«Forse è il mio gruppo, con SEN e PTO e gli altri» pensò. «Forse ho camminato in cerchio.»
Non c’era modo di saperlo. Cercava di camminare il più possibile in linea retta. Anche quando si sdraiava a dormire, cercava di puntare il corpo nella direzione verso cui stava andando. Ma di solito era così scomposto al risveglio che il corpo non indicava più la direzione.
La fame si fece insopportabile. THX sentiva un bruciore costante, le gambe gli cadevano. E vedeva cose.
Con la coda dell’occhio, vedeva strane luci ammiccargli. Quando si girava per guardarle bene, scomparivano.
«La fame produce allucinazioni?» si chiese.
Poi, dal nulla, si sentì la voce di OMM: — Siate benedetto. Perfino qui, in questo regno di criminali confessi e condannati, io sono con voi. Non cercate di sottrarvi al vostro destino. Riposate. Piegate la volontà alle necessità della realtà. Provvederò io. Voi riposate e dormite. Dormite.
La voce registrata doveva essere ipnotica, ma THX continuò a camminare, spinto da una collera feroce.
— Voi siete il responsabile di quello che mi è successo — gridò al vuoto. — Io ero vostro fedele seguace e voi mi avete portato qua. Avete permesso che mi facessero tutto questo. E che lo facessero a lei.
OMM ignorò tranquillamente queste parole. — Perfino qui… Riposate… Dormite.
Quando alla fine si addormentò, i suoi sogni furono pieni della voce di OMM, una voce dura, adesso: — Voi avete peccato grandemente e dovete soffrire per questo. Le masse non staranno in pace finché non avrete pagato per i vostri peccati.
Si vide sul lavoro, al centro montaggio, manovrare i manipolatori. Ma nell’area di montaggio, dall’altra parte della finestra piombata, non c’era un robot. C’era LUH, col corpo aperto che mostrava organi di metallo che splendevano nella luce. E THX vide che non la stava montando, ma smontando.
Si svegliò urlando.
Ai suoi piedi c’erano quattro cubi di cibo. Allungò le mani e li toccò. Erano veri.
— Perfino qui, io provvedo — disse la voce di OMM.
«Perché?» si chiese, raccogliendo un cubo. «Perché nutrono un condannato, uno che stanno per uccidere?»
Gli venne pronta la risposta. «Perché vogliono che alla mia morte il mio corpo sia sano. Vogliono i miei organi.»
Avvicinò il cibo alle labbra. In lontananza, vide di nuovo delle luci ammiccare. Anche guardandole meglio, rimanevano là. Luci rosse e azzurre, intermittenti, come fosse un segnale.
Sentì lo stomaco torcersi. La bocca era secca e impastata. Continuò a tenere il cibo davanti alle labbra, senza inghiottirlo.
«No» si disse. «Continua a digiunare. Lasciati morire di fame. Non dargli quello che vogliono.»
Ma il suo corpo rispose «Se ti possono portare il cibo, te lo possono anche far mangiare. Non fare lo stupido. Mangia adesso, ché tanto ti farebbero mangiare, prima o poi. Non lasceranno andare a male una preziosa collezione di organi».
«Sii forte. Non arrenderti a loro. Anche se il loro potere è schiacciante, non assecondarli. ° Combatti!»
Ma era un argomento perdente. Tenne ancora un po’ il cubo in mano, poi lo morse, e poi li divorò tutti e quattro.
Le luci intermittenti scomparvero.
Lo stomaco gorgogliò, non abituato al cibo. T’HX si alzò e riprese a camminare.
Né voci né luci, adesso. Ma in distanza vide qualcosa: una macchia scura che prendeva a poco a poco forma, una forma umana. Un uomo.
THX affrettò il passo. L’uomo si dirigeva verso di lui. Era alto, e deciso. Era un robot d’acciaio.
Non era un robopoliziotto. La taglia era la stessa, ma questo indossava l’uniforme verde pastello del Controllo.
THX si fermò.
— Non pensate di essere andato troppo lontano? — disse una voce umana, proveniente dal robot.
