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L’altro robopoliziotto si fece avanti e toccò THX con la sua sbarra. Delicatamente.

L’elettricità passò fulminante per ogni nervo del suo corpo. THX si sentì sprofondare nel buio.

9

Era seduto con la schiena eretta. Cercò per un pezzo di mettere a fuoco le cose, ma poi si rese conto che gli occhi non andavano a fuoco perché non c’era niente, li.

Era pulito, con vestiti nuovi, e si trovava in uno spazio infinito, informe e bianco. Un bianco da clinica, senza odori né suoni, senza ombre né orizzonti. Solo lui, e questo limbo bianco.

Si sentì invadere da un brivido incontrollabile. Si rannicchiò in posizione fetale, cercando di proteggersi contro il vuoto che lo circondava. Cominciò a sentirsi stanco. Chiuse gli occhi. Si addormentò.

Fu svegliato da un suono di voci. Non capiva da dove venissero. Non riusciva a sentire cosa dicessero: era come il chiacchierio degli ordini e delle istruzioni che venivano diffusi dagli altoparlanti, nella città. THX si sentì un po’ rassicurato. Almeno era qualcosa di familiare.

Si addormentò ancora.

Questa volta fu svegliato da un rumore di passi. Si alzò in piedi e si guardò intorno per vedere da dove provenissero. Niente. Ma i passi si facevano più forti. Solidi, pesanti, sostenuti. Si voltò. C’era un robopoliziotto con in mano il manganello elettrico. THX indietreggiò. Ma comparve un altro poliziotto, e poi ancora un altro. Cercò di sottrarsi loro: ormai conosceva l’effetto delle sbarre.

I tre lo circondavano. Erano identici e armati nello stesso modo. THX si mise a correre in cerchio: loro si disposero attorno a lui, chiudendogli ogni via d’uscita. THX correva come un animale in gabbia, cercando inutilmente un’apertura in quel nulla; corse finché sentì le gambe cedere, gli occhi offuscati, i polmoni quasi scoppiare.

Crollò a terra. I robopoliziotti scomparvero dietro una luce azzurrognola.

Ansimante, madido di sudore, THX si guardò intorno. Era di nuovo solo, solo in quel biancore vuoto. «Cos’è peggio?» si domandò.

Poi sentì ancora delle voci, che Questa volta riusciva a distinguere.

— Aumentate.

— No. Ecco, mantenetelo così.

— Audio.

— C’è già.

— Non riesco a sentirlo.

«Stanno parlando di me!»

— … collegamento con la corteccia, probabilmente provvisorio. Prima che denunciate un eventuale cattivo funzionamento delle attrezzature, vogliamo controllare il soggetto?

— Categoria stress.

— Esatto. Origine?

— Nascita naturale? Da atto sessuale? Non è registrato qui.

— Violazione?

— Evasione da medicinali con…

— Triplicate il tre! Triplicate il tre! Ehi, fate piano, là!

THX, seduto sul pavimento, ascoltava, cercando inutilmente con gli occhi qualcosa o qualcuno.

— Una caduta del tono nervoso di meno di duemila con conseguente perdita di più di trecentocinquanta dal momento dell’ammissione possono indicare…?

— Collegamento permanente della corteccia.

— Esatto.

— Non è affatto un buon soggetto. Limitato. È uno spreco usare tutte queste apparecchiature per lui, Ehi! Guardate!

— Uhm. Cosa ne dite?

— Mah. Mandiamolo all’organalisi.

— Trasferimento.

Silenzio. Poi THX sentì un altro suono, un’unica nota dolce, che martellava quasi impercettibile. Ascoltò, drizzò le orecchie per sentirla meglio. Non capiva perché, ma le palpebre gli diventavano pesanti. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Era… Si addormentò.

Si svegliò e cercò di urlare. Ma non poteva aprire la bocca. Non si poteva muovere. Nemmeno muovere gli occhi. Era completamente paralizzato, steso su qualcosa di duro, con davanti un’enorme luce bianca che lo guardava coi suo occhio spietato.

Riusciva a vedere, a sentire, a udire le proprie pulsazioni nelle orecchie. Ma non poteva muovere di sua volontà un singolo muscolo. E nemmeno la lingua.

