«Vuol dire che ci si è trovato dentro a poco a poco?» C’era un barattolo di ciliegie sotto spirito nello sportello del frigo, con una sola ciliegia dentro. Carolyn la mangiò e versò il succo nel suicidio. «Ci è semplicemente capitato in mezzo?»
«La psicologia temporale non è qualcosa nella quale si capita per caso,» ribatté. «È ridicolo. Non mi viene proprio in mente.»
«Forse non si è ancora abituato all’altitudine, o qualcosa del genere,» disse Carolyn, assaggiando il suicidio. Neanche il succo di ciliegia sotto spirito era l’ingrediente segreto. «E magari sarà anche stressato per via del progetto e tutto il resto. La gente stressata tende a scordarsi le cose.»
«Ci si scorda un numero di telefono o le chiavi di casa. Di certo non come si è scelto il proprio mestiere.»
«Io non mi ricordo se ho mai avuto la varicella,» disse Carolyn. «Ho anche telefonato a mia madre. Mi ha detto che non l’ho presa da piccola, ma le sembrava che me l’avessero attaccata al college, e quando me l’ha detto ho avuto l’impressione che fosse così, ma proprio non mi viene in mente. È come se ci fosse un buco enorme nel…»
«Nebraska State College,» disse Andrew.
«Che?» fece Carolyn.
«Il suo college. È andata al Nebraska State College. Ecco perché la conosco.»
«Sta scherzando. Ci è andato anche lei?»
«No, Stanford, ma…» Si interruppe. «Non è mai stata in California durante il college, no? Per esempio durante le vacanze di primavera?»
«No,» rispose Carolyn. «E lei è mai venuto in Nebraska?»
«No, e lei ancora pensa che stia recitando il solito numero del “Non l’ho già vista da qualche parte?”, vero?»
«No,» disse lei. «Forse le ricordo la sua ragazza ai tempi del college.»
«Impossibile. Stephanie Forrester era bionda e perfida.»
Per fargli fare da valletto al matrimonio, lo era di sicuro, pensò Carolyn.
«Marrone e oro» fece lui.
«Cosa?»
«I colori della sua scuola. Marrone e oro.»
Guardò il suicidio e lo versò nel lavello. I colori della sua scuola erano marrone e oro, e Andrew non aveva mai nominato Stephanie Forrester fino a quel momento, ma lei sapeva tutto, che anche il capo valletto era innamorato di lei, che erano andati a bere i fermatempo insieme e…
«Devo preparare la cena prima che torni mio marito,» disse, e riattaccò.
La dottoressa Lejeune aveva sperato che Sherri le cercasse subito i test, ma quando andò al suo ufficio dopo la scuola, lei disse: «Oh, mi è completamente passato di mente. Il Vecchio Scartafaccio ha deciso di punto in bianco che avrei dovuto fare un inventario del ripostiglio, compresa una conta di tutti i fogli della carta per costruzioni.»
«Quanti anni ha il signor Paprocki?» chiese la dottoressa Lejeune.
«Sei, sette,» disse Sherri, contando i fogli verdi. «Quarantatre.»
«Quarantatre,» ripeté la dottoressa Lejeune pensierosa, guardando Sherri che contava. «Lei è consapevole del fatto che un’attenzione eccessiva al dettaglio è un sintomo tipico di repressione sessuale?»
«Diciannove… vorrà scherzare.» disse Sherri. Osservò la pila rimasta a metà. «Dov’ero rimasta?»
«A diciannove,» rispose la dottoressa Lejeune. «Sei sicura che non ti abbia mai notata?»
«Sicurissima. Mi sono vestita di fucsia per una settimana intera.» Finì di contare la pila e la pareggiò ordinatamente da entrambi i lati. «Vediamo se trovo quei test appena ho finito di inventariare, va bene?»
La dottoressa Lejeune scese nell’aula di musica per sapere qualcosa in più da Carolyn, ma lei non c’era, e nemmeno Andrew. Probabilmente si sono persi in mezzo a tutti questi apparecchi, pensò la dottoressa Lejeune, osservando le scatole metalliche appoggiate una sopra l’altra accanto al pianoforte e allineate sotto la lavagna. Si chiese a cosa gli servisse il contatore di fotoni. E l’analizzatore di spettro. Qualcuno di questi oggetti le era completamente sconosciuto. Raccolse una scatola di ferro grigio che non era collegata a niente. Non c’erano quadranti o marcature sopra, solo un interruttore per l’accensione. Qualunque cosa fosse, era accesa.
