— Ritrasmettere all’analisi. Ordini ineseguiti in sezione sei uno sette otto otto due uno. Abbiamo perso il contatto con entrambe.
— Gruppo unità quarantuno, riferite a centro correlazione. Gruppo unità quattro uno, ripeto, quattro uno.
— Se il finanziamento prevede incrementi di trentasette o più…
Sconcertato dall’enormità e dalla complessità degli schedari, THX si mise a vagare tra una fila e l’altra senza sapere da dove cominciare.
SRT gli stava al fianco.
— Per che cosa ti hanno messo in prigione? — gli chiese con noncuranza.
THX balbettò: — Evasione da medicinali e, be’, la mia compagna di stanza, lei…
— Oh. — SRT si strinse nelle spalle. — Diavolo, se mettessero in prigione tutti quelli che lo fanno. Perché proprio te?
THX scosse la testa. — Non lo so.
— Su, forza adesso, che non possiamo stare qui per sempre. Chiedi al computer quello che vuoi sapere.
THX mormorò: — Ho… ho paura.
— Cosa? — Poi SRT capì. — Ah, hai paura che chiedendo di lei ti possano individuare qui. È una riflessione intelligente.
— No. — THX non aveva mai pensato una cosa del genere. — Paura di scoprire cosa le hanno fatto.
Prima che SRT potesse rispondere, dagli altoparlanti in alto esplose una voce:
— Attenzione! Attenzione! Ascoltate! Ascoltate! Un evaso, il criminale THX uno uno tre otto, è stato osservato assieme a un complice non identificato sul quarto livello, nell’area degli Schedari Centrali del Computer. I cittadini stiano tutti all’erta. L’evaso THX uno uno tre otto può essere pericoloso. La polizia si sta dirigendo nella zona. Riferite subito al Controllo su «qualsiasi» persona sospetta.
— Oh-oh — disse SRT, guardando il soffitto.
— È meglio che tu scappi finché sei in tempo — disse THX.
Il nero scosse la testa. — Non servirebbe a niente. Ormai avranno già la mia foto. Scoprire chi sono è solo una questione di tempo.
— No! — gridò THX, e si buttò a correre per il corridoio più vicino, attraversando in poco tempo moltissime file di moduli. «Hanno detto che non è identificato: se non ci troveranno insieme potrà restarsene fuori dai guai.»
Gli parve di correre per chilometri. Finalmente si fermò e si appoggiò a una console calda e ronzante. Ansimava forte. SRT non si vedeva più. THX rimase in ascolto per sentirne i passi. Niente. Senti da qualche parte le voci:
— Richiesta di aiuto dagli agenti diciannove nove nove e ventuno ottantasette. Stanno cercando nell’area degli Schedari del Computer. Richiesti altri tre agenti.
— Blocco mentale impossibile. L’area degli Schedari è sensibile ai campi elettrici. Continuate le ricerche.
Lontanissimo, enormemente in distanza, vide sbucare un robopoliziotto, così piccolo che sembrava. un giocattolo. Il suo cuore si riempì di paura. Piano, con calma, THX svoltò per il corridoio più vicino che intersecava le file dei moduli, e si abbassò un po’, così da essere fuori vista. Diede un’occhiata prudente in giro per vedere se c’erano altri robopoliziotti. Nessuno. Allora si mise a correre più forte che poté.
Finalmente si fermò coi polmoni che quasi scoppiavano e le gambe schiantate, crollando quasi su un tavolino al termine di una fila di moduli. THX notò lo schermo e la tastiera sul tavolo, e capì che era una stazione di domanda, per chiedere al computer informazioni e dati.
— LUH — si disse. — Devo trovarla…
«Ma se chiederai di lei al computer, sapranno il punto preciso in cui ti trovi. La polizia potrà catturarti.»
A voce alta, ansimando, mormorò: — Ma loro sanno comunque… che sono… qui. Solo… questione di… tempo.
Per un momento insopportabile rimase lì, piegato sul tavolo, lottando mentalmente per prendere una decisione. Poi, di colpo, si sedette nella poltroncina di plastica vicina al tavolo e chiese:
«LUH 3417. Attuale localizzazione.»
Le lettere e il numero erano adesso sullo schermo.
