Il segnale visivo sullo schermo radar mostrava che le elettromoto si avvicinavano sempre di più e che entro pochi minuti gli sarebbero state addosso.
C’era un bottone con su scritto «Freddo», ma ogni volta che THX lo premeva gli turbinava intorno aria gelata, mentre l’indicatore della temperatura del motore continuava tranquillamente a rimanere sul rosso. Toccò il bottone con su scritto «Riavvio Jet», e le luci rosse sul pannello scomparvero, sostituite dalle verdi. Il motore riprese il suo rombo caratteristico e THX spinse la leva. La macchina si lanciò in avanti.
— Sembra che l’autojet Samos trentadue settantuno quindici si stia di nuovo muovendo. La distanza aumenta.
I segnali visivi sul radar indicarono che i poliziotti erano più lontani: la macchina correva a velocità folle ora, attraverso il tunnel e su per la salita che conduceva al primo livello. Nella cuffia gli risuonò un avvertimento.
— State avvicinandovi a un’area riservata. Estremo pericolo di radioattività. Al prossimo raccordo tornate indietro.
THX ignorò l’avvertimento. Guardò lo schermo radar. Le elettromoto gli erano ancora dietro. I robot non temono la radioattività. O sì?
«Dove andare? Dove?» si chiese THX. «Non c’è più niente per me in questo mondo. Niente. Non si può stare al Livello Uno. Non si può vivere nella struttura superficiale. Ma non posso tornare sotto.»
— Il soggetto sta entrando nell’area di costruzione trentasei J. Il passaggio è chiuso in questa sezione dell’espressovia. Contattare subito l’operatore.
— Allarme per il personale addetto alla costruzione. Si sta avvicinando una Samos trentadue settantuno quindici. Evacuate la zona.
— Attenzione, Samos trentadue settantuno quindici. Fermatevi. Attenzione! Attenzione! Fermatevi. Vi state avvicinando a un’area di lavoro. Ci sentite? Rispondete.
«Sarà un trucco?»
All’improvviso THX vide davanti a sé una barriera e del materiale da costruzioni disseminato sulla via, dietro la barriera. Si senti la voce di OMM.
— Andrà tutto bene. Siete nelle mie mani. Non avete nessun posto dove andare Nessuno…
Il radar segnalò l’emergenza, sul quadro comandi lampeggiarono le luci rosse e il sistema anti-collisione fece fermare automaticamente il motore e accendere i retrofreni.
L’autojet sbandò, rimbalzò contro una delle pareti del tunnel e andò a fermarsi stridendo proprio contro ‘la barriera.
Prima ancora che THX si fosse fermato, il primo poliziotto in elettromoto aveva già girato la leggera curva del tunnel, aveva cercato di fermarsi, ed era finito contro il muro. Il robot fu sbalzato all’indietro e la moto gli piovve addosso. Un attimo dopo arrivò l’altro e andò a sbattere contro il groviglio di rottami della prima moto. Il robot fece un gran volo e andò a picchiare contro la fiancata dell’auto di THX.
Il Controllore era spaventosamente livido.
— Deficienti! — ringhiò. — Idioti — integrali! Lasciarvi scappare di sotto il naso un uomo così terrorizzato! Le spese per la cattura di un uomo… e non sono mica ancora finite. — I suoi discorsi diventarono incoerenti.
In silenzio, guardò sullo schermo gigante THX uscire dall’autojet distrutta e guardarsi intorno tremante. Il robot della prima moto si stava alzando in piedi. Era tutto impolverato e accartocciato, ma funzionava ancora.
THX saltò la barriera e si mise a correre, superando la zona di costruzione abbandonata dal personale. Più avanti nel tunnel, era sistemata un’altra olocamera, che riusciva a inquadrare THX frontalmente. Il Controllore ordinò un primo piano della faccia del, fuggitivo. Aveva un’aria stanca, era quasi senza respiro e al limite dello sfinimento. Ma non c’era paura sulla sua faccia. Non più. Era una faccia piena, di determinazione.
Il Controllore scosse la testa e allungò la mano verso i flaconi di sedativi sul suo tavolo. «Perché uomini pieni di tanta forza non lavorano mai per noi?»
