Intervenne SEN: — Ho già detto molte volte, e penso che dovrò ancora ripeterlo, che…
— Dal punto di vista economico… — riprese DWY. Ma PTO continuò: — r — enormemente più spaventoso «credere» di stare per essere distrutti che «essere» effettivamente distrutti. Molti di noi sono sull’orlo dell’isterismo. Bisogna trovare un rimedio.
— Di cosa stai parlando? — disse SEN. — Da quant’è che non dormi? Lo sai qual è il problema invece? È che sei stupido, sei cieco. È da tanto tempo che sei qui che non capisci quello che succede. Dobbiamo unirci. — Strinse le mani, — Abbiamo bisogno di «unità». E di «azione». Siamo arrivati a un punto che dobbiamo…
— Unirci! — disse DWY.
SEN si voltò verso di lui e gli fece un cenno. DWY si avvicinò. SEN gli parlò all’orecchio. — Senti — disse — perché non vai a dare una mano a TWA? È molto più interessante di noi due.
DWY si drizzò: era un po’ sorpreso, un po’ depresso per esser stato respinto dal suo leader. Fece qualche passo indietro, poi andò da TWA, il cieco, che camminava su e giù fra i letti con le mani tese come antenne di insetti.
PTO guardò DWY con paterna preoccupazione. Poi, rivolto di nuovo a SEN, riprese la discussione: — Afferrare l’essenza della nostra situazione qui non è un atto di intuizione, ma un sottile processo logico. L’intuizione si fa irretire dalla paura e dal terrore, mentre l’intelligenza logica no.
THX, dal suo letto, li guardava. SEN pareva esasperato, mentre il vecchio sembrava divertirsi.
SEN disse: — Io ho sempre notato certe qualità di carattere e sensibilità nelle persone più isolate, qualità che diventano doppiamente preziose se l’individuo è posto in un ambiente pieno di tensione come questo.
— Se si deve imparare qualcosa — disse PTO — la si deve imparare in un’atmosfera di chiarezza e precisione, lontano dalle intrusioni snervanti e debilitanti dell’irrazionale.
THX stava appoggiato sui gomiti. Cominciò a rendersi conto che quei due non discutevano. Erano impegnati in due monologhi separati!
— Quando ti conobbi — proseguì SEN — intuii una qualità profonda in te, che ritenni sarebbe stata importante per te come per noi. Ma ero turbato perché non riuscivo a chiarire quale fosse esattamente questa qualità.
— L’intuizione può sembrare più affascinante perché è intrinsecamente più drammatica — disse PTO.
— Adesso credo di capire che per qualche ragione nemmeno tu lo sai…
— L’intuizione non costringe la mente…
— No, non credo assolutamente…
THX si accorse che TRG lo stava guardando. Guardò in faccia il maniaco che stava, come una montagna ghignante, poco lontano dal suo letto. TRG ridacchiò e si pulì col dorso della mano la saliva dal mento. THX continuò a fissarlo, immobile.
— Cerchi sempre di eludere il vero problema — disse PTO, a voce alta. — Cosa c’è che non va nella nostra condizione? Stiamo bene, abbiamo cibo in abbondanza. Non mi sento assolutamente minacciato perché «non ci sono» minacce. Perché creare problemi? Sono le tue emozioni in realtà che devi esaminare. È insensato…
Un urlo infranse la conversazione.
TRG balzò indietro d’un passo e guardò per vedere da dove veniva l’urlo. THX guardò nella stessa direzione.
Uno degli uomini era sopra IMM e le copriva la bocca con la mano. La camicia era stata tirata giù, e si vedevano i due piccoli seni solcati da una cicatrice livida. TRG si avvicinò all’uomo, che lasciò andare IMM e corse via, inciampando per la fretta. La ragazza si rimise a posto la camicia e se la tenne stretta addosso. TRG si fermò davanti a lei, ma lei non lo guardò, rimase lì sul letto a sedere e a dondolarsi avanti e indietro, in silenzio.
THX tornò a sdraiarsi. La testa gli faceva un male terribile. PTO e SEN ripresero la conversazione come se non fosse successo niente, e continuarono per un pezzo.