Si asciugò una goccia di sudore dagli occhi quando sullo schermo del computer apparve la scritta: «In funzione».
— Ho bisogno di lei — mormorò. — E lei ha bisogno di me. «Devo» andare da lei. Devo salvarla. — Di nuovo si asciugò il sudore. — È tutto così pazzesco. Io devo essere pazzo. Cosa sto facendo? È tutto così confuso. Se solo…
Il Controllore guardò THX attraverso la lente a occhio di pesce dell’olocamera posta nel soffitto degli Schedari Centrali del Computer.
— Vi ha fatto vedere esattamente dove si trova — disse il Controllore con voce amabile. — Prendetelo.
Una voce dura e cavernosa rispose: — Sissignore.
Lo schermo del computer mostrò a THX una veduta di una clinica del Centro Riproduzione. File e file di feti chiusi nei ventri di plastica, tutti con la testa in giù, le braccia e le gambe raggomitolate, i cordoni ombelicali collegati ai tubi di nutrimento che correvano lungo i binari cui erano fissati gl’involucri di plastica.
Lo schermo inquadrò in primo piano un contenitore. Era etichettato LUH 3417.
THX digrignò i denti, furioso. «Stupido! Stupido sistema!» Toccò di nuovo la tastiera:
«LUH 3417 è una donna di vent’anni. Professione osservatore. Il riprocentro è colpevole di errata etichettatura.»
Lo schermo si fece bianco per un attimo, poi riapparve l’immagine del feto etichettato col nome di LUH. A fianco apparvero le parole:
«Criminale LUH 3417, colpevole di atto sessuale e evasione da medicinali, distrutta in esecuzione all’ordinanza 9374911. Feto asportato al momento dell’autopsia. Nome LUH 3417 trasferito al feto nell’interesse dell’economia e di un’accurata conservazione nastri. Feto da usarsi per scopi sperimentali.»
THX urlò, annientato dal dolore, e crollò sulla tastiera del computer.
18
La cattedrale era grande e buia, tanto nera quanto era stata bianca la prigione. Ed era quasi vuota. SEN si teneva stretto alle ombre, tremando, e tentava di avvilupparsele intorno per sentirsi protetto: e intanto guardava dappertutto, temendo il pericolo.
Lontano, in fondo alla cattedrale, si distinguevano, montate sui loro carrelli, alcune olocamere il cui contorno era illuminato dalla luce che proveniva da un’enorme immagine di OMM, sopra una «otto» gialla. SEN notò che il pavimento era attraversato da spessi cavi e che un gruppetto di operatori e di tecnici era radunato intorno alle olocamere.
In piedi davanti al ritratto di OMM, tutto inondato da una luce giallastra e con addosso una lunga veste color zafferano, c’era un monaco alto e magro, dagli occhi incavati e scintillanti. Stava dicendo alle olocamere:
— E accadde tutto così lentamente che la maggior parte degli uomini non si accorsero nemmeno che fosse successo qualcosa. Non si erano mai resi conto di ciò che ognuno in cuor suo sa, che cioè sapere è non sapere; e che bisogna sapere di non sapere. Cambiare è girare in circolo per l’eternità.
SEN si rannicchiò nell’ombra a guardare il monaco che teneva il suo olosermone. Sapeva che lungo i sacri muri della cattedrale c’erano dipinti, sculture e strutture di metallo prodotti dall’arte più raffinata, autentici tesori venerati con amore dalle masse. Ma i tesori appartenenti alle masse non erano per lui. Lui era un uomo braccato. Ma forse, però, si poteva ancora sperare…
— Restare fermi significa fluire nel flusso della volontà di OMM — continuò il monaco. — Il respiro di OMM è infinitamente lento, eppure OMM respira. Traetene profitto. Preghiamo:
«Unità della mente, unità del pensiero, unità del comportamento. Benedizione delle masse. Voi siete creature divine.»
D’un tratto la luce se ne andò e non rimase altro che una leggera, fluorescenza proveniente dalla faccia di OMM. Pareva che il monaco e i tecnici delle olocamere fossero scomparsi. SEN vide una porta aprirsi e entrare un filo di luce polverosa. Poi la porta si chiuse di nuovo, con rumore. SEN si rattrappì ancor di più, impaurito.