— No. Voglio uscire.
— Non avete modo di uscire. Lasciate che vi riporti al vostro reparto. — Il robot allungò la mano guantata.
THX indietreggiò. — Troverò una via d’uscita. Non starò qui ad aspettare che mi uccidiate.
— Uccidervi?
— Che mi consumiate. È la stessa cosa.
Se un robot avesse potuto sembrare confuso, questo lo sembrava.
— Chi siete? Fatevi riconoscere.
THX guardò la faccia impassibile del robot e non rispose.
— Aspettate, aspettate — disse la voce umana. — Ecco lo schedario. Siete un criminale. Come siete entrato nell’area dell’ospedale?
— Nell’area dell’ospedale?
— Infrazione. Criminale uno uno tre otto, prefisso THX. Tornate nell’area della prigione. Avete commesso infrazione!
THX rise. — Allora arrestatemi.
— Non muovetevi. Chiamo la polizia. Vi riaccompagneranno nella vostra area.
Ridendo, THX cominciò a camminare.
— Ho detto non muovetevi! Non vi è permesso stare qui…
THX scosse la testa: — Siete pazzo. Perché dovrei star qui ad aspettare la polizia?
Il robot si mise a camminare con lui. — Benissimo, io vi terrò d’occhio finché non arriverà la polizia. Non potete scappare, sapete.
THX si strinse nelle spalle. — Questa è l’area di un ospedale? Dove sono i pazienti?
— Non vedete? — la voce s’arrestò, esitante. — Già, non potete a causa del cibo condizionante, Be’, i pazienti sono qui. I più in stasi criogenica.
— Cosa?
— Non importa. Stanno arrivando due poliziotti. Fra pochi minuti vi prenderanno in consegna.
THX si guardò intorno. Non c’era niente, da nessuna parte.
— Non abbiate paura — disse il robot. — Se non farete resistenza, i poliziotti non vi faranno del male.
— Ma prima o poi mi porteranno via perché io venga consumato.
La voce proveniente dal robot disse: — Se può consolarvi, è quello che succede a tutti, qui.
THX, perplesso, disse: — Mi avevate detto che era un ospedale.
— Sì. Accogliamo malati incurabili e li mettiamo in stasi criogenica. Se possiamo curarli lo facciamo. Se decidiamo che è impossibile curarli, usiamo i loro organi. Prima o poi quelli che vengono qui sono consumati. È un procedimento che risponde all’efficienza economica.
Apparvero i robopoliziotti. THX disse: — Tutti vengono consumati?
— Sì — disse il robot del Controllo. — Ma non deve dispiacervi. Prima o poi dobbiamo andarcene tutti.
— Grazie — disse THX davanti ai robopoliziotti che erano arrivati per prenderlo in consegna.
In pochissimo tempo lo accompagnarono fino a un punto dove a stento si riusciva a distinguere, di tra il biancore vuoto, una macchia scura.
Un robopoliziotto la indicò. — Ecco la vostra area. Andate là e restateci finché non vi faranno chiamare. È l’ultimo avvertimento.
THX avrebbe voluto sputargli addosso, ma non fece niente. I robot rimasero a guardarlo mentre s’incamminava.
Dopo un bel po’ riuscì a distinguere i letti e le persone che gesticolavano. Una di esse, forse il ragazzo, salì sul letto e si mise ad agitare la mano in segno di saluto.
THX continuò a camminare. Gli giunsero le loro voci:
— Si riesce appena a vederlo.
— È libero! Visto? È libero!
— No. Credo stia tornando.
— Non vedo niente. Non riesco a vederlo. L’avranno distrutto.
— Io lo vedo. Torna. Eccolo là.
Finalmente THX fu così vicino che anche PTO lo vide. — Stupido! — gridò il vecchio. — Comportamento assolutamente sconsiderato. Io non sono responsabile.
Ora era così vicino che alcuni gli si fecero intorno.
— Come mai ti sei fermato?
— Faceva freddo?
THX continuò a camminare. SEN era in piedi accanto a un letto, con le gambe divaricate, come un imperatore che osservasse i suoi dominii.
