— Sembrano i cavi di un ponte sospeso — disse Cirocco.
— Credo proprio che lo siano. Probabilmente arrivano tutti al centro comune. Temi è solo un ponte sospeso circolare.
Cirocco si avvicinò all’orlo del precipizio, studiò i due chilometri che le separavano dal suolo sottostante.
La parete era quasi perpendicolare quanto può esserlo una superficie irregolare. Solo verso il fondo si allargava in avanti a incontrare il terreno.
— Non penserai di scendere da lì, per caso — disse Gaby.
— Ci avevo pensato, ma non è che l’idea mi piaccia troppo. E poi, cosa potremmo trovare là sotto? Qui per lo meno sappiamo che è possibile sopravvivere.
Ma quali erano le loro prospettive? Costruirsi una capanna con pezzi di legno e vivere di frutta e carne cruda? No. Cirocco sarebbe impazzita in un mese. Meglio l’avventura, anche se rischiosa.
E poi, la terra là sotto era così bella. C’erano montagne ripidissime con laghi blu che parevano gioielli incastonati. Vedeva distese d’erba verde, foreste dense, e il grande mare immerso nella notte a est. Per quanti pericoli potesse nascondere, quel paesaggio era per lei un richiamo irresistibile.
— Potremmo scendere servendoci di quei rampicanti — disse Gaby sporgendosi oltre l’orlo e indicando quella che poteva essere una possibile linea di discesa.
La parete del precipizio era fitta di vegetazione. La foresta scendeva verso il basso come una cascata d’acqua. Alberi massicci crescevano sulla roccia nuda, saldamente abbarbicati. In quanto alla roccia, sembrava una formazione basaltica, un insieme molto compatto di colonne cristalline con grandi piattaforme esagonali nei punti in cui le colonne erano cadute.
— Si può fare — disse Cirocco. — Però non è né facile né sicuro. Ci vuole un ottimo motivo per affrontare una discesa del genere. — Qualcosa di meglio dell’oscura urgenza che la spingeva a scendere, pensò.
— Dài, nemmeno io voglio restare qui per sempre — disse Gaby, con un sorriso.
— Allora i vostri guai sono finiti — disse una voce calma alle loro spalle.
Tutti i muscoli del corpo di Cirocco si tesero. Mordendosi le labbra, indietreggiò fino a essere ben lontana dal precipizio.
— Sono quassù. Vi aspettavo.
Seduto sul ramo di un albero, coi piedi nudi che penzolavano per aria, c’era Calvin Green.
7
Sedettero in circolo e Calvin cominciò a parlare.
— Sono emerso non lontano dalla voragine in cui scompare il torrente. Sette giorni fa. Al secondo giorno vi ho sentite, ma non potevo chiamarvi perché non ho più il microfono — e così dicendo mostrò loro i rimasugli del suo casco. — Vedete? Il microfono è partito — disse districando il filo spezzato. — Vi ho ascoltato e basta. Ho aspettato. Ho mangiato frutti. Però non sono riuscito a uccidere nemmeno un animale.
— E come facevi a sapere che ci avresti trovate proprio qui? — chiese Gaby.
— Non potevo esserne certo, è ovvio.
— Ma che roba — disse Cirocco, mettendosi a ridere. — Ormai non pensavamo più di trovare qualcun altro, invece eccoti qui. È fantastico, vero Gaby?
— Eh? …Oh, certo. Fantastico.
— Anch’io sono contento di rivedervi. Sono cinque giorni che vi ascolto. È bellissimo sentire una voce familiare.
— È passato davvero tanto tempo?
Calvin mostrò l’orologio digitale che portava al polso.
— Funziona ancora perfettamente. Quando tornerò a casa, scriverò una lettera di ringraziamento alla fabbrica.
— Io ringrazierei chi ha fatto il cinturino — disse Gaby. — Il tuo è d’acciaio mentre il mio era di pelle.
Calvin scosse la testa. — Me lo ricordo. Costava di più di quanto guadagnavo io come internista.
— Cinque giorni mi sembrano troppi. Noi due abbiamo dormito solo tre volte.
— Lo so. Nemmeno Bill e Agosto riescono a tenere bene il conto del tempo.
— Bill e Agosto sono vivi? — chiese Cirocco.
— Sì. Ho sentito le loro voci. Sono giù, sul fondo del burrone. Non so indicare bene dove. Bill ha la radio intera, come voi due. Agosto ha solo il ricevitore. Bill ha continuato a trasmettere descrizioni del posto in cui si trovava, e dopo due giorni Agosto l’ha raggiunto. Adesso trasmettono regolarmente. Però Agosto continua a chiedere di Aprile e a piangere.
