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THX disse: — Allora non sei un prigioniero? Un condannato?

— Io? No. Sono un ologramma. Un attore. Dovreste avermi visto all’Ora dei Manichini, l’oloshow più popolare della città, almeno secondo l’indice di gradimento del mese scorso.

— Mente — sussurrò SEN a THX. — Oppure è pazzo.

SRT lo sentì e rise. — No, né l’uno né l’altro. Il mio show è stato eliminato. Cancellato. Quel maledetto computer ha fatto un errore e ha messo il mio show ultimo, anziché primo, negli indici di gradimento. Così hanno fatto posto agli altri show, e a noi hanno detto di non tornare finché le cose non si sistemavano. Stavo passeggiando per la città, quando sono capitato qui.

— Impossibile! — sbottò SEN.

SRT scosse la testa e disse — Insomma, c’è un’uscita qui intorno, segnalata da luci intermittenti. Decidete poi voi se crederci o no. lo la cerco. Grazie del cibo.

S’incamminò.

— Aspetta! — gridò THX. — Andiamo insieme. Forse tutti e tre insieme riusciremo a trovarla.

SRT si strinse nelle spalle. — Va bene.

— Ma sta andando dalla parte da dove siamo venuti — protestò SEN.

— Forse giravate in cerchio. Sono abbastanza sicuro che di qua si vada all’uscita.

SEN prese per un braccio THX e gli parlò all’orecchio. — È una spia. Una spia della polizia. Cerca di portarci lontano dalla barriera, di farci tornare dagli altri. È una trappola.

THX continuò a seguire con gli occhi il nero. Aveva un’aria abbastanza amichevole, anche se sembrava un po’ troppo impaziente di andare e un po’ esasperato dal comportamento di SEN.

— Guardate che se non volete venire con me, vado da solo. Per me va sempre bene.

— No — disse THX, d’istinto. — Verremo con te.

SEN borbottò fra sé, guardando il biancore vuoto dove stavano tornando.

Dopo un’ora, SRT si fermò di colpo e indicò. — Ecco là! — gridò.

THX puntò gli occhi nella direzione che il nero mostrava, ma non vide niente.

— Non c’è niente là — disse SEN. — È pazzo.

Ma SRT corse avanti, come se vedesse davvero qualcosa. THX esitò un momento.

— Forza, venite! Eccola qua! — gridò SRT.

Ma THX, benché facesse del suo meglio, continuava a non vedere niente. «Avrebbe voluto» vedere una porta con luci intermittenti. Ma non era così.

— Ti dico io che è una trappola — mormorò SEN.

— Forse — disse THX. Poi, stringendosi nelle spalle, si diresse verso SRT, che era già abbastanza lontano. «Se è una trappola» pensò, «almeno l’avrò fatta finita una volta per tutte.»

17

Gli stava succedendo qualcosa di strano agli occhi. Mentre si avvicinava al nero, THX lo vedeva farsi sempre più grande. Era tutto sorridente e con le mani sui fianchi: nello stesso tempo vedeva il biancore consumarsi, raggrinzirsi e scomparire trasformandosi in grigio.

Tutto stava cambiando, come se una macchina fotografica all’improvviso mettesse a fuoco gli oggetti e questi diventassero da indistinti perfettamente chiari e netti.

C’era una porta, sui cui lati lampeggiavano luci di vari colori! Era inserita in un sostegno di metallo da cui sporgevano nervature con rivetti dentro. THX toccò per sentire se era vera.

— Co… come può essere? — sentì che diceva sbalordito SEN alle sue spalle.

— Devono averci fatto qualcosa alla vista — disse incerto THX. — Qualcosa agli occhi…

— O forse i cubi di cibo sono drogati — suggerì SEN.

— Oppure è ipnosi.

SRT ghignava di gusto. — Vi avevo detto che c’era una porta. Su, usciamo.

Tirò con forza la porta. THX fu investito da un’esplosione di rumore. Si trovavano davanti a una via principale pedonale, con torrenti di persone che correvano pigiate sugli scivoli e sgattaiolavano come topi nella gabbia dello sperimentatore.

— Tenetevi al corrimano, prego. State sulla destra; se volete passare, passate sulla sinistra.

