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Ben Bova

THX 1138

1

— Devo prendere qualcosa di forte.

L’osservatore corrugò la fronte davanti all’immagine sullo schermo, che risultava alquanto deformata. Riusciva a stento a distinguere la faccia dell’uomo.

— Cosa c’è che non va? — chiese.

— Niente. Niente di preciso. È che sento… sento il bisogno di prendere qualcosa di forte.

Sul pannello dell’osservatore c’erano cinquanta schermi che richiedevano tutti attenzione. La testa pulsava. Disse all’uomo: — Se avete problemi, non esitate a chiedere aiuto. Chiamate il tre quattro otto otto cinque tre… E toglietevi dai piedi!

— Sì, grazie, cercherò di rimettermi in sesto — disse THX 1138. Rimase in piedi davanti all’armadietto dei medicinali. Sentiva che l’osservatore non lo stava più guardando. Prese due pillole da un flacone, poi lo rimise a posto.

Ingoiò le pillole, tornò nell’olostanza e sedette nella comoda poltrona da riposo. Come sempre, indossava l’ampio pigiama bianco. Aveva la testa rasata, come tutti. Si rannicchiò in posizione fetale e, col dito in bocca e gli occhi vitrei, si mise a guardare.

Guardò i tre poliziotti picchiare il vecchio. Ascoltò il fischio delle lunghe sbarre d’acciaio che colpivano la carne, lacerando i vasi sanguigni, squarciando la pelle e spezzando le ossa. Il vecchio era ancora vivo: a ogni colpo emetteva un gemito.

THX 1138, mentre guardava, sentiva che le pillole cominciavano a avere un effetto calmante. Senti da qualche parte una voce femminile che diceva: — Per risultati più rapidi usate il nuovo codice D nella vostra scheda di Controllo. Grazie.

Annuì e continuò a guardare. La stanza era illuminata da una debole e cupa luce rossa, ma l’oloimmagine era luminosa e nitida. THX guardò i poliziotti, che erano d’acciaio come le loro sbarre. Robot. Ma il vecchio era. vero. Piangeva. Sanguinava.

La porta dell’olostanza si aprì. Non ci badò.

— THX?

— No. Dopo…

— Ma…

Mise le ginocchia sotto il mento. Lei stava sulla porta e lo guardò a lungo. Ogni volta che le sbarre colpivano, sussultava. Chiuse lentamente la porta.

Secondo la società sotterranea si chiamava LUH 3417: aveva vent’anni, era magra e bella. Una piccolissima «S» rossa le marchiava la guancia sinistra. Con la testa rasata la sua faccia aveva un’aria infantile e innocente.

Rimase in piedi nel piccolo atrio appena fuori dell’olostanza, anch’esso debolmente illuminato; indossava come tutti il pigiama bianco. Era un bell’appartamento, tre stanze bianche e funzionali. E l’olostanza. Al livello più basso della città, sicuro e protetto, vicino al calore del cuore della Terra. «Protetto da che?» si chiedeva. LUH. Fece i quattro passi che la separavano dal bagno, uno stanzino in acciaio lucido, con la doccia, la maschera depilatoria, il lavandino e l’armadietto dei medicinali. Si guardò allo specchio senza badare ad altro che alla «S» sulla guancia. Adesso era molto piccola, minuscola. «Me ne metteranno un’altra quando avrò ventun, anni?»

Aprì l’armadietto, ma poi esitò.

— Cosa c’è che non va? — chiese la voce maschile di un osservatore.

Lei d’istinto prese il flacone che THX aveva usato poco prima. — Niente — disse. — Lo rimetterò a posto dopo. — Chiuse in fretta l’armadietto. Tirò fuori una manciata di pillole, le mise in bocca e rimase immobile per un istante, poi si chinò e le sputò nel water. Vuotò nel water tutto il contenuto del flacone.

«Dopotutto» si disse, «come possono sapere? Come possono scoprirlo? Le medicine non funzionano nemmeno, con i nati-naturalmente.»

Si sentiva su di giri, quasi felice, con un delizioso senso di colpa («le pillole sono per il tuo bene, bimba»). Uscì dal bagno e tornò alla porta dell’olostanza. Si sentiva ancora il rumore dei colpi, ma adesso si erano aggiunti dei gemiti ovattati. Li conosceva bene. Era THX. Il suo entusiasmo svanì. Sapeva quello che lui stava facendo.