Suonò il rintocco del pranzo. THX lo ignorò e cercò di dormire. Ma non riuscì. Continuava a fissare quell’infinito biancore vuoto, così spento e soffocante.
Senti i passi pesanti di un robopoliziotto, e il rumore della sbarra che batteva in terra…
— CAM cinque due cinque quattro — disse il robopoliziotto.
THX si girò e vide un ragazzo di circa quattordici anni dall’aria smarrita e terrorizzata.
TRG si avvicinò al ragazzo, lo guardò bene, poi si mise, a ridere. Il ragazzo tramava. Il robopoliziotto afferrò l’idiota per la collottola. TRG sembrava adesso una povera bambola di stracci. Il robopoliziotto se lo trascinò dietro, finche entrambi scomparvero in lontananza.
«Già» pensò THX, «solo dieci persone possono occupare dieci letti. Per ogni nuovo che arriva, uno deve andare.»
12
Per LUH fu diverso.
Sedeva, sola, in uno spazio completamente buio, troppo piccolo perché ci si potesse stare in piedi. Riusciva solo a stare seduta con le ginocchia sotto il mento. Perse la cognizione del tempo. Dapprima non riusciva a dormire, era troppo terrorizzata per chiudere gli occhi. Poi fu presa dalla fame e dall’esaurimento. Si addormentò.
La svegliarono i crampi della fame. Era debole, indolenzita, con la schiena che le faceva un male terribile. Gambe e braccia formicolavano in modo insopportabile.
Un suono.
No, erano solo i suoi piedi che sfregavano sul pavimento di metallo della cella.
«Distrutta.» L’avrebbero distrutta. Ricordò la faccia dell’avvocato difensore diventare rossa, e la sua espressione piuttosto imbarazzata quando il Pontefice aveva detto — Distrutta.
Stringendosi nelle spalle, il difensore aveva detto: — Ho fatto del mio meglio.
Proprio così. Del suo meglio. La sua vita sarebbe finita. E lui era imbarazzato.
«Era» un suono. Veniva da fuori. Passi. Una voce soffocata. Una risata.
Improvvisamente fu inondata da luci provenienti dall’alto. Chiuse gli occhi che le lacrimarono.
— Su, vieni — le gridò una voce d’uomo. — Non fare la scontrosa.
Lei guardò, ma non riusciva a distinguere la sagoma con tutta quella luce improvvisa.
— Su, allunga le mani. Non farmi fare tutto il lavoro.
Lei ubbidì, e un paio di mani forti afferrarono le sue braccia e la tirarono fuori dalla cella. Era una specie di corridoio stretto, col pavimento pieno di piccoli portelli quadrati: il suo era l’unico aperto.
— Da questa parte.
L’uomo fece un cenno con la mano e le indicò la direzione. LUH camminava lenta, barcollando sulle gambe intorpidite per le lunga immobilità.
Inciampò in uno dei portelli. Stava per cadere, ma l’uomo le circondò la vita con un braccio e la tenne su.
— Così va meglio?
Era un uomo grosso, alto e robusto, coi denti radi. Ora le stava sorridendo, e la sua faccia era così vicina che lei sentiva il suo alito.
— Grazie — balbettò.
Lui rise e continuò a reggerla. In fondo al corridoio aprì una porta e LUH vide una stanza piccola, illuminata di un bianco opaco. Niente mobilio, solo una sedia, al centro. L’unica porta era quella da cui erano entrati.
— Siediti — comandò l’uomo.
Lei andò a sedersi. La sedia era dura e fredda, e voltava le spalle alla porta.
Lei si girò verso di lui e disse: — Che cosa… cosa succederà?
— Lo vedrai.
Con un intimo brivido, LUH cercò di mostrarsi calma, si impose di star lì tranquilla, di tenere la testa eretta e di non guardarsi intorno. Ma le mani, strette sui braccioli, tremavano.
Guardò dritto davanti a sé. Notò che c’era uno scherano sulla parete.
«Distrutta!» Questa parola continuava a risuonarle nella mente. Quando? Come? Forse lì, in quella stanza? Che lui fosse il carnefice?
La porta si aprì. Si girò involontariamente e vide entrare un altro uomo, alto, che la guardò duramente.