— Chi risparmia tempo risparmia vita.

— Lo stadio intermurale del livello sei quattro due uno sarà aperto sulla serie seicentoventuno TD.

— Solo per oggi, l’ipo-credito potrà essere trasferito con una carta ottimale verde.

Dopo la quiete e la vastità della prigione, quel rumore, quella massa di umanità anonima che si affannava a correre erano spaventosi, tanto che SEN e THX si sentirono sopraffare. SEN si coprì la faccia con le mani. THX si appoggiò all’orlo della porta, con le ginocchia tremanti: quasi quasi era tentato di tornare alla tranquillità della prigione.

«E adesso dove vado?» si chiese. Ma immediatamente sentì arrivargli in mente la risposta. Si stupì di essersi fatto quella domanda.

— Bene — gridò, cercando di coprire il rumore — dirigiamoci verso quella porta, dall’altra parte del corridoio.

Si accorse che SEN stava immobile, con gli occhi spalancati dal terrore. THX lo scosse. — Su, ce l’abbiamo fatta.

— No. Non avremmo dovuto…

THX avvicinò la bocca all’orecchio di SEN e gridò — Vuoi rimanere in prigione finché non verranno a prenderti i poliziotti?

SEN sobbalzò involontariamente, poi si decise e si lanciò in avanti. Fu subito inghiottito dalla folla, che lo trascinò con sé come un pezzetto di carta portato dalle onde.

THX gli corse dietro, assieme a SRT.

— L’abbiamo perso! — gridò THX.

— Cosa?

Un milione di voci borbottavano e blateravano senza tregua. Dagli altoparlanti, i soliti ordini, le solite istruzioni.

— Aiutateci a ridurre i livelli critici di rumore di quest’area. Comunicate tutti i decibel in eccesso di uno virgola cinque.

— Controllo dodici prego.

— Chiamata cibernetica; sei quattro quattro due circuito cinque, collegarsi sul quattordici.

— Lo sviluppo interno avanza di due unità malthusiane. È un indice nuovo per questa serie.

La marea di gente continuava a trascinare THX e SRT lungo il corridoio. Le persone, di solito così silenziose e ubbidienti sui tram, così docili e passive sul lavoro, così imbambolate e informi nelle loro case, qui, nei corridoi gremiti del livello acquisti, si trasformavano in aggrovigliate, frenetiche mandrie di animali dallo sguardo selvaggio. Fare le compere nelle zone commerciali era in fondo i1 loro unico vero sport; sciamare tumultuosamente lungo i corridoi la loro unica avventura.

— Abbiamo perso SEN! — urlò THX a SRT. — Non ci troverà più!

SRT gridò di rimando: — È troppo tardi! Stiamo vicini!

Lottarono in mezzo alla fiumana e avanzarono verso la pareste di fianco del corridoio, centinai di metri più sotto del punto da dove erano entrati. Pesto, ansimante e col mal di testa, THX si appiattì contro la parete di metallo. Era calda per il calore riflesso degli esseri umani. SRT gli fu accanto: era altrettanto stanco, mia meno spaventato.

Dopo alcuni minuti, THX allungò il collo per vedere dov’erano. Non c’erano segnali direzionali in giro, e le pietre miliari colorate gli sembravano strane.

Più avanti di pochi metri, c’era l’entrata di un ascensore che saliva ai livelli superiori. THX accennò con la tenta da quella parte.

— Dove vuoi andare? gridò SRT.

THX, senza rispondere, si diresse verso l’ascensore.

L’osservatore sedeva al suo posto e guardava i suoi cinquanta schermi. Nella cuffia, il solito ronzio:

— Rottura guarnizioni di tenuta. Frammenti di vuoto al ricettacolo quattro quattro quattro. Entrata su area sessantacinque. Mandare investigatore. Il soggetto sembra essere vittima di un suicidio.

— Due detenuti sono fuggiti: agglomerato R, Habot nove due. Mancano dalle ore tre, trentadue primi e sedici secondi. Uno uno tre otto, prefisso THX e cinque due quattro uno, prefisso SEN. Già programmata operazione di recupero. Fatto budget. Fare rapporto al Controllore quando i criminali saranno stati presi.