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«Penso che sia una buona idea,» ammise Sonny. «Solo un attimo.» Corse dall’altro lato della strada ed entrò in un bar che sfoggiava un’insegna della Coors Newbeer su cui era disegnata una gorgogliante cascata. Non appena Sonny fu sparito nel locale, le oche diedero il via ai loro assordanti starnazzi.

«Oh, ma chiudete il becco!» sbottò Delanna. Sorprendentemente, le obbedirono. «Ma vi rendete conto che siete le uniche creature che mi stanno a sentire su questo pianeta dimenticato da Dio?» Rimise la sacca sul rimorchio. «Spero che l’avvocato non sia come tutti gli altri abitanti di Keramos; in caso contrario, non riuscirò mai ad avere il mio denaro.»

Un ragazzo apparve sulla soglia del saloon. Sembrava avere circa quattordici anni. «Stai parlando con le oche?» le chiese, poi si girò verso Sonny, che era proprio dietro di lui. «Non mi avevi detto che bisognava anche parlare con loro.»

«Tu devi soltanto tenerle d’occhio, Buck,» rispose Sonny. Saltò giù dal portico e rivolse un cenno a Delanna. «Vieni dentro.»

«Senti,» replicò Delanna, «tu puoi avere tutto il tempo del mondo, ma io no.» Praticamente gridò la parola no, facendo starnazzare di nuovo le oche.

«Be’, ma allora cosa stai aspettando? Vieni dentro.» Si girò verso il ragazzo. «Tu rimani accanto al rimorchio e non lasciare che nessuno disturbi le mie oche.» Rientrò di nuovo nel saloon.

Ma è un vero uomo di Neanderthal! pensò Delanna. Attraversò la strada con andatura furiosa e iniziò a salire gli scalini. Adesso era abbastanza arrabbiata da trascinarlo di peso via dalla sua Watnet o dalla Coors ed esigere che la conducesse direttamente dall’avvocato.

Poggiò il piede sul secondo scalino, ma il tacco della scarpa vi passò attraverso. Afferrandosi a un palo per mantenere l’equilibrio, Delanna abbassò lo sguardo: evidentemente anche gli scalini erano stati costruiti con scatole di liquore perché nel secondo scalino era apparso un foro, provocato dal tacco della scarpa.

Alle sue spalle udì un selvaggio scoppio di risa. Si girò come una furia. Buck era piegato in due e rideva fragorosamente; ovviamente le oche stavano seguendo il suo esempio. «State zitte!» gridò lei. «E tu, Buck o come diavolo ti chiami, se vuoi essere pagato, pensa a tenere d’occhio queste oche come ti è stato ordinato di fare.»

Tirò il piede con forza verso l’alto, ma era rimasto incastrato. Allora si chinò e sciolse i lacci della scarpa, tentando di mantenere l’equilibrio. Questo strappò un’altra risata a Buck, che rise di nuovo quando finalmente Delanna riuscì a sfilare il piede dalla scarpa. Reggendosi in equilibrio su un piede solo, afferrò la scarpa con entrambe le mani e la liberò con uno strattone.

«Dove sei stata?» le chiese Sonny, apparendo sulla soglia. Evidentemente non aveva notato che Delanna indossava solo una scarpa. «Vieni. L’avvocato ci sta aspettando,» la esortò, poi tornò dentro.

Visto che il ragazzino pensava che quello spettacolo fosse incredibilmente divertente, Delanna non voleva certo fornirgli un’altra occasione di divertimento indossando di nuovo la scarpa. Salì saltellando gli ultimi due gradini ed entrò nel saloon. All’interno era così buio che non riuscì a vedere nulla, tranne un insegna al neon della Seagram.

«Benvenuta da Maggie’s, tesoro,» la salutò una donna apparsa dall’oscurità. Era una donna enorme, con una massa disordinata di capelli tenuta al suo posto da un fiore. Indossava pantaloni con gli orli rovesciati, una camicia a fiori come quella di Sonny e una collana luccicante. «Vieni a bere qualcosa. Cosa desideri?»

«Nulla, grazie,» rispose Delanna, tentando di sottrarsi alla mano che la donna le aveva poggiato sulla spalla. «Sto cercando Sonny Tanner. Doveva…»

«È qui, ti sta aspettando,» la interruppe la donna, precedendo Delanna verso un bancone fatto di scatole di liquore impilate una sull’altra; evidentemente erano l’unico materiale di costruzione disponibile su Keramos. Allungando una mano dietro le scatole, la donna prese tre grandi tazze di ceramica e una bottiglia marrone. «Che te ne sembra di Grassedge finora?»