Si spensero le luci. «Ehi!» gridò la dottoressa Lejeune. Fece un passo verso la porta. Urtò contro il cestino. «Ehi!» gridò di nuovo.
«Mi scusi,» disse il dottor Young, e riaccese la luce. Percorse la stretta aula a gomito fino alla fine, con l’aria stranamente colpevole, come se l’avessero colto con le mani nel sacco. «Non sapevo che ci fosse qualcuno, e ho visto la luce accesa. Lasciare la luce accesa in una stanza vuota è uno spreco di elettricità e…» si interruppe. «Che stava facendo?»
«Niente,» rispose lei, sorpresa.
Lui fissava la scatola che la dottoressa teneva ancora in mano. La appoggiò sul pianoforte. «Cercavo il dottor Simons.»
«Perché?» chiese sospettoso. «Non è che voleva fargli combinare qualcosa con Bev Frantz, vero?»
«Volevo solo chiedergli un’opinione sui bambini esaminati finora,» rispose fredda. «Il computer non segnala la minima traccia di odiecroni, né lunghi né corti. E dovrebbe stare attento quando spegne la luce, lei. Qua dentro è buio come una miniera di carbone.»
Il dottor Young assunse di nuovo un’espressione colpevole, e non riusciva a staccare gli occhi dalla scatola sul pianoforte.
«Vado a terminare i calcoli delle estrapolazioni,» disse la dottoressa Lejeune, e se ne tornò in ufficio.
Sherri faceva la conta della carta per costruzioni gialla. La dottoressa le chiese se poteva fare una telefonata all’università dall’ufficio del signor Paprocki. «Quarantadue, quarantatré,» disse Sherri. «Come no. Compili questi.» Le passò un fascio di moduli alto un centimetro.
«La telefonata è a carico del destinatario,» disse la dottoressa Lejeune. Andò in ufficio, chiuse la porta e chiamò il dipartimento di fisica. «Mi serve qualcuno che abbia lavorato all’oscillatore temporale con il dottor Young,» disse all’assistente laureato che rispose al telefono. «Vorrei sapere con esattezza a che serve.»
«Parla dell’unità principale?»
«Penso di sì,» rispose la dottoressa Lejeune. Non sapeva nemmeno che ci fosse più di un componente.
«Ha due funzioni. Fornisce gli stimoli agitazionali, e accumula l’energia temporale raccolta dalle ricetrasmittenti portatili.»
«Stimoli agitazionali?»
«Sì. Una combinazione di emissioni infrasoniche e messaggi subliminali che producono uno stato emozionale di agitazione nei soggetti testati.»
Sì, e scommetto già quello che dicono i messaggi subliminali, pensò la dottoressa Lejeune.
«Immagino che questa “unità principale” non assomiglia a una lampada di pietra lavica, no?»
«Lampada di pietra lavica? Perché mai un oscillatore temporale dovrebbe assomigliare a una lampada di pietra lavica?»
«Bella domanda,» disse lei. «Mi parli delle ricetrasmittenti portatili.»
Ci vollero altri due giorni abbondanti per finire con l’asilo. Brendan James era l’ultimo in lista. «Magari faremmo meglio a saltarlo,» disse Carolyn. «È parecchio stressato.»
«In ogni caso non faremmo in tempo oggi,» disse Andrew. Erano quasi le due e mezzo. Se n’era accorto dal fracasso dei bambini della terza che correvano a fare ricreazione. «Rimandiamo tutto a domani, così chiedo se…»
Le luci si spensero.
«Aspetti un attimo,» disse Andrew. «Prendo la torcia. Non si vede niente qua dentro.»
Era un eufemismo. Là dentro era nero come la pece, nero come una miniera. Era tanto buio che gli sembrò di perdere anche l’orientamento. Fece un passo verso il pianoforte e urtò il ginocchio contro la scrivania. Non da quella parte. Si girò e camminò in direzione opposta, con le braccia protese davanti a sé.