— Aspettate — disse. — Fatemi parlare con lui. So io come si trattano queste cose.
THX gli passò accanto, diretto al proprio letto.
PTO lo guardò da vicino. — Non devi aver paura. Sei di nuovo al sicuro.
DWY andò da SEN. — Dài, chiedigli dell’aria. Sembra che gli manchi il respiro.
SEN annuì e andò al letto di THX. Si sedette vicino a lui e disse: — Bisogna che affrontiamo i fatti, sai? Siamo tornati alla realtà pratica. Io sono un uomo pratico. Bisogna dimenticare il lato personale delle cose.
Dietro SEN, DWY annuiva con forza. THX era stanco morto, così stanco da non sentire più nemmeno la fame. Senza una parola si distese ben bene nel letto.
— A me sembra deficiente — disse DWY.
SEN, seccato, ribatté: — Perché non trovi qualcos’altro da fare?
— Perché non parla? Non ci sente? — DWY si allontanò dal letto. — Io credo che non ne abbia un’idea.
THX provò a dormire. Ma SEN continuava a stargli vicino. E PTO blaterava una lezione di storia a CAM. Sentiva male alle gambe e gli ronzavano le orecchie.
— Voglio aiutarti — disse in un sussurro SEN. — E tu mi puoi aiutare. Ecco, tieni un po’ di cibo.
THX lo guardò. SEN gli porgeva uno dei cubi che era solito ammucchiare. THX lo fissò torvo.
— Capisci — continuò SEN — siamo tutti sulla stessa barca. Ma tu vuoi andartene. Tu non sei come gli altri. Che cos’hai visto là?
THX si voltò dall’altra parte.
— Appena mi avrai fatto una descrizione particolareggiata della barriera, potrò cominciare a delegare le responsabilità. Mi occuperò io di fare uscire tutti di qua incolumi.
«La barriera» pensò THX. «L’unica barriera è la tua stupidità.» Poi rivide con la mente LUH e aggiunse amaramente: «E la mia».
Improvvisamente si sentì uno strillo acuto. THX guardò e vide DWY e CAM lottare sul pavimento vicino al letto di TWA. Continuarono a lottare e urtarono così forte il letto di TWA che questi, dopo essergli quasi caduto addosso, si alzò e tirò via il ragazzo dalla stretta di DWY.
— Mi ha preso il mio cibo! — strillò CAM, cercando di tornare a lottare. — Me l’ha rubato!
DWY teneva in mano un cubo marrone rotto, con gli orli screpolati. Per tutto il pavimento erano sparse le briciole.
TWA si voltò a guardare DWY. — Allora? — disse con tono minaccioso, lasciando andare CAM.
— Cre… credevo fosse il mio — disse piagnucoloso DWY. — Non lo sapevo.
SEN scosse la testa e disse a THX: — Guardali. Sono penosi. Hanno cominciato a frugare anche nel «mio» letto, nelle «mie» cose. Tutto per loro vogliono. Per loro. Dopo tutto il mio risparmiare, il mio digiunare. — Scosse la testa come un missionario deluso.
Poi, con un sospiro, aggiunse: — Ma non li si può nemmeno biasimare, vero? Dobbiamo però trovare qualcosa, qualche motivazione da dargli. In modo che siano indotti a lavorare in squadra.
«Parole» pensò T’HX. «Stupide, insensate parole, Parla solo per sentirsi ascoltare, per sentirsi importante.»
— Quello che conta sono le informazioni — disse SEN. — Dobbiamo ottenere informazioni. So che adesso sei dalla mia parte. Ho qui un contratto.
Sorprendentemente, tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta. — Ecco. — Lo porse a THX. — C’è scritto che tu sei dalla mia parte. Collaboreremo e convinceremo gli altri.
THX avrebbe voluto ridergli in faccia, ma capì che non era il caso di farlo.
SEN teneva il pezzo di carta con mano tremante. Poi, bruscamente, lo rinfilò in tasca.
— Be’ — disse con un sorriso forzato — sarà per un’altra volta.