardarlo. Dormiva ancora, la bocca aperta e il respiro regolare. Non dormirà a lungo, pensò. Questo baccano sveglierebbe anche i morti.
Ma fino a quando Sonny non si sarebbe svegliato, lei voleva rimanere dov’era, rumore o non rumore. Poggiò indietro la testa e si sistemò nella curva formata dal braccio di Sonny. Chiuse gli occhi.
Vi fu un grugnito e il tonfo di qualcosa di pesante che colpiva il pavimento, il che significava che Ragazzone doveva avere capito come funzionava la porta. E questo significava probabilmente che, da ora in poi, nessun fienile o capanno o recinto di oche sarebbero più stati al sicuro dalle scimmie incendiarie. Delanna aprì gli occhi, improvvisamente preoccupata di avere provocato un’improvvisa rivoluzione tecnologica nella specie delle scimmie incendiarie.
Sonny la stava guardando. Era poggiato su un gomito e la coperta gli lasciava scoperto il petto. I suoi capelli neri erano in disordine, come quelli di un ragazzino, ma, con gli occhi aperti, non ne aveva assolutamente l’aria.
«Buon giorno,» la salutò. «I bambini sono usciti a giocare.»
«Anche Cleo?» chiese Delanna, facendo un gesto per alzarsi.
Il suo braccio si strinse intorno a lei. «Anche Cleo. Non preoccuparti. Il temporale è finito.» Inclinò la testa verso la porta. «E sembra che non si siano allontanati di molto.» Le rivolse un sorriso.
All’esterno, vi furono altri grugniti, un rumore di spruzzi e uno strillo deliziato di Cleo. Dalla porta aperta provenne anche il fruscio delle foglie e il canto di uno strillone dell’erba. Ma era come se non ci fosse alcun rumore, tranne il battito del cuore di Delanna.
«Ora, per quanto riguarda questa notte,» esordì Sonny, guardandola di nuovo.
Delanna attese che le dicesse che aveva bevuto troppo, che aveva parlato sotto l’effetto dell’ambrosia.
«Ogni parola che ho detto era vera,» affermò Sonny, poi si chinò a baciarla.
Delanna tolse le mani dalle coperte e le avvolse intorno al suo collo. «Anche le mie lo erano,» rispose.
«Bene,» commentò Cadiz dalla soglia, «sembra che siamo arrivati nel momento culminante.»
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Sonny le rivolse il suo tipico sorriso. «È sempre un piacere vederti, Cadiz.»
«Ci scommetto,» replicò la ragazza, battendo il cappello sul montante della porta. «Ma vi rendete conto che, mentre voi eravate al riparo del temporale, le scimmie incendiane hanno saccheggiato questo posto? Se la sono filata con una coperta e adesso la stanno usando come trampolino.»
Delanna si mise a sedere e riuscì a vedere abbastanza dalla finestra per sapere che Cadiz si riferiva a Cleo che rimbalzava in aria mentre quattro scimmie incendiarie reggevano gli angoli della coperta rosa. «Quando ricaveranno un sacco dalla coperta e inizieranno a usarlo per raccogliere le pomarance, allora sapremo con certezza che ci troviamo di fronte a una vera e propria rivoluzione tecnologica.»
«Eh?» esclamò Cadiz.
«Va tutto bene, Cadiz,» la tranquillizzò Sonny. «Non sono venute a rubare. Quella più grande ha trascorso la notte qui con noi. Probabilmente è rimasta impigliata nella coperta quando è andata alla porta.»
«Non sono stata io ad aprire la porta,» commentò Delanna. «L’hai aperta tu?»
Sonny scosse la testa. «È un ragazzo intelligente. Ha preso da sua madre.»
Cadiz aggrottò la fronte. «Non penso che una scimmia incendiaria abbia le referenze necessarie per fungere da accompagnatrice.»