Il robot continuò a seguirlo. Anzi, adesso erano tutti e due i robot. a trotterellargli dietro. Uno zoppicava moltissimo e mandava un assordante rumore metallico. L’altro aveva perso un braccio. Ma non rinunciavano all’inseguimento.
— Vogliamo soltanto aiutarvi. Non avete niente da temere. Vi preghiamo di tornare. Non vi faremo del male.
THX vide davanti a sé una scala che saliva, con pioli d’acciaio che sporgevano dalla parete di metallo. Saliva così in alto che non si riusciva a vederne la fine. THX diede un’altra occhiata ai suoi inseguitori, poi si afferrò ai pioli e cominciò a salire.
I robot fecero lo stesso.
— Non potete sopravvivere nella struttura superficiale. Se continuerete ad andare avanti vi autodistruggerete. Tornate indietro con noi.
THX continuò a salire.
— Totale dell’unità monetaria: venticinquemila, in aumento. Dare priorità a cambiamento di valutazione.
— Arrendetevi alle autorità. Non dovete temere che voi stessa.
— Attenzione. Cambiamento di valutazione. Tutte le operazioni relative al fuggitivo uno uno tre otto, prefisso THX, sono cancellate. Dichiarate economicamente inefficienti. Passività eccessive. Le rendite ricavabili dal soggetto vanno cancellate. Le spese per THX uno uno tre otto sono chiuse. Trasferite gli agenti all’operazione tre due sette.
THX sentì questi ordini provenire dai robot stessi, e smise di salire. Si tenne stretto alla scala, ansimante e madido di sudore. Guardò in giù e vide che anche i robot si erano fermati.
— Dobbiamo tornare indietro. Questa è l’ultima possibilità che avete per tornare indietro con noi. Non ci sono posti dove possiate andare.
— Non potete sopravvivere fuori della città. Tornate con noi.
Per tutta risposta, THX riprese a salire, senz’alcuna esitazione. Continuò dolorosamente, piolo dopo piolo. Anche se lo aspettava la morte, là sotto era la morte comunque, anche potendo vivere mille anni.
Per un pezzo non udì altro che il suo respiro affaticato, non sentì altro che il metallo dei pioli nelle mani e il sapore del proprio sudore. Continuò a salire e salire.
Verso l’autodistruzione.
22
Tutto era sporco, nella struttura superficiale.
Sporco, afoso e umido. Non c’erano corridoi, ma solo una vasta area aperta attraversata da una rete di travi metalliche, con sporgenze di metallo o di pietra. Tutto era coperto di polvere e sporcizia.
THX inciampò in qualcosa di semi-sepolto tra lo sporco. Ossa. Una gabbia toracica umana. Indietreggiò.
La luce che c’era era strana. Raggi di luce sinistra che attraversavano l’aria obliquamente, discontinui e pieni di particelle di polvere che danzavano e guizzavano. Tra i raggi si stendevano pozze d’ombra.
E la luce tendeva a scomparire, a indebolirsi sempre più. E le ombre a crescere, a farsi sempre più cupe e fitte, ad avvolgere tutto.
THX aveva fame. Ed era tanto stanco. Con un fremito di disgusto, si sedette in un angolo, su una pesante trave d’acciaio ricoperta di polvere. Nonostante il caldo, tremava. Poggiò la testa contro la struttura di metallo e si addormentò quasi di colpo.
Fu svegliato da strani rumori, come di qualcuno che raspasse.
Era buio! Tutto era assolutamente nero, senza nessuna luce. THX non aveva mai visto un buio così.
C’era qualcosa lì. Sentiva qualcosa muoversi leggermente, respirare. Forse erano in molti. Rimase assolutamente immobile, in ascolto.
Avrebbe voluto che il cuore non battesse così forte.
Qualcosa gli toccò i piedi. THX si lasciò sfuggire un urlo e tirò indietro in fretta i piedi, rannicchiandosi nel buio. Con una mano colpì involontariamente qualcosa di tenero e peloso. Si udì un guaito roco e un rumore di passi in fuga.
«Cavernicoli!»
A poco a poco, quando i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, riuscì a distinguere il debole bagliore degli occhi dei cavernicoli che lo fissavano.