— Cristo — mormorò Cirocco — ci credo. Hai idea di dove siano Aprile e Gene?
— Penso di aver sentito Gene, una volta. Piangeva, come ha detto Gaby.
— Come mai Bill non ci ha sentiti? — chiese Cirocco.
— Problemi con la curvatura dell’orizzonte, immagino. Probabilmente la collina faceva da schermo. Io ero l’unico che poteva sentire i due gruppi ma senza poter fare nulla al riguardo. Da qui dovrebbe sentirvi. Però non chiamate ora, stanno dormendo tutti e due. Si sveglieranno tra cinque o sei ore. — Guardò prima una poi l’altra. — E anche voi due dovreste andare a nanna. Avete camminato per venticinque ore.
Cirocco questa volta gli credette sulla parola: era stanca morta. Ma non voleva mettersi subito a dormire.
— E tu, Calvin? — gli chiese. — Hai avuto problemi?
— Problemi? — ripeté lui, scrutandola.
— Lo sai a cosa alludo.
Calvin parve ritrarsi in se stesso.
— Non voglio parlarne, né ora né mai.
Cirocco decise che era meglio non insistere. Lui sembrava perfettamente in pace, tranquillo come se fosse giunto a qualche conclusione con se stesso.
Gaby si alzò, stiracchiandosi. — Ci mettiamo a dormire?
— Ho un posticino comodo qui sull’albero — disse Calvin — Voi andate a dormire, io resto in ascolto al ricevitore.
Era una specie di nido fatto di ramoscelli e pezzi di rampicanti. Calvin lo aveva imbottito con una sostanza morbida. Era alquanto grande, ma come sempre Gaby andò ad accoccolarsi vicino a Cirocco. Questa si chiese se non era ora di farla smettere, ma decise che non era ancora il caso.
— Rocky?
— Che c’è?
— Stai attenta a lui.
Cirocco si sforzò di uscire dalle nebbie del sonno.
— Cosa? A Calvin?
— Gli è successo qualcosa.
Cirocco guardò Gaby con occhi arrossati. — Dormi adesso Gaby, d’accordo? — Si voltò e diede una pacca al legno.
— Stai molto attenta — mormorò Gaby.
Se solo ci fosse modo di sapere quand’è mattino, pensò Cirocco sbadigliando. Avrebbe voluto svegliarsi presto. Forse ci sarebbe voluto un gallo, o che i raggi del Sole la raggiungessero con un’inclinazione differente.
Accanto a lei, Gaby dormiva ancora. L’allontanò dolcemente, senza svegliarla.
Calvin non era in vista. Il cibo per la colazione era a portata di mano: frutti rossi grandi come un ananas. Ne mangiò uno, buccia compresa.
Dato che Calvin non si vedeva ancora, decise di salire più in alto sull’albero. Il tronco offriva molti appigli, e la bassa gravità rendeva la salita facile e piacevole. Era anche meglio di qualsiasi cosa avesse fatto da quando aveva otto anni. La corteccia nodosa forniva sufficienti appigli dove i rami scarseggiavano. Si procurò una nuova serie di graffi da aggiungere alla sua collezione, ma era un prezzo che era disposta a pagare.
Per la prima volta da quando era arrivata su Temi si sentiva felice. Non contava naturalmente l’incontro con Gaby e Calvin, perché quella era stata un’emozione che aveva sfiorato l’isteria. Era così che ci si sentiva bene.
Non era mai stata una persona che si divertiva molto. C’erano stati molti momenti belli sul Ringmaster, ma pochi che fossero vero divertimento fine a se stesso. Cercando di pensare all’ultima volta che si era sentita così bene, stabilì che era stato il party in cui aveva saputo di aver ottenuto il comando per cui stava lottando da sette anni. Fece un sorrisetto al ricordo: era stato proprio un bel ricevimento.
Ma allontanò ben presto qualsiasi pensiero dalla mente e lasciò che lo spirito fluttuasse libero. Era consapevole di ogni muscolo, di ogni frammento di sé. C’era uno sconvolgente sentimento di libertà nell’arrampicarsi nuda su un albero. Fino a quel momento, la sua nudità era stata una seccatura o un pericolo. Ora l’adorava. Sentiva la pelle ruvida dell’albero sotto i piedi e la morbida flessibilità dei rami. Desiderava mettersi a urlare come Tarzan.