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L’angelo lanciò un urlo e indietreggiò.

Spiegò le ali che avevano un’ampiezza di almeno nove metri e si bilanciò, agitandole pigramente per rimanere appeso a un ramo che era troppo leggero per sostenere il suo peso, come a sfidarle.

— Vorremmo solo parlarti — disse Cirocco, e protese le mani. L’angelo urlò di nuovo e scomparve.

Gaby si voltò a guardare Cirocco. Lei inarcò un sopracciglio poi alzò una mano in un gesto interrogativo.

— Forza. Saliamo.

— Capitano.

Cirocco si immobilizzò immediatamente. Gaby era già ferma davanti a lei, la corda fra loro quasi tesa.

— Cosa c’è? — chiese Gahy.

— Zitta. Ascolta.

Aspettarono, e dopo qualche minuto quel "Capitano" venne ripetuto. Lo sentì anche Gaby.

— Non può essere Gene — sussurrò.

— Calvin? — Poi Cirocco riconobbe la voce. Era stranamente diversa, ma la riconobbe. — Aprile?

— Esatto — sentì rispondere. — Parliamo?

— Certo che voglio parlarti. Dove sei?

— Sotto. Vi vedo. Non tornate indietro.

— E perché no? Senti, Aprile, sono mesi che speriamo di rivederti. Agosto sta impazzendo. — C’era qualcosa di sbagliato, e lei voleva scoprire cosa.

— Vengo io, oppure niente. Se scendete voi, volo via.

Atterrò su un ramo a venti metri da loro. Anche a quella distanza potevano vedere che aveva la faccia di Aprile, però era un angelo. Cirocco si sentì male.

Non riusciva a parlare molto bene. Tra una frase e l’altra c’erano lunghe pause.

— Vi prego di non avvicinarvi a me. Possiamo parlare solo per poco tempo.

— Non penserai che vogliamo farti del male, vero?

— E perché no? Io… — Aprile si ritrasse. — No, penso di no. Ma lasciarvi avvicinare sarebbe come mettere una mano sul fuoco. Il vostro odore è cattivo.

— Stai pensando ai titanidi?

Aprile emise un sibilo e indietreggiò. — Non parlarmi di loro.

— Non credo di poterne fare a meno.

— Allora debbo andarmene. Cercherò di tornare. — Con uno strillo acuto, la creatura volò via tra le foglie. Per un po’ udirono il battito delle sue ali; poi fu come se non l’avessero mai incontrata.

Cirocco guardò Gaby, seduta sull’albero con espressione seria.

— È spaventoso — mormorò Cirocco. — Cosa ci è successo, a tutti quanti?

— Speravo che potesse darci lei qualche risposta. Qualunque cosa possa essere stata, lei è stata colpita peggio di tutti. Anche peggio di Gene.

Aprile tornò qualche ora dopo, ma non era in grado di rispondere alle domande più importanti. Sembrava che non si fosse mai posta quegli interrogativi.

— Come posso sapere? — disse. — Sono rimasta nelle tenebre, mi sono risvegliata, ed ero come vedete. Non importava allora, non importa adesso.

— Puoi spiegarmi?

— Sono felice. Nessuno voleva me e le mie sorelle. Nessuno ci amava. Ora non ci penso più. Appartengo al clan delle aquile, solitaria e fiera.

Scoprirono, poco per volta, cosa significava appartenere al clan delle aquile. Non era una tribù né un’associazione come credevano d’aver capito di primo acchito: il clan delle aquile era una specie all’interno del genere degli angeli.

Le aquile vivevano in solitudine dalla nascita alla morte. Non s’incontravano nemmeno per accoppiarsi, potevano sopportare la reciproca vicinanza solo per pochi minuti di tanto in tanto, senza avvicinarsi troppo. Aprile aveva saputo della loro presenza nel cavo da una di quelle conversazioni fugaci.

— Ci sono due cose che non capisco — disse Cirocco, cauta. — Posso chiederti spiegazioni?

— Non prometto di risponderti.

— Va bene. Come fate a riprodurvi, se non vi unite nemmeno per l’accoppiamento?

