— Che tipo d’angolazione? — biascicò Cirocco. Calvin le tolse il termometro di bocca.
— La luce scende parallelamente all’asse, secondo questo angolo. — Gaby tracciò l’angolo sulla foto con due dita. — Gli specchi sono disposti in modo da deflettere la luce di novanta gradi, proiettandola verso la volta della ruota. — Spostando le dita, indicò una zona fra due raggi. — Questa parte della ruota è più calda del resto, ma non tanto calda da assorbire tutto il calore che riceve. E siccome non lo riflette e non lo assorbe, deve trasmetterlo. È trasparente o traslucida. Lascia filtrare in basso quasi tutta la luce che riceve. La cosa non ti dice niente?
Cirocco alzò gli occhi dalla foto dopo un attento esame.
— Cosa vorresti dire?
— Dunque, sappiamo che la ruota è vuota. Forse sono vuoti anche i raggi. Prova un po’ a immaginartela. È come una ruota d’automobile, grossa, gonfia e appiattita sul fondo per avere più spazio vitale possibile. La forza centrifuga tende ad allontanare tutto dal mozzo.
— So bene come succede — rispose Cirocco, divertita. Gaby riusciva a coinvolgerli quando spiegava qualcosa.
— Bene. Inoltre, se all’interno della ruota ci fosse qualcuno si troverebbe sempre o sotto un raggio, o sotto un riflettore, giusto?
— Come? Oh, sì. Sì. Per cui…
— Per cui in un certo punto è sempre giorno, oppure sempre notte. I raggi sono saldamente fissati alla ruota, i riflettori non si muovono, e non possono muoversi neppure quelle specie di lucernari. Per cui non c’è altra soluzione: notte o giorno continui. Secondo te, perché l’hanno costruita a quel modo?
— Bisognerebbe incontrarli, per saperlo. Forse hanno esigenze diverse dalle nostre. — Cirocco guardò di nuovo la foto, sforzandosi di tenere presente quanto fossero gigantesche le proporzioni della ruota. Milletrecento metri di diametro, almeno quattromila nella parte più esterna. La prospettiva di incontrare gli esseri che avevano fabbricato una cosa dei genere diventava più preoccupante di giorno in giorno.
— Va bene, aspetterò — disse Gaby. Personalmente non era interessata a Temi come astronave. Per lei la ruota era solo un affascinante problema di osservazione astronomica.
Cirocco guardò di nuovo la foto.
— Il mozzo — disse Cirocco, poi si morse le labbra. La telecamera che ritrasmetteva a Terra era ancora in funzione; non voleva fare ipotesi troppo arrischiate.
— Sì?
— Be’, è l’unico punto in cui si potrebbe eseguire un attracco. L’unica parte immobile.
— Non del tutto. Il buco al centro è grande. L’impatto con un oggetto solido avverrebbe a una velocità alquanto elevata. Se vuoi posso calcolare…
— Per ora non importa. Il fatto è che si potrebbe attraccare a Temi senza avere troppi guai solo nel punto morto di rotazione. Io non vorrei provarci.
— E allora?
— Allora vuol dire che dev’esserci un ottimo motivo se non hanno messo lì le attrezzature per l’attracco. Una ragione importante, altrimenti non ci sarebbe nemmeno quel buco al centro. Non si giustificherebbe, altrimenti.
— Il motore — intervenne Calvin. Cirocco gli lanciò un’occhiata, colse un lampo dei suoi occhi bruni prima che lui si voltasse per tornare al suo lavoro.
— L’ho pensato fin dall’inizio. Un enorme motore a fusione. Nel mozzo si trovano i macchinari, generatori di campi elettromagnetici che spingono l’idrogeno interstellare al centro, dove viene bruciato.
— Mi sembra ragionevole — disse Gaby. — Ma per attraccare?
— Partire sarebbe facilissimo. Basterebbe un buco sul fondo per ottenere la velocità di fuga, e anche più. Però dovrebbe esistere un meccanismo che si proietti verso il centro di rotazione quando il motore è spento, per raccogliere le navi che arrivano. Il motore principale deve essere lì. Inoltre dovrebbero esserci diversi altri motori disseminati sull’orlo della ruota.
Cirocco alzò la faccia verso la telecamera che trasmetteva a Terra. — Mandatemi tutte le informazioni possibili sui motori a fusione d’idrogeno. Se Temi ne possiede uno, vorrei avere un’idea di cosa devo cercare.