Aprì piano, riluttante, la porta dell’olostanza, quel tanto che bastava per vedere THX. Respirava forte, gemeva dolcemente, con gli occhi fissi sull’immagine, e il corpo gli si scuoteva spasmodicamente. LUH guardò: nell’immagine stavano picchiando una ragazza nuda; implorava in silenzio pietà, ma loro continuavano a picchiarla. Un poliziotto la afferrò per i polsi mettendola in ginocchio e gli altri la colpirono con calci nel la pancia e nelle costole. Tutto al rallentatore. A ogni colpo i seni si scuotevano. Un pugno d’acciaio in faccia le fece vomitare sangue.

THX si stava masturbando. Lo sperma veniva raccolto da un ricettacolo di plastica incorporato nella poltrona e fluiva poi via attraverso un condotto. Tenete l’appartamento pulito. Conservate lo sperma per lo stato.

LUH chiuse la porta con mano tremante. Perché tutto ciò le dava fastidio? Gli stimoli che riceveva dall’oloimmagine erano così diversi… Perché voleva…

Si accorse di piangere. Se l’avessero vista! Con un brivido, fece uno sforzo per riprendere il controllo. Andò in cucina. Doveva fare qualcosa, tenersi occupata. Premette il bottone del menu sulla parete e sullo schermo si susseguì una serie di oloimmagini dei possibili pasti. Premette ancora il bottone appena vide il piatto preferito di THX. Naturalmente erano tutte cose sintetiche, ma la pietanza alle proteine aveva l’aspetto di carne vera. Il pulsante s’illuminò di blu segno che l’ordine era stato ricevuto. LUH aspettò il suono che annunciava l’arrivo del pasto dalla cucina. Quando arrivò, aprì lo sportello della cucina per accertarsi che fosse proprio il piatto che aveva ordinato.

Non lo era. Doveva essere stata troppo lenta nella selezione, o forse il meccanismo si era bloccato un’altra volta. Ma ormai non c’era modo di respingere il cibo. Bisognava consumarlo. Chiuse lo sportello e premette uno dei tre bottoni che c’erano sopra. Una luce rossa segnalò che il pasto sarebbe stato pronto in cinque minuti.

LUH tornò all’olostanza. Esitò un attimo, poi sospirando si avvicinò a THX. Era seduto. La voce vellutata di un altoparlante si diffondeva dappertutto.

— … nello sforzo costante di perfezionamento negli AIA PB ottocentoquarantotto, che sono stati costruiti quest’anno.

— Cinque criminali sono stati catturati mentre fuggivano dal Centro Riabilitazione DD due. Tutti e cinque erano dentro per evasione da medicinali. Di essi, due erano nati dall’atto sessuale, gli altri tre…

— Cosa? — chiese involontariamente LUH.

L’oloimmagine guizzò un attimo, poi lo speaker ripeté: — Due di essi erano nati dall’atto sessuale, gli altri tre dalla Riproclinica diciannove. I cinque sono fuggiti dal Campo cinquecentoquarantacinque e sono stati distrutti al momento della cattura. I rapporti indicano…

LUH toccò la spalla di THX. — Ti ho preparato la cena.

— Non ho fame.

Ora che parlavano, la voce dello speaker era passata automaticamente a un livello tale da essere captata solo dall’inconscio.

— Be’, ormai ho preparato. Su, vieni a mangiare.

— Non ne ho voglia.

LUH disse, impaziente: — Andrà a male se non la mangi. Dài…

Lui si voltò a guardarla. — Insomma, cos’hai?

— Non puoi uscire da questa stanza e stare un po’ con me?

— Ti vedo tutti i giorni.

Lei fece per rispondere, ma cambiò idea e uscì dalla stanza. THX le diede un’occhiata mentre si chiudeva la porta alle spalle. Seccato, si alzò e la seguì.

— Che cos’hai? — disse.

Lei scosse la testa. — Niente. Su, che ti prendo la cena.

— Va bene. Mangiamo nell’olostanza, però. Il notiziario è ormai finito e gli show cominciano subito.

Lei si mise a sedere nella poltrona accanto a lui e guardò i manichini color carne che saltellavano sullo sfondo di risate registrate. Lui si stupì che LUH avesse voluto sedersi sulla stessa poltrona, facendo si che i loro corpi si toccassero.