Delanna provò l’improvviso impulso di colpire la donna con la scarpa che stringeva ancora in mano. «Non mi piace,» rispose, fissando infuriata Sonny, che stava iniziando a distinguere nella penombra. «Voglio vedere l’avvocato in questo istante,» gli sibilò, «e poi voglio lasciare questa palla di fango di pianeta.»

«Stai già vedendo l’avvocato,» replicò Sonny. «Maggie Barlow, questa è la figlia di Serena. Delanna, questa è Maggie Barlow, l’avvocato.»

«L’avrei riconosciuta ovunque,» affermò Maggie, senza neppure stringere gli occhi nella penombra. «Anche se non l’ho vista da quando era alta come uno stelo d’erba. Allora era una cosina molto graziosa.»

«Lei è Margaret Barlow,» mormorò Delanna in tono incredulo. Aveva l’impressione di stare vivendo in un incubo. Aveva immaginato l’avvocato come un avamposto di sanità mentale su quel pianeta selvaggio, e invece eccola lì, appoggiata al bancone mentre beveva ambrosia.

«Certo che sono io,» replicò Maggie. «Vuoi qualcosa da bere? Hai provato la nostra ambrosia?»

«No, grazie.»

«Immagino che tu sia ansiosa di concludere l’affare,» proseguì Maggie, assumendo un tono quasi da avvocato, «dunque perché non venite sul retro, nel mio ufficio, dove potremo dare un’occhiata al testamento?»

«Mi piacerebbe risolvere tutte le formalità il più in fretta possibile,» affermò Delanna. «Devo assolutamente prendere la navetta che parte domani mattina.»

Maggie fissò Sonny. «Quanto le hai detto sulla faccenda?» gli chiese.

«Sei tu l’avvocato. Pensavo che saresti riuscita a spiegarle meglio come stanno le cose.»

«E così non le hai detto nulla?»

Sonny si agitò a disagio sotto quello sguardo di rimprovero fino a quando Maggie prese la bottiglia marrone. «Penso che faresti meglio a bere un po’ di ambrosia, Delanna,» le consigliò, versando un liquido dorato dalle sfumature rossastre in una delle tazze di ceramica. «Ti renderà le cose un tantino più facili.»

«No, grazie,» rispose in tono fermo Delanna. «Andiamo nel suo ufficio?»

«Ma certo, tesoro,» rispose Maggie e fece loro strada verso il retro del bar, portando con sé la bottiglia e le tazze.

Ormai Delanna aveva rinunciato alla speranza che l’ufficio avesse l’aria di un ufficio e che il testamento e tutti gli altri documenti fossero conservati ordinatamente in una cartellina. Sarebbe stata felice se la stanza avesse almeno avuto una lampadina. Ce l’aveva, oltre a due tavoli ricoperti di panno verde e a un terminale vega.

Maggie poggiò le tazze e la bottiglia su uno dei tavoli coperti di feltro e frugò in una cassetta di birra. Delanna si sedette su una sedia dallo schienale dritto e si infilò la scarpa. Sonny si sedette a due sedie di distanza da lei e fissò il tavolo: apparentemente era impegnato a studiare i cerchi lasciati sul feltro da numerose bottiglie di birra.

Meraviglia delle meraviglie, Maggie estrasse dalla cassetta un fascicolo ordinato. Poi, sedendosi, inforcò un paio di occhiali dalla montatura rosa e scrutò Delanna. L’effetto fu quasi rassicurante. «Cosa sai di Milleflores Lanzye, Delanna?»

«So che metà di esso apparteneva a mia madre,» rispose Delanna, decisa a iniziare con il piede giusto, «e che lei l’ha lasciata a me. Le ho scritto che intendevo venderla.»

Dietro gli occhiali rosa, Maggie sembrava preoccupata. «Ha avuto la mia lettera, vero?» le chiese Delanna in tono ansioso.

«Sì, l’ho avuta.» L’avvocato osservò Sonny, impegnato a seguire con un dito il contorno di uno dei cerchi lasciati dalle bottiglie di birra.

«Be’, allora è riuscita a vendere la mia metà, vero? Mi ci sono voluti quasi tre mesi per arrivare qui. Senza dubbio in tutto questo tempo sarà riuscita a trovare un acquirente.»