Aveva la bocca secchissima. Per un pezzo, cercò disperatamente di udire qualcosa che non fosse il battito del proprio cuore. E finalmente ci riuscì: un ronzio elettrico, debolissimo ma fastidioso.

Si vide comparire davanti un lucente braccio metallico che teneva un batuffolo di bambagia. Sentì qualcosa di soffice e freddo sfregargli un bicipite. Il primo braccio metallico si ritirò. Ne comparve un altro, o forse era sempre lo stesso, questa volta con una siringa ipodermica. THX sentì l’ago entrargli nella carne; e poi altri aghi, in tutte e due le braccia.

Continuava a udire il ronzio di motori elettrici, come insetti metallici che lo incalzassero senza tregua. Gli fu inserito un tubicino in una narice. Una morbida morsa di plastica, da chirurgo, venne a serrargli la bocca. Guardò un liquido rosa fluire gorgogliando nel tubo, fino al suo corpo.

Il liquido si arrestò e una piccola morsa gli sigillò la narice libera. Ora attraverso il tubo veniva pompata dell’aria. Il torace gli si gonfiò, di più, di più, sempre di più. Si sentì invadere dal panico. La pompa si fermò, la bocca fu liberata dalla morsa, e THX emise un doloroso, tremendo respiro. Poi tutto ricominciò di nuovo.

Andò avanti così per ore. Fili nel petto. Spilli messi in modo strano che gli pungevano l’addome. Dolore, luci, iniezioni, sangue succhiato da vampiri meccanici, nervi investiti da impulsi elettrici. Cellule fotoelettriche indagatrici sull’estremità di antenne fibreottiche che lo fissavano negli occhi da pochi millimetri di distanza. Gli accelerarono il cuore, glielo rallentarono, gli fecero contrarre dolorosamente e spasmodicamente i muscoli delle gambe, gli analizzarono l’urina, lo masturbarono analizzandogli lo sperma.

Da qualche parte nella vasta città sotterranea un computer scrisse:

1138, THX

Diagnosi: soggetto compatibile, tipo A-5

Ritmo vitale: Eccellente

Eccezioni: Rene sinistro (vedere indice dettagliato 24921).

Si risvegliò nell’informe limbo bianco, al suono di passi, e balzò in piedi. Ma non era il passo pesante dei robopoliziotti. Erano passi leggeri, esitanti.

Era impossibile, in quell’ambiente, valutare le distanze. C’era una figura che non riusciva a distinguere bene perché portava il solito pigiama standard, THX guardò la sagoma avvicinarsi. Sembrava LUH!

«Non può essere» si disse. «No!»

Ma avrebbe voluto che fosse lei. Poi pensò che se lo era, significava che era prigioniera anche lei, e che dovevano averle fatto le stesse cose che avevano fatto a lui. A questo pensiero s’infuriò e desiderò e sperò che non fosse lei.

— LUH? — si accorse di dire, con voce supplichevole.

Lei si precipitò verso di lui, nelle sue braccia.

— Sei vera? Sei davvero tu?

Si baciarono e si strinsero forte uno all’altra.

— Stai bene? — chiese lei, guardandolo preoccupata.

— Che cosa ti hanno fatto? — disse THX.

Lo fissò a lungo senza parlare, poi disse: — Avrò un bambino.

A THX sembrò di essere investito di nuovo dalla scossa elettrica. — No, no, no…

— Tienimi stretta — lo pregò LUH. — Tienimi stretta.

La circondò con le braccia, mentre la mente gli vagava nei selvaggi abissi del senso di colpa. — È la fine.

— Non ho paura — disse lei, calma. — Non ho paura.

— Ma è un male. E che male! Cos’abbiamo fatto…

Sentì che le forze gli andavano via. Scivolò a terra, singhiozzando. — Io non volevo. Com’è potuto succedere? Ti amo, e ti ho fatto questo…

Lei gli s’inginocchiò vicino e lo abbracciò. — Devi essere forte. Avrai un figlio.

Il Controllore tamburellò con le dita, mentre guardava THX e LUH abbracciarsi, spogliarsi, fare l’amore. Sull’enorme schermo apparivano più grandi che al naturale e il suo ufficio tranquilla e confortevole era riempito dal suono dei loro sussurri, dei loro sospiri, della loro passione.