— Esistono creature non senzienti che nascono ai piedi del mondo. Trascorrono la vita salendo fino alla cima. Una volta all’anno ne incontro una e deposito un uovo nella sua schiena. Gli angeli maschi depositano il loro sperma sull’uovo, se il destino è propizio. L’uovo fertilizzato arriva in cima con la creatura. Il figlio nasce quando l’ospite muore. Noi nasciamo nell’aria e dobbiamo imparare a volare mentre precipitiamo. Alcuni non riescono. È così che vuole Gea. È il nostro…

— Aspetta un attimo. Perché hai detto Gea? Perché hai scelto proprio quel nome?

Ci fu una pausa.

— Non capisco la domanda.

— Posso spiegarti. Calvin ha chiamato Gea questo posto, perché gli sembrava un nome adatto. Sei anche tu appassionata di mitologia greca?

— Non avevo mai sentito prima quel nome. Gea è il termine che i miei simili usano per questa creatura. È un dio, ma non del tutto. A parlare con voi mi fa male la testa. Sono felice di essere quella che sono. Me ne debbo andare.

— Un attimo, un attimo. Hai detto "creatura". Parlavi dell’essere che vive nel mozzo?

Aprile parve sorpresa. — No, è chiaro. Quella è solo una parte. Il mondo intero è Gea. Credevo lo sapeste.

— No, senti… Aspetta, non andartene. — Troppo tardi. Le sue ali si erano già messe in movimento. — Tornerai ancora? — urlò Cirocco.

— Un’altra volta — rispose Aprile, lontana.

— Un solo essere, hai detto. Un’unica creatura. Come fai a saperlo?

Aprile era tornata dopo un’ora soltanto. Cirocco sperava che si stesse abituando alla loro presenza, ma non si avvicinava ancora a meno di venti metri.

— Credetemi. Alcuni fra i miei simili hanno parlato con lei.

— È intelligente?

— E perché no? Ascolta… Comandante. — Aprile si portò le mani alle tempie. Cirocco riusciva a immaginare i suoi conflitti interiori. Un tempo, Aprile era uno scienziato di grande valore. Ora viveva a uno stato quasi selvaggio, seguiva un codice di comportamento incomprensibile. Forse la vecchia Aprile tentava di tornare in superficie combattendo la creatura che era diventata.

— Cirocco, mi hai detto che riesci a parlare con… con quelli che vivono in basso. — Accennare ai titanidi la faceva rabbrividire. — Loro ti capiscono. Calvin è capace di parlare ai fluttuanti. Su di me Gea ha operato cambiamenti più completi. Io sono una di loro. Quando mi sono svegliata, sapevo tutto. Provo le stesse sensazioni e gli stessi impulsi che guidano gli altri angeli. E so questo: Gea è una, Gea è viva. Noi viviamo dentro di lei. Ma guardatevi attorno. Avete visto qualcosa che somigli a una macchina? Qualsiasi cosa? È una grande bestia quella che ci ha afferrati, ed è una grande bestia quella che vive nel raggio. Non lo capite?

— Dici cose sorprendenti.

— Molto di più. Cose vere.

— Se accetto le tue idee, non troverò una sala di controllo nel mozzo.

— Ma sarai dove lei vive. Lei è immobile come un ragno e tira i fili come un grande burattinaio. Protegge tutte le sue creature, e voi siete sue come io sono sua. Si è servita di noi per raggiungere i propri scopi.

— E quali sarebbero?

Aprile si strinse nelle spalle: un gesto troppo umano, in quella creatura, che infastidì Cirocco.

— Non me l’ha voluto dire. Sono salita fino al mozzo, ma lei ha rifiutato di vedermi. I miei simili dicono che bisogna intraprendere una grande missione per arrivare all’orecchio di Gea. E la mia missione non doveva essere troppo grande.

— Cosa volevi chiederle?

Aprile restò in silenzio per molto tempo. Cirocco si accorse che stava piangendo. Poi le guardò di nuovo. — Mi fate male. Penso che non parlerò più con voi.

— Aprile, ti prego. Ricordati della nostra amicizia.

— Davvero? Davvero? Non ricordo. Ricordo solo me e Agosto, e le mie sorelle, molto tempo prima. Fra noi siamo sempre state sole. Ora io sono sola, sola.

— Ti mancano?

— Mi mancavano. Molto tempo fa. Adesso volo, volo per essere sola. La solitudine è il mondo per il clan delle aquile. Lo so che è giusto, ma prima… prima, quando ancora desideravo le mie sorelle… Noi ci riuniamo una volta sola — continuò Aprile, dopo un sospiro. — Quando Gea trattiene il respiro, passato l’inverno, e ci spinge sulle terre…