— Dovresti toglierti la camicia — disse Calvin.
Cirocco si alzò e spense la telecamera, lasciando acceso solo il microfono. Calvin cominciò a darle colpetti sulla schiena e ad auscultarla. Cirocco e Gaby continuarono a studiare la foto di Temi. Gaby, dopo un po’, tirò fuori la storia dei cavi.
— Da quanto posso capire, formano un cerchio a metà strada fra il mozzo e l’orlo esterno. Dovrebbero servire a sostenere le estremità dei pannelli riflettenti, come le sartie su una nave a vela.
— E questi? — disse Cirocco, indicando la zona fra due raggi. — Hai idea a cosa servono?
— No. Ce ne sono sei fra un raggio e l’altro. Corrono radialmente dal mozzo all’orlo esterno. Passano attraverso i pannelli riflettenti, se questo ti dice qualcosa.
— Non proprio. Ma se ce ne sono altri, magari più piccoli, dovremmo cercarli. Che circonferenza hai detto che hanno questi cavi? Tre chilometri?
— Forse cinque.
— Bene. Per cui, se c’è qualcosa di piccolo, diciamo piccolo come il Ringmaster, può darsi che continuiamo a non vederlo per molto tempo, specialmente se è scuro come il resto di Temi. Gene dovrà scendere col modulo d’atterraggio. Non vorrei che andasse a sbatterci contro.
— Sottoporrò il problema al computer.
Calvin cominciò a rimettere via i suoi strumenti.
— Disgustosamente sana, come sempre — disse. — Voialtri non mi fate mai fare niente. Se non provo nemmeno una volta a usare l’ospedale da cinque milioni di dollari che abbiamo qui, come farò a convincerli che hanno speso bene i loro soldi?
— Vuoi che rompa il braccio a qualcuno? — chiese Cirocco, sorridendo.
— Oh no. L’ho già fatto, giù alla scuola medica.
— Ne hai rotto uno, o ne hai aggiustato uno?
Calvin rise. — Un’appendice. Quella è una cosa che mi piacerebbe fare. Non è tanto facile trovare appendici in giro.
— Vuoi dire che non hai mai fatto un’appendicectomia? Ma cosa t’hanno insegnato a quella scuola medica?
— Che se impari bene la teoria, poi le dita fanno tutto da sole. Eravamo troppo intellettuali per sporcarci le mani. — Rise di nuovo e a Cirocco parve di sentir vibrare le sottili pareti della sua stanza.
— Vorrei tanto sapere quando parla sul serio — borbottò Gaby.
— Mi vuoi serio? — chiese Calvin. — Eccoti qualcosa a cui certo non hai mai pensato. Chirurgia elettiva. Voi gente avete qui uno tra i migliori chirurghi dei dintorni… — Fece una pausa per permettere alle vibrazioni di attenuarsi. — Qui avete uno dei migliori chirurghi. Ma c’è qualcuno che ne approfitta? Nient’affatto. Un lavoro del cavolo, fatto a casa, vi costerebbe almeno sette o ottomila dollari.
Cirocco s’alzò e gli lanciò uno sguardo gelido.
— Non stai per caso riferendoti a me, vero?
Calvin alzò il pollice e lo agitò davanti al viso di Cirocco, guardandola di traverso. — Ovviamente, ci sono altri tipi di chirurgia elettiva. E io sono bravo in tutti. Era il mio hobby. — Abbassò il pollice. Cirocco finse di tirargli un calcio che lui scansò prima di uscire.
Cirocco stava sorridendo mentre si sedeva di nuovo. Gaby era ancora lì, con la foto piegata tra le mani. La posò sullo sgabello accanto alla cuccetta.
Cirocco inarcò un sopracciglio.
— C’è qualcos’altro che devo vedere?
Gaby distolse lo sguardo. Aprì la bocca per dire qualcosa, sembrò incapace di emettere un qualsiasi suono, poi si batté il palmo della mano sulla coscia nuda.
— No, penso proprio di no. — Stava per andarsene, ma non lo fece.
Cirocco la guardò pensierosa, poi si alzò e spense anche l’audio della telecamera.
— Così va meglio?
Gaby si strinse nelle spalle. — Forse. T’avrei chiesto io di farlo se mai avessi cominciato a parlare. Penso comunque che non rientri nei miei compiti.
— Però senti di avere qualcosa da dire. — Cirocco aspettava.